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Energia

Germania e Italia agli antipodi per gli aiuti di Stato alle imprese

Come la Commissione europea applica le regole degli aiuti di Stato? Sono bravi i tedeschi o siamo incapaci noi? L'approfondimento di Giuseppe Liturri

 

Abbiamo le prove che l’Unione Europea ha fatto anche cose buone. Infatti il 28 gennaio la Commissione ha ufficializzato la quinta modifica del Quadro Temporaneo (Temporary Framework) che prevede le seguenti importanti novità:

  1. Raddoppio del tetto dei sussidi da €800.000 a € 1.600.000 per azienda, relativo a sussidi di varia natura (diretti, crediti d’imposta, tassi agevolati, ecc…);
  2. Aumento del tetto per aiuti alla copertura dei costi fissi, da €3 milioni ad € 10 milioni per azienda;
  3. Estensione del periodo entro cui concedere gli aiuti dal 30 giugno al 31 dicembre 2021;
  4. Facoltà per gli Stati membri di convertire prestiti in contributi a fondo perduto entro il 31 dicembre 2022.

Si tratta di un rilevante intervento che tiene conto delle difficoltà che stanno fronteggiando numerose attività commerciali, culturali e ricreative, bar, ristoranti, alberghi, almeno dalla fine di ottobre, senza essersi mai riprese dai danni subiti durante la prima ondata del Covid. Ci sia consentito anche un pizzico di soddisfazione nel rilevare che la Commissione sembra aver accolto tutti i rilievi che avevamo formulato – come al solito vox clamantis in deserto – su queste colonne già a novembre.

Già a dicembre un questionario inviato agli Stati membri aveva messo a nudo tutti i limiti da noi evidenziati: quei tetti di spesa erano dei veri e propri freni all’efficacia di molte misure varate dai governi nazionali e molte imprese erano prossime al loro superamento.

Ora la Commissione scioglie gli indugi e consente agli Stati membri di potenziare le misure già adottate o introdurne altre, invitandoli a notificare a Bruxelles una lista dei provvedimenti di aiuto che intendono incrementare. Il tutto senza incorrere nella violazione del divieto di aiuti di Stato.

E qui sorgono i problemi per l’Italia. Nei vari decreti legge che si sono succeduti da marzo fino a novembre scorso (dal “Cura Italia” alla sequenza dei quattro “Ristori”), il governo del Presidente dimissionario Giuseppe Conte ha disseminato una miriade di provvedimenti di modesta entità e pure non immediatamente operativi, necessitando di decreti attuativi. Un esempio, tra tanti: solo martedì scorso, dopo 8 mesi dal Decreto “Rilancio” che lo istituiva, è stato emanato un decreto interministeriale per un rilevante esonero contributivo a favore delle aziende del settore agroalimentare e, ad oggi, non è ancora possibile presentare le domande. L’unico strumento di rapida ed efficace attuazione – non a caso i fondi sono stati rapidamente esauriti – è stato il contributo a fondo perduto previsto dal “Rilancio” che erogava a favore delle imprese dal 10% al 20% (a seconda dei livelli di fatturato) della differenza tra il fatturato di aprile 2020 ed aprile 2019. In media, poche migliaia di euro ad azienda. In autunno, con i decreti “Ristori” si è riproposto lo stesso meccanismo, moltiplicando gli importi fino al 400% per alcuni settori. Ma la decisione di parametrare anche questi aiuti ad un dato (aprile 2020) ormai vecchio e disancorato dalla realtà ha prodotto lo stesso modesto risultato. Di fatto, ad oggi, le leggi fin qui emanate dal governo italiano non hanno sfruttato il maggior margine di manovra offerto dalla Commissione già ad ottobre, quando il ministro Roberto Gualtieri ha ancora fatto ricorso a strumenti ormai datati ed inefficaci.

Il confronto con la Germania, che da sola assorbe più della metà degli aiuti di Stato autorizzati dalla Direzione guidata da Margrethe Vestager, è impietoso. Non solo sotto il profilo delle risorse stanziate ma anche della tempestività e della capacità di muoversi all’interno delle intricate norme della UE. L’aiuto da 12 miliardi autorizzato il 21 gennaio (fino a 4 milioni per azienda) è infatti stato concesso ai sensi dell’articolo 107 (2b) del Trattato (TFEU), anziché ai sensi dell’articolo 107 (3b). Cosa cambia? Il primo consente aiuti per “eventi eccezionali o calamità naturali” il secondo per “grave turbamento dell’economia” causale, quest’ultima, che governa tutto il Quadro Temporaneo. Solo pochi Paesi, tra cui la Germania in questo recentissimo provvedimento, sono stati capaci di cimentarsi nell’impresa di dimostrare il “nesso causale diretto” tra misure di contenimento e conseguenze sulle attività economiche coinvolte. La differenza non è banale, in quanto questa causale di aiuti non è soggetta a tetti di spesa come quelli sopra descritti ed ora aumentati.

La Germania ha avuto la caparbietà di dimostrare che le chiusure di novembre e dicembre sono equiparabili ad un evento eccezionale per bar, ristoranti, alberghi, fiere, eventi sportivi e quindi meritevoli di un contributo a fondo perduto pari al minore tra 100% dei danni subiti ed il 75% del fatturato di novembre/dicembre 2019.

Numeri che noi possiamo soltanto sognare. Ma, in fondo, non c’è da biasimare tanto Gualtieri: perché impegnarsi a chiedere autorizzazioni per spendere, se da Bruxelles ti “suggeriscono” di tenerti pronto a ridurre il debito e quindi procedi col freno a mano tirato?

Lo schema si ripete a proposito di fiere e congressi. In Germania, la decisione di impedire questi eventi reca un danno diretto e misurabile a queste attività e quindi è meritevole di aiuti senza limite di importo per indennizzare la perdita di profitto degli operatori del settore.

In Italia, la stessa decisione determina solo un “grave turbamento dell’economia” e si ritiene di intervenire con sussidi finalizzati a colmare il fabbisogno di liquidità delle imprese. Come se fosse un fatto transitorio. Con l’aggravante che, in ogni caso, questi aiuti non possono superare il tetto massimo di € 800.000 (ora aumentato, come in precedenza illustrato).

Oltre questi aspetti, la decisione della Commissione è importante perché si dilunga in una importante distinzione tra misure di contenimento che creano un danno materiale diretto alle attività economiche ed altre che determinano un più generale turbamento dell’economia. Le prime meritano un indennizzo senza limiti, le seconde trovano i tetti sopra elencati. La Commissione parla esplicitamente di bar, ristoranti, alberghi, attività sportive e ricreative, fieri e congressi, che vengono ritenute tutte attività destinatarie dirette delle misure restrittive. La logica è che se lo Stato chiude ex lege un’attività, l’effetto per l’impresa è simile a quello di una calamità naturale come un terremoto e l’indennizzo è totale.

Il fatto che la Commissione abbia ritenuto opportuno specificare questo aspetto, nonostante ci fosse ampia prassi in materia, è probabilmente segnaletico del fatto che l’applicazione di questa casistica non serve solo a noi, che peraltro ce ne eravamo guardati bene dal richiederla. È scesa in campo la Germania, ed allora le regole vanno scritte per bene. Tenere sotto il tetto di € 800.000 di aiuti imprese che fatturano centinaia di milioni di euro era ormai insostenibile.

A dicembre, mentre erano ancora in corso le interlocuzioni tra Commissione e Stati membri per l’ampliamento del Quadro Temporaneo, da Berlino hanno piazzato una micidiale doppietta: il 4 hanno dapprima notificato la norma che stanzia 642 milioni di sussidi per le perdite subite da un ampio elenco di soggetti della filiera fieristica da marzo a dicembre; il 23 – con panettone e spumante già sulle scrivanie – hanno poi pre-notificato un altro provvedimento che stanzia ben 12 miliardi di sussidi a copertura dei danni diretti subiti a causa dei provvedimenti restrittivi, i cui dettagli vi abbiamo già riferito. Entrambe le misure miravano al bersaglio grosso: indennizzare senza limiti i grandi operatori fieristici e tutte le attività commerciali costrette a chiudere o a limitare la propria attività nell’ultimo bimestre dell’anno.

Con sospetto tempismo, la Direzione guidata da Margrethe Vestager ha approvato la prima misura il 22 (SA 59173) e la seconda il 21 gennaio (SA 60045), quando, verosimilmente la decisione di estendere la portata del Quadro Temporaneo era già ormai prossima alla pubblicazione. Per usare una similitudine: i tedeschi avevano già pronto il compitino ancor prima che la maestra distribuisse la traccia.

Per una strana coincidenza, proprio lo stesso 4 dicembre partiva da Roma una notifica per l’autorizzazione di sussidi per € 370 milioni a favore delle imprese del settore fieristico, autorizzata poi il 17 (SA 59992). Il ministero dei beni culturali e del turismo, retto da Dario Franceschini, era incaricato della gestione della misura. Il confronto tra i provvedimenti tedesco ed italiano è imbarazzante: sembrano riferiti a due mondi sideralmente distanti. I soggetti beneficiari: noi ci rifacciamo ai codici ATECO che tante perplessità hanno creato, perché la norma origina da uno dei decreti “Ristori”, i tedeschi fanno un semplice ed immediato elenco di soggetti della filiera. Ma soprattutto, da Berlino fanno un’ampia ed accurata disamina del nesso causale tra misure restrittive e danni subiti dalle fiere e determinano dei veri e propri indennizzi commisurati al 100% della differenza tra profitti del periodo marzo-dicembre 2020 e media dei profitti degli anni 2018-2019. In alternativa, si può ricevere il 100% del margine di contribuzione dello specifico evento annullato. Numeri enormi, considerando che la Fiera di Francoforte ha fatturato nel 2018 718 milioni. L’aspetto ancor più rilevante, ed avvilente per il nostro Paese, è il modo di trattare gli effetti delle misure restrittive, nello stesso periodo: per le fiere tedesche è come una calamità naturale ed assumono l’onere di dimostrarlo, per le fiere italiane sembra essere una crisi di liquidità, da calcolarsi peraltro con un “algoritmo”.

Gli effetti delle misure di contenimento del Covid sembrano paragonabili ad un terremoto a seconda delle latitudini. In Germania lo sono, in Italia no.

Si badi bene, qui non intendiamo affermare che la Commissione scrive regole diverse a seconda del Paese, vogliamo invece dimostrare che – di fronte a regole apparentemente valide per tutti ed a situazioni del tutto identiche – la Germania intraprende una strada che porta a risultati tangibili, e l’Italia rinuncia a farlo. Non si sa se per ignavia di Gualtieri o perché da Bruxelles qualcuno ha “suggerito” di non aprire troppo i cordoni della borsa.

Come se il Cibus di Parma cancellato nel 2020 fosse un evento recuperabile. Pur non essendo ai livelli dei giganti tedeschi, ricordiamo che Fiera di Parma ha fatturato nel 2018 37 milioni, Fiera di Milano nel 2019 230 milioni e Fiere di Bologna 195 milioni. Gli indennizzi devono essere congrui, altrimenti rischiamo di andare a fare il Cibus o il Salone del Mobile in qualche città tedesca.

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