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Ecco le lacune del Def

Che cosa c'è e che cosa non c'è nel Def. L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Nostro malgrado, siamo costretti a rimarcare una vistosa lacuna nel Def, appena varato dal Ministero dell’economia. Nessun accenno alla “Posizione patrimoniale netta sull’estero” da parte dell’Italia. Un dato che, in panorama denso di preoccupazioni quale quello interno ed internazionale, avrebbe garantito un minimo di tranquillità, contribuendo ad accrescere quella fiducia, che rappresenta il viatico migliore per il nostro incerto futuro.

Come si può osservare nel grafico, il miglioramento della situazione italiana è stato strabiliante. In un solo anno (2021) i crediti concessi all’estero sono stati pari ad oltre 94 miliardi di euro, stando almeno ai dati forniti dalla Banca d’Italia.

L’anno precedente non era stato da meno: si era passati da un debito pari a circa 57 miliardi di euro nel primo trimestre, ad un credito di 33,5. Con un saldo relativo di 90 miliardi. Tutto ciò significa, secondo le valutazioni di Eurostat, che alla fine del 2020, i crediti verso l’estero ammontavano al 2 per cento del Pil, mentre l’anno successivo il salto era stato al 7,4 per cento.

Stando alle vecchie regole del debito (pubblico), ogni anno esso dovrebbe diminuire del 4,5 per cento (150-90/20). Nel 2021, sempre secondo il Def, la caduta è stata pari al 4,4 per cento, nel 2022 dovrebbe essere pari al 3,8. Saremmo pertanto inadempienti, sennonché il nostro credito verso l’estero, nel frattempo, è destinato ad aumentare ulteriormente. Contraddizione evidente. Se le previsioni del quadro macro fossero rispettate, con un surplus delle partite correnti pari al 2,3 per cento, l’ulteriore credito verso l’estero dovrebbe aumentare di oltre 40 miliardi, per raggiungere un valore pari a più di 170 miliardi di euro. Pari a circa il 9 per cento del Pil e solo di poco inferiore all’ammontare delle risorse ottenute dall’Europa con il Recovery Found.

Alla luce di queste considerazioni appare evidente come sarebbe stato almeno necessario accennare ad un fenomeno di questa portata. Come del resto era avvenuto lo scorso anno. Nel Def 2021, infatti, si annotava: “va segnalato che il susseguirsi in anni recenti di surplus negli scambi con l’estero ha portato l’Italia a conseguire alla fine del terzo trimestre 2020 una posizione patrimoniale netta sull’estero lievemente positiva, pari a 3 miliardi (da un saldo negativo di 78,8 miliardi un anno prima).” Commento che più algido non si può, ma almeno presente in voluminoso incartamento che oggi consta di ben 600 pagine, con decine e decine di grafici e di tabelle.

L’importanza di quei dati sta nel loro significato recondito. Illustrano infatti la realtà di un paese, come l’Italia appunto, che in questi ultimi anni, grazie ad immensi sacrifici, è riuscito a risalire la china. Ha azzerato tutti i suoi debiti con l’estero che, ancora nel 2014, ammontavano al 25,2 per cento del Pil e trasformato quella posizione debitoria in una creditizia. Il che è stato possibile solo grazie alle capacità del suo apparato produttivo di concorrere sul piano internazionale, con il contributo di tutti, conquistando posizioni di rilievo. Che si sono riflesse in un crescente attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti.

Indubbiamente vi ha contribuito una fortunata congiuntura. Il calo dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici ha fatto risparmiare sul costo delle importazioni. Sennonché la differenza tra ieri (il 2021) e domani (le previsioni per il 2022) non sono tali da contraddire lo schema. La flessione nel surplus delle partite correnti, secondo le previsioni del Def, dovrebbe essere pari ad 1 punto: dal 3,3 al 2,3 per cento del Pil. Il che dovrebbe tranquillizzare tutti coloro che si agitano invocando lo spettro del carovita, che indubbiamente vi sarà. Ma forse con conseguenze meno drammatiche di quanto temuto o auspicato.

La tesi del tanto peggio, tanto meglio, ogni tanto, rispunta come la gramigna. Nascondendo il dato di fatto di un’Italia che è il terzo Paese creditore verso l’estero dell’Eurozona, dopo l’Olanda e la Germania. Ma che, al tempo stesso, non riesce ad utilizzare, al proprio interno, quelle risorse per far fronte ai drammatici problemi socio-economici – dalla disoccupazione al Mezzogiorno – che ne caratterizza il relativo profilo.

La dimenticanza, nell’approccio seguito da Via XX Settembre, andava comunque segnalata. Tanto più che quel dato rappresenta uno degli elementi portanti della MIP (macroeconomic imbalance procedure): quel complesso di regole europee, previste dal Regolamento n. 1176 del 2011, poste a presidio della stabilità macroeconomica. Che poi è la migliore garanzia per prevenire possibili crisi di carattere finanziario, il cui dispiegarsi altro non è che la conseguenza del mancato intervento all’insorgere della prima malattia. Che se non curata è destinata a debilitare l’intero organismo. Come si ricorderà la Commissione europea ha, da tempo, individuato una quarantina di indicatori, sulla base dei quali, fotografare la situazione di ciascun Paese. Indicatori che sono stati suddivisi a seconda della loro importanza relativa in “principali” ed “ausiliari”. Ed i primi tra “squilibri esterni e di competitività”, “squilibri interni” e “mercato del lavoro”.

L’analisi dell’andamento delle partite correnti e della “Posizione patrimoniale netta sull’estero” o NIIP (Net International Investment Position) rappresenta uno degli scoreboard più importante del primo gruppo di indicatori. Circostanza che avrebbe dovuto indurre i tecnici del Tesoro ad una maggiore circospezione. Se così non è stato, deve esserci, evidentemente un qualche problema. Avendo avuto in passato una notevole frequentazione con quei luoghi, ciò che si può immaginare, al di là dell’indubbia professionalità degli addetti, è l’esistenza di una forte dose di tradizionalismo. Il che, in genere, può anche rappresentare una dote. Sennonché nei momenti in cui si è costretti a navigare in “terre incognite”, come aveva ricordato Mario Draghi nell’apprestarsi a varare “politiche non convenzionali”, tutto ciò può fare da filtro. E trasformarsi in una sorta di “falsa coscienza” destinata a pesare negativamente sugli sviluppi futuri.

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