C’era da non credere ai propri occhi oggi, leggendo “L’algebra del debito” in prima pagina sul Foglio. Gli autori – Luciano Capone e Riccardo Trezzi – giungono alla conclusione che la Francia, per ridurre il rapporto debito/PIL, debba conseguire un pareggio del saldo primario di bilancio, operando tagli pari a 3 punti di PIL.
Fin qui, nulla di sorprendente. Infatti è quanto scaturisce dalla nota formuletta secondo la quale, in caso di tasso di interesse sul debito pubblico pari o superiore alla crescita del PIL nominale, l’unico modo per ridurre il rapporto debito/PIL è quello di ottenere consistenti avanzi primari. Cioè non aggiungere, al lordo degli interessi, altro debito a quello esistente.
Per la Francia ha senso. Perché – con un sostanziale equilibrio tra crescita del PIL nominale e costo medio dl debito e un disavanzo primario del 3,3% – bisognerebbe conseguire un pareggio del saldo primario per non vedere decollare il debito/PIL.
Ma noi cosa c’entriamo? Nel 2024 saremo già in sostanziale pareggio di saldo primario (-0,4%) e, soprattutto, l’onere medio del debito è di poco inferiore al 3%, contro una crescita del PIL nominale del 3,7%, 3,5% e 3,0% rispettivamente nel 2024, 2025, 2026. Quindi siamo messi meglio della Francia e ci potremmo permettere perfino un modesto disavanzo primario senza compromettere nulla.
Invece, il Foglio chiede un avanzo primario di 4 punti (in modo da avere, al netto degli interessi, un pareggio di bilancio) per tenere sotto controllo il nostro debito/PIL. Che invece è già sotto controllo di suo, come dimostra la discesa dal 155% del 2020 al 138% del 2024. Mentre la Francia è ancora sui massimi post lockdown (115% del 2020 e 112% del 2024). E poi perché alla Francia si chiederebbe solo un pareggio del saldo primario (che l’Italia ha già) mentre al nostro Paese si chiede un avanzo monstre del 4%?
Nemmeno sotto il governo Monti abbiamo fatto un avanzo primario del 4%. Nel 2012, si raggiunse il 2,2% e bastò per mandare in recessione il Paese per quasi 3 anni.
Proprio per questo motivo, la cosa non sta in piedi, non solo sotto il profilo meramente matematico ma, soprattutto, sotto quello della logica economica. Per la banale considerazione che esiste un effetto di retroazione del minor deficit sul PIL. Un punto di deficit in meno genera più di un punto di PIL in meno e il rapporto debito/PIL aumenta anziché diminuire.
Insomma, il denominatore conta e 3/2 è maggiore di 4/3. Giusto per suggerire un ripasso di aritmetica base, senza spingersi all’algebra.