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Bce

Ecco il vero errore della Bce di Lagarde

Cosa va e cosa non va nel modello della Bce su inflazione e tassi. Il commento di Liturri.

La Bce, come atteso e già largamente prezzato dai mercati, ha tagliato il tasso di interesse di riferimento sui depositi dal 3,75% al 3,50% e ci consegna a un futuro della cui evoluzione non ha la più pallida idea. O meglio, un’idea della strada da percorrere ce l’ha, ma prescinde completamente dalla realtà.

Infatti sia il comunicato stampa che la successiva conferenza stampa di Christine Lagarde sono stati dominati dalla paura di usare parole che potessero lasciar presagire le prossime mosse dell’Eurotower. Invece, abbiamo ascoltato il solito ritornello della “dipendenza dai dati” e l’esplicitazione della volontà di non prendere in anticipo impegni per le prossime riunioni del Consiglio Direttivo, a partire da Lubiana il prossimo 17 ottobre. “Non esiste un sentiero discendente predefinito, né nei tempi né nei volumi… sui tassi sarà quel che sarà”. Nemmeno nel peggiore degli incubi avremmo potuto immaginare un Presidente della Bce parlare in termini così evanescenti, come se fosse uno di passaggio e non un decisore attorniato da un esercito di economisti.

Il paradosso, se non proprio la palese contraddizione, è che tutta questa prudenza mal si concilia con le proiezioni su inflazione e crescita che la stessa Lagarde ha reso note. L’inflazione “core” (senza energia e alimentari freschi) è stata rivista leggermente al rialzo (2,9%, 2,3% 2% rispettivamente nel 2024, 2025, 2026), mentre sono state confermate le stime per l’inflazione totale (2,5%, 2,2%, 1,9%).

Quindi ci attende uno scenario in cui l’inflazione stenta a rientrare, anzi dà segni di vitalità, e la crescita invece si riduce sempre più. Risultati che, in un mondo normale, sarebbero stati sufficienti per il licenziamento in tronco di qualsiasi amministratore delegato. Investita del compito di contrastare l’inflazione, l’unico risultato che la Lagarde riesce a ottenere è quello di far ristagnare la crescita. Questo per chi crede che la Lagarde voglia genuinamente contrastare l’inflazione e promuovere la crescita.

Invece qui ci permettiamo di obiettare che non è colpa ma dolo.

In Bce dominano coloro – tedeschi in testa – che perseguono tenacemente un unico obiettivo: quello di preservare il modello, tutta deflazione e moderazione salariale ed export, che è ormai giunto al capolinea. Ma questo non lo vogliono capire. Con la stessa testardaggine con cui nel 1945 i loro predecessori non capirono che l’Armata Rossa avrebbe issato a breve la bandiera con falce e martello sul Reichstag. Come puntualmente avvenne.

E allora, pur di ottenere quel risultato, si preferisce mantenere i tassi relativamente alti e smorzare sul nascere qualsiasi ipotesi di ripartenza degli investimenti, dei consumi e, di conseguenza, di crescita salariale. Non a caso nel secondo trimestre la crescita dei salari si è ridotta al 4,3%, dal 4,8% del trimestre precedente. Solo uno scenario di stagnazione o, peggio, recessivo riesce a contenere la crescita salariale. Anche se Fabio Panetta e Piero Cipollone – gli italiani presenti in Consiglio – hanno già scritto fiumi di inchiostro per ribadire che il pericolo di spirale prezzi-salari non esiste, in quanto i margini di profitto cresciuti negli anni post Covid, sono in grado di assorbire i maggiori costi senza scaricarli a valle.

In conclusione, pur di inseguire i fantasmi tedeschi del passato e l’ottusità del presente, la Lagarde ci sta condannando alla stagnazione, senza peraltro conseguire apprezzabili risultati sul fronte dell’inflazione, dominata da dinamiche esogene (politiche green, colli di bottiglia produttivi, de-globalizzazione) che difficilmente riescono ad essere incise da movimenti nei tassi. Un “capolavoro” epocale.

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