Nonostante l’iniziale riprezzamento della politica monetaria e la crisi bancaria di marzo, il nuovo anno è cominciato all’insegna dell’ottimismo, con i dati macroeconomici dei mercati sviluppati più resilienti del previsto e robuste stagioni degli utili nelle principali geografie.
Il primo trimestre è stato caratterizzato da una divergenza tra la piuttosto contenuta volatilità azionaria e quella obbligazionaria, che invece è stata elevata, portando al ritorno della tradizionale decorrelazione tra la performance delle obbligazioni e quella delle azioni, un fattore che rende i portafogli multi-asset più resilienti. Complessivamente dunque i portafogli hanno retto bene la pressione, grazie al comparto obbligazionario che ha beneficiato del calo dei tassi, e all’azionario che, dopo il ritracciamento iniziale, ha recuperato terreno, sull’onda dell’ottimismo degli investitori.
Durante la crisi bancaria di marzo, culminata con il fallimento di SVB e il salvataggio di Credit Suisse da parte di UBS, i tassi sono crollati e l’azionario ha sofferto, come da manuale, con il settore bancario che ha registrato le perdite peggiori. Più interessante, invece, è stata la reazione dei mercati dopo il superamento della crisi.
LE BANCHE CENTRALI E L’INFLAZIONE
Nonostante i banchieri centrali abbiano posto l’accento sulla forza del sistema bancario e sulla volontà di combattere l’inflazione, infatti, i tassi sono rimasti bassi e a poco sono servite le dichiarazioni di Powell e Lagarde, che, nel corso dei due meeting di marzo, hanno ribadito la loro determinazione a tenere i tassi alti ancora a lungo. La scommessa dei mercati è duplice: da una parte, si aspettano che le Banche Centrali taglino i tassi nel caso in cui la crisi bancaria dovesse peggiorare; dall’altra, la sofferenza delle banche commerciali potrebbe rappresentare, controintuitivamente, una notizia positiva per la lotta all’inflazione, perché gli istituti privati correrebbero a rafforzare i propri bilanci, emettendo meno credito e causando un rallentamento delle economie e, di conseguenza, della spirale inflattiva.
A fine marzo, il gap tra i tassi prezzati e i blue dots dell’ultimo mese, che catturano le attese di rialzo tassi dei partecipanti alle decisioni della Fed, è di circa 80 punti base, un livello molto elevato che rende ogni scommessa sulla duration pericolosa. Per il momento sembra quindi che i mercati stiano sottovalutando la determinazione della Fed a voler rialzare i tassi, e questo spingerà il numero di rialzi prezzati verso l’alto.
COSA FARÀ LA FED, FORSE
Tuttavia, tenendo in considerazione il fatto che la stretta creditizia post-crisi bancaria potrebbe corrispondere ad un rialzo di 25-50 punti base, sembra plausibile che la Banca Centrale americana possa moderare i toni qualora i dati economici (quelli del mercato del lavoro, in particolare) dovessero sorprendere al ribasso nel prossimo mese. In ogni caso, ulteriori crolli significativi nelle attese prezzate non rientrano nel nostro caso base.
LE PREVISIONI PER L’EUROPA
Confrontando le diverse aree geografiche, l’indice MSCI Europe ha sovraperformato l’MSCI Usa di quasi il 12% da ottobre a fine marzo: una differenza attribuibile principalmente al fatto che l’inverno europeo abbia registrato temperature più miti rispetto alle attese, una sorpresa che, da un lato, ha evitato che la crisi energetica impattasse sul sistema produttivo del Vecchio Continente, dall’altro ha notevolmente migliorato le attese di crescita. A questo si aggiungono altri fattori come la riapertura dei confini cinesi, che ha dato nuova linfa al settore dei consumi, soprattutto quelli più ciclici, il miglioramento del sentiment dei consumatori e il contesto di inflazione elevata, dove le valutazioni basse hanno continuato a supportare la performance.
Guardando al futuro, sebbene l’outlook per l’Europa sia significativamente migliorato, per i prossimi mesi è preferibile mantenere un posizionamento cauto, in quanto l’inflazione sta sì scendendo su base annua, ma a un ritmo più lento di quanto sperato e rimane ben al di sopra dell’obiettivo nella maggior parte delle regioni. Da monitorare attentamente anche una possibile nuova escalation del conflitto in Ucraina, che penalizzerebbe soprattutto l’azionario europeo, e l’eventualità di una recessione: in entrambi questi casi riteniamo che l’azionario Usa offrirebbe una protezione maggiore.
Nel complesso, l’interpretazione più sensata è che i mercati si aspettano uno scenario in cui l’inflazione continuerà a rallentare, rappresentando sempre meno una minaccia, mentre l’economia rimarrà comunque più forte rispetto a fine 2022, anche se anch’essa in rallentamento per via dell’azione della Banca Centrale. A nostro parere, però, questo ottimismo dovrà presto essere supportato da un peggioramento (anche debole) dei dati sul lavoro e da un forte rallentamento dell’inflazione, altrimenti potremmo assistere a una parziale inversione di tendenza.