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Imprese

Coronavirus: quali rischi nell’Asia-Pacifico? Report Sace-Simest

Un focus tratto dalla Mappa dei Rischi 2020 di Sace-Simest (gruppo Cdp)

Manifestatasi al volgere del termine dello scorso anno nella provincia cinese di Hubei e poi diffusasi anche oltre i confini del Paese del Dragone, l’epidemia Coronavirus è uno dei fattori alla base dell’atteso rallentamento dell’economia globale nel 2020. L’impatto economico negativo dovrebbe avere natura temporanea – coerentemente con l’ipotesi dello scenario di base di un contenimento dell’emergenza nei prossimi mesi – ed è previsto svanire nel 2021. Oltre evidentemente alla Cina, gli effetti saranno avvertiti principalmente dai Paesi dell’area Asia-Pacifico, colpiti attraverso una serie di canali.

Export e produzione

La prolungata chiusura delle fabbriche cinesi nella fase di avvio dell’anno dovuta allo scoppio dell’epidemia porrà, almeno nella prima metà del 2020, un freno all’industria manifatturiera dei Paesi dell’area. Tra le economie più esposte vi sono quelle che presentano un elevato contenuto di valore aggiunto nelle esportazioni di beni intermedi verso la Cina: tanto maggiore è il primo, tanto più il Paese è esposto al calo della produzione industriale cinese. Per alcune economie, si tratta di una porzione superiore o pari al 10% del proprio Pil: il 18% per Taiwan; circa il 10% per Corea del Sud, Hong Kong e Malaysia.

Altri Paesi, come l’Indonesia, sono invece esposti in misura inferiore (3%). Oltre ai rischi connessi a un calo della produzione – e quindi della domanda – cinese, vi sono quelli legati all’interruzione delle forniture in arrivo da Pechino. Per molti Paesi la percentuale di prodotti intermedi importati dalla Cina risulta infatti elevata, specie in alcuni settori. Tra questi vi è il tessile, per il quale le forniture delle imprese del Dragone rappresentano il 69% del totale in Cambogia, il 55% a Hong Kong, il 47% in Vietnam e oltre il 40% in Corea del Sud e Malaysia. Particolarmente esposto è anche il settore dell’elettronica (cfr. Box 3) in India (48%), Corea del Sud (45%), Indonesia (43%) e Vietnam (41%).

Turismo

Con oltre il 10% della popolazione cinese soggetta a limitazioni negli spostamenti e con alcuni Paesi che hanno chiuso i propri confini ai passeggeri provenienti dalle zone interessate dal coronavirus, il calo dei flussi turistici dalla Cina rappresenta uno dei canali di propagazione dello shock. Rispetto al 2003, anno in cui si manifestò la SARS, il numero di viaggiatori cinesi è aumentato di circa dieci volte e la loro spesa rappresenta oggi una quota importante del Pil di Paesi quali Hong Kong (7%), Cambogia (6%), Thailandia (4%) e Vietnam (più dell’1%).

Settore bancario

Nello scenario a minore probabilità di accadimento di un periodo più esteso dell’emergenza, anche le banche dell’area Asia-Pacifico potrebbero subire alcune ripercussioni. Ciò è particolarmente vero in una regione che presenta elevati livelli di debito, specie nel settore privato.

In Cina, è verosimile attendersi un aumento dei crediti deteriorati; un certo numero di imprese sta infatti incontrando difficoltà nell’onorare i propri debiti per via dell’interruzione delle attività. I rischi riguardano principalmente gli istituti con una cospicua esposizione verso le piccole e medie imprese che, a dispetto di quelle di maggiori dimensioni, hanno minore capacità di fronteggiare periodi di crisi. Oltre alle banche di Pechino, quelle di altri Paesi dell’area potrebbero subire una riduzione dei margini di profitto e un deterioramento della qualità dei propri attivi. Ciò riguarda soprattutto gli istituti più esposti verso le imprese che subiscono interruzioni e ritardi nelle forniture (da e verso la Cina) o legate all’andamento del settore turistico.

Infine, sempre nel caso in cui gli effetti del coronavirus dovessero rivelarsi più profondi di quanto al momento atteso, alla riduzione della crescita di alcuni Paesi si potrebbe affiancare una riduzione dei valori immobiliari, con un conseguente peggioramento degli attivi bancari, specie in quelle economie che hanno assistito a un rapido apprezzamento del settore real estate negli ultimi anni (Cina, Hong Kong, India e Malaysia). Va comunque evidenziato che in tale scenario più pessimistico, gli interventi di supporto – sia fiscale sia monetario – sarebbero di maggiore entità.

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