Dopo aver letto l’editoriale del senatore a vita Mario Monti sul Corriere della Sera di lunedì a noi – inguaribili “boomer” – è venuta in mente una scena del film “Continuavano a chiamarlo Trinità” in cui Terence Hill stordisce chi lo ha accusato di aver barato con un rapidissimo gioco in cui alterna sberle ed estrazione della pistola. Ripetuto un paio di volte giusto per chiarire le idee al suo interlocutore.
Forse è a questo che ambisce Monti col suo editoriale che chiama alla riscossa la UE che nel negoziato con gli Usa “ha perduto tutto, pure l’onore”.
È inconsolabile il senatore, e si rifugia nelle citazioni di Jean Monnet e Franklin Delano Roosevelt per trovare le parole giuste per «riscattare, al più presto, l’onore perduto e recuperare almeno in parte le sostanze dissipate in forma di costosi doni fatti in anticipo al Grande Dealer nella speranza di placarne le ire e moderarne le pretese in materia di dazi».
Ma gli argomenti su cui fare leva per “riscattarci” rischiano di farci prendere altri schiaffi.
Il primo – Nato e difesa europea – riconosce a Donald Trump la correttezza della richiesta di riequilibrare l’onere della difesa europea. Ma, pur trovando un accordo su questo punto, «sarebbe imprudente affidarci ad occhi chiusi ad una potenza la cui politica estera è diventata volatile, imprevedibile, stravagante. Certo, ci vorrebbe una politica estera europea comune. Sappiamo però che alcuni Paesi, tra cui l’Italia, sono contrari al superamento del diritto di veto».
Insomma, dobbiamo essere capaci di fronteggiare gli Usa con uno strumento – una politica estera comune – che non abbiamo e che probabilmente mai avremo. E, per peggiorare le cose, dovremmo pure rinunciare all’unanimità e accodarci alla volontà di una maggioranza. A noi sembra la ricetta per il suicidio, non per il riscatto.
Il secondo – Global Minimum Tax (Gmt) – è un altro non sequitur che ci potrebbe far prendere altri ceffoni. Infatti, Monti propone addirittura di disattendere l’accordo raggiunto il 28 giugno in sede G7, solo perché “non è stato perfezionato in sede Ocse”. Allora secondo Monti occorre che «Francia, Italia, Germania, Regno Unito, Canada e Giappone, o almeno alcuni di essi, informino Washington che il 15% rimane, per tutti».
Insomma Giancarlo Giorgetti dovrebbe avere il coraggio di dire che quello che lui stessa aveva definito “un onorevole compromesso” era tutto uno scherzo.
Con quell’accordo politico al G7 canadese, gli Usa hanno ottenuto che le loro multinazionali siano sottratte alla Gmt che consiste in un’aliquota minima effettiva del 15 per cento, applicata distintamente in ciascun Paese in cui operano attraverso le proprie controllate, e anche indipendentemente dalla stessa volontà di questi Paesi. Al contrario, nel regime di tassazione anti-elusivo statunitense (Gilti) l’imposta minima è applicata al totale dei profitti nazionali ed esteri, guardando pertanto alla struttura complessiva della multinazionale americana e non alla sua attività Paese per Paese. Quindi gli Usa non si sono sottratti al regime antielusivo, ma non hanno inteso rinunciare alla loro potestà e sovranità tributaria. Assoggetteranno le multinazionali al loro regime impositivo Gilti che, pur essendo molto più blando rispetto alla Gmt, ha l’innegabile vantaggio di far affluire le entrate nelle casse federali Usa, e non in quelle dei Paesi in cui operano le controllate estere.
Ricordiamo che la denuncia degli accordi Ocse sulla Gmt è stata una delle prime decisioni della Presidenza Trump. Ma ora arriva Monti e Trump cambierà idea. Auguri!
Il terzo punto – digital tax – è, se possibile, ancora peggio del secondo. Infatti «È essenziale che, anche qui, l’Europa dichiari che si riserverà di decidere autonomamente, indipendentemente dai desideri degli Stati Uniti». Ovvero come scatenare una tempesta perfetta sui consumatori europei. Perché la conseguenza più probabile di questo prelievo sarebbe la immediata traslazione a valle sui consumatori europei, che potranno solo subirlo, trattandosi di servizi a domanda relativamente rigida, per i quali non ci sono fornitori alternativi. Qualcuno crede, restando serio, che saranno i fornitori Usa a restare incisi da questa tassa? Una mossa decisamente “tafazziana”. Per non parlare del fatto che gli accordi Ocse (Pillar 1) prevedono proprio il superamento di queste “digital tax”.
Il quarto – coordinamento delle democrazie liberali – è il libro dei sogni. Infatti propone che «alcuni Paesi europei dovrebbero formare un nucleo ideale e politico, più che geografico, che porti avanti i valori che gli Stati Uniti fino a poco tempo fa, l’Europa ed altri hanno coltivato». Insomma, poiché la UE non ha funzionato, facciamone un’altra. Cosa potrebbe mai andare storto?
In conclusione, “non sventoliamo cinicamente gli interessi nazionali” e evitiamo di “genufletterci” offrendo “fedeltà al più potente”. Invece, seguiamo le proposte di Monti e partiamo all’attacco… lanciando dei perfetti boomerang. Se queste sono le idee per negoziare con gli Usa, siamo fortunati che domenica 27 luglio non ci sia stato Monti a negoziare con Trump.