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Matteo Renzi

Ecco le ultime capriole di Renzi e renziani sull’austerità (che ora va rottamata perché Salvini non sarà più al governo…). L’analisi di Liturri

Tesi, tweet e contorsioni su politica economia e rapporti con l'Ue ad opera di Matteo Renzi e di molti renziani. Il commento dell'analista Giuseppe Liturri

 

Durante le vacanze d’agosto, i politici pur di non annoiarsi (invero quest’anno non ce n’è stata occasione) si dedicano a letture ed approfondimenti e scoprono quanto, da anni, un vivace dibattito a livello mondiale continua incessantemente a ripetere:

  1. Il surplus di bilancio pubblico della Germania fa male a sé stessa, all’Europa ed al mondo, in ordine decrescente.
  2. Stessa cosa dicasi per il surplus di bilancia commerciale.
  3. Le politiche di riduzione del deficit imposte all’Italia hanno prodotto solo danni e peggiorato il debito.

Solo così può spiegarsi l’improvvisa resipiscenza di Matteo Renzi e del suo economista di riferimento Luigi Marattin su questi temi.

Sarà il caso di ricordare il perentorio tweet – accompagnato da video opportunamente titolato, affinché non ci fossero dubbi – del 27 settembre 2018 in cui un deficit/PIL del 2,4% veniva bollato come “manovra irresponsabile”.

Nel frattempo è passata molta acqua sotto i ponti.

Quel deficit è stato ridotto al 2% per evitare la procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea e risulta attualmente pari al 2,4% perché la previsione di crescita del PIL 2019 si è drasticamente ridotta a qualche decimale di punto.

Ma, cosa ancora più rilevante, la contrazione del commercio internazionale – vero “primo motore immobile” del Pil di mezza Europa –in atto dai primi mesi del 2018, è proseguita fino a mandare quasi certamente in recessione la Germania. Infatti, è elevata la probabilità che il dato negativo del secondo trimestre sia seguito da un altro dato negativo di crescita del PIL per il terzo trimestre e, già da mesi, tutti gli indicatori anticipatori prevedono burrasca. Da ultimo proprio oggi l’indice tedesco IFO ha fatto segnare l’ennesima riduzione.

Di fronte a questa marea montante, è comprensibile che risulti oltremodo sconveniente sostenere, come gli ultimi giapponesi dispersi nella giungla dopo la fine della guerra mondiale, la bontà della politica economica imposta dalla Commissione all’Italia, fatta di una continua riduzione del deficit/PIL (dal 3% del 2014 al 2,1% del 2018), con effetti scarsi o nulli sulla riduzione del debito/PIL, inchiodato tra il 131 ed il 132%.

E così, ha cominciato ad affiorare il fiume carsico degli smarcamenti, dell’accreditarsi come sempiterni nemici dell’austerità. Uno spettacolo francamente avvilente. Un cambio di linea politica così repentino da ricordare l’8 settembre 1943.

D’altronde i segnali non erano mancati. Come al solito, il solco lo aveva tracciato Draghi che all’inizio di giugno aveva parlato esplicitamente di limiti della politica monetaria e del ruolo necessario della politica fiscale per stimolare la crescita e l’inflazione nell’eurozona. Addirittura anche il ‘falco’ Weidmann si è lanciato ieri sulla sua scia, confermando l’importanza della politica fiscale in un’intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung.

Il 19 agosto ci pensava il premio Nobel Paul Krugman a definire come ‘un’ossessione’ il rifiuto dei tedeschi di fare politiche di bilancio espansive, danneggiando sé stessi ed i vicini.

A seguire, il Sole del 21 agosto dava prontamente spazio ad un’imbeccata di Bruxelles relativa ad un maggiore deficit (più di mezzo punto di PIL, non bruscolini) possibile in caso di ‘sovranisti’ fuori dall’esecutivo. Un’enormità lasciata cadere senza battere ciglio, come se fosse una cosa normale. Il Sole di oggi rimarca il concetto senza alcun pudore.

Il 24 agosto era il turno di Vitor Costancio (ex vice presidente della BCE) che, in un’intervista a Der Spiegel, dichiarava senza peli sulla lingua che il pareggio di bilancio tedesco era una cosa priva di senso economico.

Il 26 agosto, completava il quadro un articolo sul Financial Times che preannunciava una revisione delle regole, troppo complesse, che disciplinano gli obiettivi di bilancio per i paesi UE, considerati troppo stringenti e troppo complicati e discrezionali nella loro determinazione.

A Renzi deve essere sembrato abbastanza per una fantastica piroetta e lasciarsi opportunisticamente fulminare sulla via di Damasco con un tweet dei suoi, da cui par di capire che l’austerità è ora brutta e cattiva ma, per scacciarla, deve andare via Salvini. Al che sono state numerose le richieste tendenti a capire cosa differenziasse un deficit chiesto da Salvini da uno chiesto da Renzi, considerato che, fino a ieri, si trattava di ‘manovra irresponsabile’.

È giunto in immediato soccorso Marattin, si proprio lui, che si vantava pochi mesi fa della costante riduzione del deficit ad opera dei governi Renzi/Gentiloni e che oggi non trova niente di meglio che difendere l’uscita di Renzi facendosi scudo proprio del sopra citato articolo del FT. Insomma, secondo Marattin, l’ha detto il FT e quindi è cosa buona, nonostante fino a ieri loro abbiano difeso a spada tratta quelle regole e si siano prontamente adeguati ad esse. Non pago, ha poi replicato ad una richiesta di chiarimenti, finalizzati a capire quale fosse la differenza tra il maggior deficit richiesto da Salvini o da Renzi, inventandosi una differenza che non esiste. Infatti, Bagnai ha sempre contestato le regole e la loro discrezionalità, scrivendo a lungo sull’insensatezza del deficit strutturale di bilancio e sulla connessa definizione di output gap.

A completare il delizioso siparietto e rovinare l’immagine di Renzi novello alfiere della fine dell’austerità, giungeva infine la professoressa Veronica De Romanis, che obiettava a Renzi di non aver mai fatto austerità e quindi non potersene intestare la fine, essendo in continuità con Di Maio e Salvini in quanto a politica fiscale.

Ma l’obiezione della De Romanis non è supportata dai dati. Infatti, Renzi ha effettivamente fatto austerità, riducendo il deficit dal 3% del 2014 al 2,1% del 2018, ma ne ha fatta leggermente meno di quanto promesso ogni anno alla UE e richiesto dal Fiscal Compact. Ma non per questo si può definire la sua politica “espansiva”. Insomma per Renzi mai una gioia: ora che c’è da fare la lotta all’austerità e lui è lì pronto, lancia in resta, gli viene pure obiettato di non averla mai fatta.

La risposta a Renzi, è invece contenute nelle cifre di questo tweet: l’unica vera discontinuità la si è avuta nel 2019, per il quale è previsto un deficit del 2,4%, per la prima volta in aumento rispetto all’anno precedente.

Proprio quella manovra che loro definirono irresponsabile e che, col senno di poi, dobbiamo solo ringraziare per aver contribuito a mitigare gli effetti della recessione importata in eurozona dalla Germania, i cui segnali erano già abbondantemente noti nell’autunno 2018.

Insomma, le buone letture di Renzi dell’estate 2019, posto che le abbia fatte e che non si tratti della solita opportunistica piroetta, sono in ritardo di almeno un anno.

Se le avesse fatte prima, avrebbe certamente obiettato sul contenuto ma poi avrebbe combattuto in Europa per difendere il saldo complessivo della legge di bilancio del precedente Governo, l’unica timidamente espansiva dopo 10 anni consecutivi di deficit/PIL decrescente, anziché invocare opportunisticamente la fine dell’austerità ad agosto 2019, dopo aver pedissequamente obbedito alle richieste di Bruxelles dal 2014 al 2018.

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