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Giavazzi

I colpi di calore che annebbiano Giavazzi

L’incredibile errore dell’economista Francesco Giavazzi sul Corriere della sera.

Il caldo di luglio forse ha annebbiato la lucidità del professor Francesco Giavazzi, già potente consulente di Mario Draghi durante la sua permanenza a Palazzo Chigi. Non ce ne voglia il professore bocconiano, ma questa è l’unica ipotesi che ci sentiamo di fare dopo aver letto il suo allarmato editoriale sul Corriere della Sera di domenica.

“Anto’, fa caldo” è l’ormai celebre esclamazione della magnifica Luisa Ranieri da cui prende le mosse Giavazzi, che si allinea all’imperante credo secondo cui una rapida decarbonizzazione in un’area, come la UE, che pesa per il 14% sulle emissioni globali di CO2, mentre Cina ed India emettono a manetta, possa avere un impatto significativo nel contenimento del riscaldamento globale. Non ci avventuriamo in terre per noi sconosciute e prendiamo per buono il nesso causale tra il contenimento del riscaldamento e la decarbonizzazione, che prima la si fa meglio è.

E qui sorgono due problemi: uno di consenso politico e l’altro di fabbisogni finanziari. Il primo è che certe decisioni non possono passare sulla testa degli elettori che potrebbero avere qualche perplessità nell’acquistare una piccola auto elettrica pagandola quanto un’auto di media cilindrata o trovarsi la bolletta dell’elettrica zeppa di oneri aggiuntivi per incentivare l’impianto fotovoltaico di qualche ricco imprenditore.

Ma dove prendiamo i soldi? Facile, risponde Giavazzi. Abbiamo “l’esperienza del PNRR e del debito comune europeo”. Che se non compie i miracoli è ovviamente, manco a dirlo, colpa nostra, mica delle “burocrazie europee” che ci hanno zavorrato con 528 condizioni che richiedono un Ministero apposito solo per la loro gestione. Ed allora, prosegue il Nostro, dobbiamo essere capaci di dare piena attuazione a quel piano e “farci sentire sui tavoli europei” brandendo con orgoglio il vessillo della rivoluzione verde. Ma mica possiamo farlo così, mettendo il primo abito a caso. Dobbiamo “essere percepiti come partner” e per farlo non sta bene “ritardare l’approvazione del Mes”. E cosa c’entra con la decarbonizzazione? Vi chiederete. Nulla. Ma il Mes si porta sempre bene e poi sfina, come il nero.

LO SCIVOLONE DI GIAVAZZI

Ma il colpo di calore giunge poche righe dopo. Poiché l’obiettivo della decarbonizzazione richiede ingenti investimenti “che i singoli Stati da soli non riescono a raggiungere”, allora il debito comune è lo strumento adatto alla bisogna. E cita il programma SURE come esempio su quella strada che è, secondo Giavazzi, un “sostegno ai lavoratori che la transizione verde obbliga a riconvertirsi”. Si, avete letto bene, purtroppo. Chi di voi ricorda che quel programma fu varato nella primavera del 2020 per erogare prestiti agli Stati membri (l’Italia ricevette 27 miliardi) per finanziare la cassa integrazione dei milioni di lavoratori finiti per strada a causa del lockdown, e quindi non c’entri nulla con la transizione verde, non deve temere di aver perso la memoria. È a Giavazzi che, nell’ansia di tessere le lodi del debito comune europeo – con il NextGenEU che dopo ben due anni e mezzo dal varo annaspa con circa 150 miliardi erogati agli Stati contro un obiettivo di 800 – è scivolato il piede sul pedale della frizione. Così arruola anche il fondo Sure che, in effetti, ha fatto il suo, ma che con la transizione verde non c’entra nulla. Ma ora anche i nemici dell’integrazione europea devono farsi da parte perché qui non è più in gioco “l’integrazione e cioè la sopravvivenza stessa della UE”, ma la decarbonizzazione e la “sopravvivenza del pianeta”.

Quindi, bando agli indugi, la UE finanzi tutto con debito comune e saremo salvi. L’unico rischio per noi è che, conoscendo i tempi biblici della UE, “Anto’, fa freddo” della Ranieri lo ascolteranno i nostri discendenti tra qualche secolo, altro che 2050.

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