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Francia Germania

Vi spiego lo stato di salute della Francia rispetto a Germania e Italia

Per la Francia, nonostante il miglioramento dei conti con l’estero, la crescita economica dipende sostanzialmente dalla spesa pubblica finanziata in disavanzo. L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

Di frenata dell’economia, in Francia, non se ne parla proprio, anzi. Secondo i dati preliminari relativi all’ultimo trimestre del 2018, anche la crescita congiunturale è stata dello 0,3%. È stato confermato il medesimo tasso di incremento già registrato nel terzo trimestre, con un’accelerazione rispetto al +0,2% registrato sia nel primo che nel secondo. È un dato che occorre disaggregare, perché frutto di dinamiche settoriali assai contrastanti: non è tutto oro ciò che riluce.

I RAFFRONTI FRA GERMANIA, FRANCIA E ITALIA

Viene immediato fare il confronto con la situazione dell’Italia, che invece è entrata formalmente in recessione, per via del Pil che si è contratto per due trimestri consecutivi, il terzo e il quarto, rispettivamente dello 0,1 e dello 0,2%. Non ci sono i dettagli numerici delle componenti che hanno determinato questa seconda contrazione: molto succintamente, l’Istat ha comunicato che il calo del Pil è frutto della sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca e in quello dell’industria e di una sostanziale stabilità dei servizi.

L’APPORTO DELLA COMPONENTE ESTERA

Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto positivo della componente estera netta. Si tratta di un periodo di tempo caratterizzato dal violento conflitto tra governo e Commissione europea sul deficit di bilancio per il 2019, e dell’imperversare della minaccia di far saltare tutto a colpi di spread: in questo clima di tensione, invece di abbattere la maggioranza si è abbattuto il Pil.

COME VA L’ECONOMIA TEDESCA

Bisogna tenere d’occhio anche l’andamento dell’economia tedesca. In questo caso, nonostante non siano stati ancora pubblicati i dati provvisori del quarto trimestre 2018, già fanno venire i brividi i dati delle vendite al dettaglio di dicembre: -2,1% in termini reali rispetto allo stesso mese del 2017. La contrazione è stata pesante anche in termini nominali: -1,2%.

GLI ANDAMENTI DEI SETTORI

I dati dei singoli comparti mostrano una forte sofferenza sociale: rispetto a un anno prima, la vendita di generi alimentari è diminuita, sempre in termini reali, dell’1,5%. Quella dei rivenditori specializzati di questi prodotti è caduta del 5,6%. Nei settori non-food, la contrazione reale complessiva è stata del 2,7%, con un crollo per l’abbigliamento (-7,5%), e per libri, giornali e oggetti voluttuari (-4,7%). Male anche le vendite nel settore arredamento ed elettrodomestici (-3,3%).

LO STATO DEI SALARI REALI TEDESCHI

La decelerazione della crescita dei salari reali tedeschi è stata impressionante: si è passati dal +2,4% del 2015 al +1,8% del 2016, fino al +0,8% del 2017. Nel terzo trimestre del 2018, l’indice dei salari reali, pari a 100 nel 2015, era addirittura bruscamente sceso a 98,9. L’inflazione si è mangiata tutto.

I FATTORI DEL RALLENTAMENTO DELL’EXPORT ITALIANO

Questi dati possono essere utili per spiegare il rallentamento dell’export italiano verso l’Ue, che già nello scorso mese di novembre aveva fatto registrare un -1,3% rispetto a ottobre. Verso il complesso dei Paesi della zona euro, l’export era stato di 16,6 miliardi di euro rispetto ai 17,7 miliardi del precedente mese di ottobre. Calo generalizzato verso tutti i Paesi, compresa la Germania.

LE RAGIONI DELL’ECCEZIONE FRANCESE

L’eccezione francese, rispetto all’Italia e alla Germania, ha ragioni ben chiare: il comportamento espansivo della finanza pubblica. Per stare all’ultimo decennio, Parigi non ha mai avuto un saldo primario attivo: la sua spesa pubblica ha sempre superato l’importo raccolto con la tassazione. Il deficit annuo ha quindi finanziato sia l’ulteriore spesa che l’intero servizio del debito. Tra il 2008 e il 2019, il deficit accumulato è stato pari al 50,6% del Pil, mentre il saldo primario negativo ha immesso risorse nell’economia reale per il 25% del Pil. Si tratta quindi di risorse nette che dal mondo della finanza vengono impiegate nell’economia reale.

LE DIFFERENZE CON GERMANIA E ITALIA

In Italia, e ancor più in Germania, accade il contrario: una parte delle imposte viene usata per pagare gli interessi sul debito: nello stesso periodo prima considerato, il drenaggio fiscale operato in Italia è stato pari al 14,4% del Pil, quello della Germania al 15,1%. In Italia, nel 2018, l’onere per interessi è stato pari al 3,4% del Pil, di cui una metà è stato spesato con il saldo primario e l’altra con nuovo debito, che infatti è stato pari all’1,7% del Pil. In Francia, al contrario, il deficit complessivo del 2018, pari al 2,6% del Pil, è servito a finanziare una maggiore spesa pubblica per lo 0,9% del Pil e per la quota restante al servizio del debito.

IL KEYNESISMO MACRONIANO

In Francia, siamo di fronte a una politica pubblica chiaramente keynesiana. I dati di dettaglio forniti dall’Insee non lasciano adito a dubbi: nel quarto trimestre del 2018, a fronte di una crescita congiunturale del Pil dello 0,3%, il contributo recato dalla spesa pubblica per consumi è stato del +0,3%, e quello degli investimenti pubblici addirittura del +0,7%, mentre era stato nullo nel terzo trimestre.

IL CAPITOLO INVESTIMENTI

Questi ultimi, dunque, non solo hanno più che compensato la contrazione registrata negli investimenti delle famiglie, che ha contribuito con il -0,4%, ma hanno dato un impulso più che doppio rispetto a quello delle imprese, fermatosi al +0,3%. A livello complessivo, anche la contrazione del settore delle costruzioni e delle scorte, entrambi con il -0,1%, non si è notata. In Italia, il contributo alla crescita fornito dalla spesa pubblica per consumi è pari a zero sin dal quarto trimestre del 2017. Purtroppo, l’Istat non fornisce una disaggregazione relativa al contributo recato dagli investimenti pubblici: ma c’è ogni ragione per ritenere che sia nullo già da diversi anni.

CHE COSA SUCCEDE AI CONSUMI DELLE FAMIGLIE IN FRANCIA

Per quanto riguarda le famiglie francesi, c’è un altro dato da mettere in luce: sempre nell’ultimo trimestre del 2018, il contributo alla crescita recato dalla loro spesa per consumi è stato pari a zero, mentre era stato del +0,4% nel terzo trimestre. C’è stata anche una contrazione congiunturale in alcuni settori: generi alimentari -0,1% ed energia -0,4%. Sono rimaste dinamiche, con il +0,5%, le spese per i servizi: ma sono il più delle volte irrinunciabili e con prezzi imposti.

GLI EFFETTI DELLA POLITICA FISCALE

La politica fiscale ha agito in senso restrittivo verso le famiglie meno abbienti: aumentando i contributi sulle pensioni, riducendo il sostegno al pagamento degli affitti ed elevando le accise sui carburanti diesel. Anche in Francia c’è stata una decelerazione del potere d’acquisto delle famiglie: dal +1,4% del 2017 si è arrivati al +0,9%. Questi dati aiutano a capire le ragioni dell’apparente contraddizione tra una crescita economica aggregata, che prosegue stabilmente anche se a un ritmo moderato, e il diffuso malumore sociale che si è manifestato a partire da novembre con le proteste di piazza dei Gilet Jaune, che lamentano la forte contrazione del potere d’acquisto delle famiglie.

LA PECULIARITA’ ITALIANA

In Italia, il contributo positivo dell’export non basta a sostenere la crescita, mentre quello della finanza pubblica è negativo per via del saldo primario attivo. In Germania, i salari reali non crescono e il drenaggio dall’avanzo primario danneggia fortemente la domanda interna: non basta macinare record nelle esportazioni.

DA COSA DIPENDE LA CRESCITA FRANCESE

Per la Francia, nonostante il miglioramento dei conti con l’estero, la crescita economica dipende sostanzialmente dalla spesa pubblica finanziata in disavanzo. Ma, anche qui la domanda delle famiglie tende a contrarsi. Tra Francia, Italia e Germania, c’è un minimo comune denominatore: la deflazione salariale, che mina consumi e stabilità politica.

 

Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza

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