Un tempo erano i marchi che dominavano in Europa e nel mondo, orgoglio della forza industriale tedesca. Oggi il loro elenco occupa le prime pagine dei giornali che parlano della crisi economica e dei conflitti sociali, come quello ormai aperto dentro Volkswagen, dove i sindacati hanno avviato un confronto molto duro con le prime due giornate di sciopero in tutti gli stabilimenti tedeschi svoltesi il 2 e il 9 dicembre.
CHE COSA STA SUCCEDENDO IN GERMANIA
L’appello dei merchi in crisi è una piccola spoon river dell’industria tedesca, epigrafi drammatiche di profitti in fumo, tagli a investimenti e posti di lavoro che fanno da sottofondo a quella che un economista solitamente sobrio come il direttore dell’Ifo Clemens Fuest ha definito “una situazione molto molto seria”.
La Germania, un tempo considerata il motore economico dell’Europa, attraversa una profonda crisi industriale che sta mettendo a dura prova il suo tessuto produttivo. E quelle aziende una volta pilastri dell’economia si trovano oggi a dover affrontare sfide senza precedenti, costrette a ridimensionare le proprie attività e a tagliare posti di lavoro su larga scala. Il recente dato sul calo della produzione industriale a ottobre, diminuita dell’1% su base mensile e del 4,5% su base annua, con un calo dell’1,5% degli ordini al settore manifatturiero, è solo l’ultima spia rossa.
LE CAUSE DELLA CRISI
La causa principale di questa crisi è da ricercare in un insieme di fattori che negli ultimi anni si sono intrecciati in modo complesso. Il benessere dello scorso decennio ha dato l’illusione che il Paese potesse evitare una serie di riforme: così la burocrazia è diventata pesante e ridondante, la digitalizzazione è stata trascurata e gli investimenti sono stati sacrificati al mito del freno al debito, anche quando per lo Stato tedesco indebitarsi costava poco.
CAPITOLO UCRAINA
La guerra in Ucraina, con il conseguente aumento dei costi energetici e delle materie prime, ha rappresentato un duro colpo per molte imprese, erodendo i loro margini di profitto. Allo stesso tempo, la transizione verso un’economia più sostenibile, pur necessaria, richiede ingenti investimenti e adattamenti che molte aziende non sono in grado di sostenere nel breve termine.
I MARCHI IN BILICO
Quello che un tempo era il motore pulsante dell’industria europea, oggi stenta a ritrovare il ritmo. I dati più recenti sono allarmanti: la produzione industriale è in caduta libera, trascinando con sé settori chiave, dall’automobilistica alla chimica, passando per l’acciaio.
Il settore automobilistico, in particolare, sta subendo un forte contraccolpo. Giganti come Volkswagen, BMW e Mercedes-Benz, insieme ai loro fornitori, stanno riducendo la produzione e tagliando migliaia di posti di lavoro. Anche altri settori chiave, come l’acciaio e la chimica, sono coinvolti in questa spirale negativa.
CRONACHE DI UN DECLINO INDUSTRIALE
La cronaca industriale di questo autunno neppure troppo caldo è fatta di numeri in rosso che coinvolgono marchi storici. Il sito del telegiornale di Ard ne ha fatto un elenco, concentrandosi soprattutto sull’indotto del settore automobilistico. Si va dal colosso Schaeffler, specializzato nella produzione di componenti, con il suo piano di tagli che prevede la soppressione di circa 4.700 posti di lavoro in tutta Europa, di cui oltre la metà in Germania, a un altro gigante come Continental, che ha già eliminato 5.000 posti di lavoro dal 2023 e prevede di tagliarne altri 7.150 entro il 2028, oltre un terzo dei quali in patria. Bosch, uno dei maggiori fornitori a livello mondiale, ha annunciato un piano di ristrutturazione che prevede il taglio di fino a 5.550 posti di lavoro: la Germania sarà il Paese più colpito, con oltre 3.800 posti di lavoro a rischio. Per altri 10.000 dipendenti è prevista la riduzione dell’orario lavorativo, con una conseguente diminuzione dello stipendio. ZF è costretta a tagliare fino a 14.000 posti di lavoro in Germania nei prossimi anni e non è esclusa la chiusura di alcuni stabilimenti.
IL CASO VOLKSWAGEN
Passando alle case costruttrici, sono più che note le gravi difficoltà di Volkswagen. Tre stabilimenti rischiano la chiusura e migliaia di posti di lavoro sono in pericolo a causa del calo delle vendite. L’azienda ha un surplus di oltre 500.000 veicoli invenduti e sta cercando di ridimensionare la produzione. Le trattative con i sindacati sono in stallo: sono ripartite il 9 dicembre, dopo tre round che sono serviti solo a irrigidire le posizioni delle parti e due scioperi che hanno coinvolto tutti gli stabilimenti. I rappresentanti di IG-Metall minacciano un confronto di una durezza mai vista nella storia dell’azienda.
I MOTIVI DELLE AUTO TEDESCHE IN PANNE
La crisi della casa di Wolfsburg, un pilastro dell’industria automobilistica tedesca, potrebbe avere profonde ripercussioni sull’economia dell’intero Paese. E come se non bastassero le difficoltà delle aziende interne, sulla Germania si riversano anche i riflessi di quelle degli altri Paesi. Ford sta effettuando pesanti tagli al personale in Europa, con un focus particolare sulla Germania. Nonostante un recente investimento di quasi 2 miliardi di euro nello stabilimento di Colonia per la produzione di auto elettriche, l’azienda è costretta a ridurre il personale a causa di vendite inferiori alle attese. I dettagli dei licenziamenti sono ancora in discussione con i rappresentanti dei lavoratori, ma Ford ha messo sul piatto 2.900 tagli in Germania sui 4.000 totali entro il 2027.
DOSSIER ACCIAIO E CHIMICA
Infine due altri settori, in parte collegati anche all’auto, ma in cui l’impennata dei costi energetici ha fatto sballare i conti: acciaio e chimica. Thyssenkrupp Steel, il più grande produttore di acciaio tedesco, ha annunciato un piano di tagli che prevede l’eliminazione di 11.000 posti di lavoro nei prossimi sei anni, la riduzione della produzione e la chiusura di alcuni stabilimenti come quello di Kreuztal. Misure drastiche, adottate per far fronte alla crescente competizione internazionale, alla crisi dell’industria automobilistica e alla necessità di ridurre l’impatto ambientale.
IL RUOLO DEI COSTI ENERGETICI
A causa dell’aumento dei costi energetici e del calo della domanda, il gigante della chimica Basf è costretta a tagliare drasticamente i costi. La direzione aveva già annunciato un programma di riduzione dei costi nel 2022 in seguito al forte aumento del prezzo del gas. All’inizio di quest’anno è stato annunciato un ulteriore programma di risparmio: sono previsti migliaia di licenziamenti, soprattutto nello stabilimento di Ludwigshafen dove la produzione verrà ridotta e alcuni impianti saranno chiusi. Queste misure drastiche mirano a garantire la sopravvivenza dell’azienda in un contesto economico difficile, caratterizzato da alta inflazione e incertezza geopolitica.
COME STA L’ECONOMIA TEDESCA
Ma le conseguenze di questa crisi si fanno sentire su tutta la società tedesca. L’aumento della disoccupazione sta mettendo sotto pressione il sistema di welfare, negli ultimi anni più generoso rispetto alla scure che lo aveva sfoltito negli anni della cancelleria di Gerhard Schröder, e sta generando incertezza nelle famiglie. Le prospettive economiche si sono notevolmente offuscate e il modello economico tedesco, basato sull’export e sull’industria, sembra aver raggiunto un punto di svolta.
Le riorganizzazioni aziendali comportano anche una generale riduzione degli investimenti, almeno di quelli in Germania. Se si può investire, si preferisce andare all’estero, dagli Stati Uniti alla Polonia, dove la burocrazia è più snella, l’energia costa meno e in generale il cosiddetto ambiente imprenditoriale è migliore.
SFIDE E SCENARI PER LA GERMANIA
La Germania si trova dunque di fronte a una sfida epocale. Per superare questa crisi, sarà necessario un profondo ripensamento del modello produttivo, con un maggiore attenzione all’innovazione, alla sostenibilità e alla digitalizzazione. Allo stesso tempo, sarà fondamentale mettere in campo politiche industriali e sociali che sostengano le imprese e i lavoratori in questo periodo di transizione.
La strada da percorrere è lunga e tortuosa. In passato la Germania ha dimostrato di essere in grado di affrontare sfide complesse, questa volta la partita sembra più difficile, perché alla crisi economica si è aggiunta quella politica. La vecchia maggioranza è finita e il governo cadrà a breve: fra tre mesi si torna a votare, ma non è detto che il futuro governo avrà una compattezza e una chiarezza maggiore di quello appena terminato. Il mondo cammina più veloce e non aspetta.