Quattro grandi italiani hanno tracciato in questi ultimi giorni le linee di indirizzo non solo dell’Italia nei confronti dell’Europa, ma anche delle istituzioni europee verso i Paesi in maggiore difficoltà, nel contesto di una crisi da cui non si vede ancora una via d’uscita. Mi riferisco a Sergio Mattarella e al suo ultimo appello al Paese; a Mario Monti per il suo editoriale sul Corriere della Sera; a Mario Draghi per l’articolo sul Financial Times e a Lorenzo Bini Smaghi che, su Il Foglio, ha trovato il coraggio di spiegare – in mezzo alla tracotante canea antieuropeista – le difficoltà reali e le condizioni che sarebbero necessarie per l’emissione di eurobond, richiesti con troppa faciloneria dai demagoghi di turno.
In Italia sta montando un brutto clima, a cui prendono parte in tanti che non sanno quello che dicono. Sui social tutti, guitti, imbonitori e venditori di lamette da barba nei mercati rionali, dicono la loro contro la perfida Germania che reggerebbe la danza dei governi nord-europei ostili e sordi al grido di dolore dell’Italia. Si è rapidamente diffusa l’accusa alla Germania di aver scatenato due guerre mondiali (con tutte le loro odiose conseguenze) e, ciò nonostante, di aver avuto, nel 1953, il taglio dei danni di guerra per ragioni politiche (danni che furono risparmiati dai Paesi vincitori anche all’ Italia).
Con la sua solita signorilità Matteo Salvini ha definito (Giorgia Meloni non è stata da meno) le istituzioni europee come un covo di sciacalli e di serpenti, senza spiegare, peraltro, quali azioni abbia intrapreso per convincere i suoi alleati “sovranpopulisti”, sparsi nel Continente, a fare pressioni a favore dell’ Italia nei confronti dei loro governi “egoisti” e “non solidali” . Né abbiamo notizia che Maurizio Landini si sia attivato con i colleghi della DGB – o anche soltanto con quelli della IG Metal – per promuovere una mobilitazione dei lavoratori tedeschi (che continuano a presentarsi nelle aziende) a sostegno di quelli italiani (che stanno in Cig nelle filiere dei settori ritenuti non essenziali).
Quanto a Giuseppe Conte, saremmo curiosi di assistere al momento magico in cui “l’Italia farà da sé”. Ma speriamo di non arrivare mai a quello “storico” appuntamento, per risparmiare a questo sventurato Paese nuovi e maggiori guai. Che cosa mai potremmo fare “in solitudine”? Tornare alla lira ed emettere dei titoli in quella valuta? Tornare alla carnevalata (in tempi di Quaresima di calendario e di fatto) dei minibot? E chi acquisirebbe titoli “tricolori”? E a quali tassi di interesse?
Come scrive Monti, argomenti tanto complessi vanno affrontati anche tenendo conto delle preoccupazioni dei propri partner. E non a caso l’ex presidente del Consiglio si sofferma sulla differenza tra la crisi del 2008-2009 e quella di oggi. Allora, c’erano Paesi – come l’Italia – più a rischio ed altri come quelli Nord Europei che mantenevano una stabilità in grado di rassicurare i mercati. Oggi la crisi è data da un’emergenza sanitaria che non guarda in faccia a nessuno. Sulla stessa lunghezza d’onda, il presidente Mattarella ha voluto sottolineare che non è aperto solo un problema di solidarietà ma di “interesse comune” tra i governi della Comunità.
Quanto a Bini Smaghi a lui si devono alcune considerazioni solide, anche sul piano tecnico, che mettono in evidenza le criticità da superare per introdurre gli eurobond: “Gli Eurobond sembrano, in effetti, essere l’uovo di Colombo nella situazione attuale” ha scritto l’economista. Ma non è così. Un titolo europeo emesso da un’ istituzione della Ue, i cui proventi finanziari verrebbero distribuiti tra gli Stati membri per intervenire sulle rispettive economie, avrebbe un rischio molto elevato se privo delle necessarie garanzie. Non vi sono oggi – prosegue Bini Smaghi – né un patrimonio europeo né una capacità europea di generare risorse tributarie autonome da usare come garanzia per il titolo di debito europeo. In sintesi, gli Eurobond potrebbero essere emessi per finanziare spesa corrente solo se i poteri di gestire quella spesa e di coprirne le entrate fossero trasferiti a livello europeo.
Queste ed altre considerazioni dell’articolo si possono riassumere così: per parlare di Eurobond senza ipocrisie occorrono due condizioni. Primo: accettare di trasferire nuove competenze economiche e sociali in Europa. Secondo: sbloccare immediatamente il Mes, magari aggiustando gli aspetti riferiti alla condizionalità dei prestiti, dal momento che non è razionale invitare i governi a fare debito senza curarsi dei vincoli dei trattati, poi erogare prestiti in base ad impegni di ristrutturazione del debito. Ma i sovranisti di casa nostra (le iene che attendono di spartirsi il cadavere dell’Europa) di Mes non vogliono sentir parlare, tanto
che il governo patrio ha bloccato le procedure di sottoscrizione del trattato. Monti, poi, ricorda che la Ue non è silente: “Dopo tutto, scrive, il Patto di stabilità è stato sospeso, così come la rigida disciplina degli aiuti di Stato e la Bce ha già preso misure ingenti”. Poi il dialogo non è chiuso. Certo il tempo si è fatto breve. Ma è così difficile capire che anche Angela Merkel ha a che fare con un’opinione pubblica e con tanti Mattheus von Salvinen tedeschi (peraltro amici del nostro Mangiafuoco)? Mentre i titoli della Bundesbank andrebbero a ruba con saggi di interesse risibili, gli Eurobond – ammesso e non concesso che si trovi un patrimonio che li garantisca – sarebbero oggettivamente più rischiosi (per il mix di Paesi che prenderebbero parte all’operazione) e quindi sarebbero sottoscritti a tassi oggettivamente superiori, caricando di maggiori oneri, per solidarietà, anche i Paesi che potrebbero farne a meno.
Certo, un grande scrittore europeo scrisse che “colui che più ama è il sottomesso. E deve soffrire”. Angela Merkel vuole la “bicicletta europea”? Allora pedali! Da ultimo (pardon!) viene Mario Draghi. E’ stata compresa fino in fondo la sua lezione? “La priorità, infatti, non deve essere solo fornire un reddito di base a chi perde il lavoro – ha scritto l’ex presidente della Bce sul FT – ma si devono innanzitutto proteggere le persone dal rischio di perdere il lavoro. Se non lo faremo, usciremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità produttiva danneggiate in modo permanente, ma le famiglie e le aziende faticheranno a riassestare i bilanci e a ricostruire patrimonio netto”. E’ in fondo un principio dell’antica cultura contadina. In caso di catastrofe, prima ancora di pensare al raccolto, bisogna mettere al sicuro le sementi. Nel nostro caso le imprese; è lì che stanno i posti di lavoro. Non sui divani.