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Così il G7 contrasterà la Nuova Via della Seta

I membri del G7 hanno presentato una nuova partnership sulle infrastrutture nei paesi in via di sviluppo. L'obiettivo è offrire un'alternativa alla Nuova via della seta cinese. Il ruolo delle società americane nei piani di Biden. Tutti i dettagli

 

Domenica i membri del G7 – il gruppo che riunisce alcuni dei paesi economicamente più avanzati: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, più l’Unione europea – hanno annunciato una partnership sulle infrastrutture e gli investimenti nei paesi in via di sviluppo. Si chiama, appunto, Partnership for Global Infrastructure and Investment e mira a raccogliere 600 miliardi di dollari in fondi pubblici e privati in cinque anni.

Il partenariato vorrebbe essere la risposta delle democrazie e del “mercato” alla Belt and Road Initiative (o Nuova via della seta), lo schema di connettività avviato dalla Cina nel 2013 per cercare di ampliare la sua influenza politica nel mondo attraverso la costruzione di strade, porti e reti di telecomunicazione.

E IL BUILD BACK BETTER WORLD?

Quella annunciata domenica non è un’iniziativa nuova, in realtà, quanto piuttosto un rebranding del Build Back Better World, il piano sulle infrastrutture presentato dal presidente americano Joe Biden al vertice G7 del 2021, che si richiamava esplicitamente al programma di ripresa economica elaborato in patria.

L’inflazione, aggravata dall’invasione russa dell’Ucraina, facendo lievitare i costi di realizzazione di impianti e installazioni varie, ha imposto agli Stati Uniti di ricalibrare i loro progetti. Anche la Cina, dovendo gestire problemi interni, ha ridotto la spesa per la Belt and Road Initiative. E pure l’Unione europea aveva messo a punto una strategia di connettività all’estero, il Global Gateway, che confluirà adesso nella Partnership for Global Infrastructure and Investment.

FONDI E AREE DI INTERVENTO

L’Unione europea, infatti, vuole destinare al programma del G7 300 miliardi di euro di investimenti entro il 2027 (era la cifra prevista per il Global Gateway). Gli Stati Uniti, invece, contano di mobilitare fino a 200 miliardi di dollari tra sovvenzioni, fondi federali e investimenti privati. Attraverso i contributi dei restanti membri del gruppo si dovrebbe arrivare a 600 miliardi di dollari. Biden ha anticipato però che potrebbero arrivare ulteriori miliardi dalle banche e dalle istituzioni di sviluppo e dai fondi sovrani.

La partnership si concentrerà su quattro aree: la sicurezza energetica e il clima; la salute; la connettività digitale; l’equità di genere. Secondo Biden, l’iniziativa del G7 consentirà ai paesi destinatari di attrezzarsi in vista di future crisi sanitarie e climatiche e della digitalizzazione. La Banca mondiale, tuttavia, aveva stimato che le nazioni in via di sviluppo hanno necessità infrastrutturali (strade, ospedali, parchi fotovoltaici e così via) per 15mila miliardi dal 2015 al 2030.

NON È CARITÀ, DICE BIDEN

Il presidente americano ha voluto sottolineare che la partnership sulle infrastrutture “non è aiuto o carità. È un investimento che produrrà ritorni per tutti – compresi i cittadini americani – e darà impulso a tutte le nostre economie”.

La precisazione si spiega con il fatto che gli Stati Uniti (e gli altri membri del G7) non potranno replicare le modalità di finanziamento della Belt and Road Initiative cinese, che si fonda essenzialmente sull’utilizzo di denaro pubblico per la costruzione di grandi opere. Al contrario, dovranno puntare sulla mobilitazione del settore privato: per questo è essenziale presentare gli investimenti nei paesi emergenti come un’occasione di profitto.

OFFRIRE UN’OPZIONE

Attraverso la partnership, i paesi in via di sviluppo potranno invece “vedere i benefici concreti della collaborazione con le democrazie”, ha dichiarato Biden. Si tratta di un riferimento implicito ma evidente alla Cina, che Washington accusa di intrappolare nel debito le nazioni a basso reddito, obbligando poi queste ultime a cedere a Pechino il controllo di asset strategici per ripagare i prestiti ottenuti. “Stiamo offrendo opzioni migliori”.

Similmente, per la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen l’iniziativa “mostra ai nostri partner in via di sviluppo che hanno una scelta”.

Secondo l’analista economico Pete Sweeney, lo stanziamento di aiuti finanziari con buona governance e poca geopolitica è la scelta migliore, perché la maggior parte dei governi emergenti non vuole scegliere se schierarsi con l’Occidente o con la Cina.

L’organizzazione no-profit Global Citizen fa sapere che, in media, i paesi del G7 destinano solo lo 0,32 per cento dei loro prodotti interni lordi a iniziative di assistenza allo sviluppo, meno di quanto promesso (lo 0,7 per cento).

GLI INVESTIMENTI NELLE INFRASTRUTTURE, NEL CONCRETO

Domenica gli Stati Uniti hanno presentato alcuni progetti concreti che riceveranno investimenti nell’ambito della Partnership for Global Infrastructure. Uno è un impianto di energia solare in Angola da 2 miliardi di dollari, sviluppato dall’azienda americana Sun Africa e sostenuto dal dipartimento del Commercio e dalla Export-Import Bank. Un altro riguarda la costruzione di uno stabilimento per la produzione di vaccini in Senegal. Poi c’è un progetto per la progettazione di un piccolo reattore nucleare modulare (una nuova tecnologia) in Romania: il governo americano e NuScale Power forniranno 14 milioni. La società di telecomunicazioni SubCom realizzerà un cavo sottomarino di Internet da Singapore alla Francia, passando per il Corno d’Africa e l’Egitto. Mentre l’USAID (l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale) investirà 40 milioni per la decarbonizzazione delle reti elettriche nel Sud-est asiatico e per stimolare il commercio energetico regionale.

I membri del G7 dicono inoltre di voler fornire incentivi economici alle nazioni emergenti per smantellare le centrali a carbone: il programma partirà in Sudafrica, e potrebbe venire replicato in India, Indonesia, Vietnam e Senegal.

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