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Ecco il prossimo Def (striminzito) di Tria

Come sarà il Def che dovrebbe approvare il governo martedì 9 aprile. L'articolo di Daniele Capezzone per il quotidiano La Verità

 

Inutile girarci intorno. Il ministro Giovanni Tria sembra perseguire una sua linea di politica economica, spesso convergente con i falchi pro-austerity della Commissione Ue, e – quindi – non di rado sensibilmente diversa da ciò che i due azionisti di maggioranza del governo dichiarano ogni giorno.

Il Def che sarà varato martedì prossimo dovrebbe contenere una previsione di crescita assai rattrappita per quest’anno (non più l’1% ma lo 0,2%). Per converso, il rapporto deficit/Pil salirebbe dal 2,04% al 2,4% (forse al 2,5%), mentre il rapporto debito/Pil sfonderebbe largamente la barriera del 132% (contro il 130,7% stimato alla fine dell’anno scorso).

Ma se oggi sei più o meno intorno allo 0,1%, e stimi per tutto l’anno appena lo 0,2%, ciascuno comprende che anche il secondo semestre rischia di essere caratterizzato dalla stagnazione. Non più recessione, come i due trimestri negativi appena trascorsi: ma comunque una crescita ridottissima, stagnante, di fatto impercettibile per famiglie e imprese.

In questo quadro, si è inserito come una lama nel burro il solito commissario lettone Valdis Dombrovskis. Lo stesso che – insieme al suo collega francese Pierre Moscovici– aveva chiuso tutti e due gli occhi rispetto al decimo sforamento in undici anni della cosiddetta regola del 3% da parte della Francia. Lo stesso che, con mezza Commissione, aveva quasi ogni giorno sparato a palle incatenate contro l’Italia per tre mesi, da ottobre a dicembre, rigorosamente a Borse aperte. Lo stesso che, con i suoi colleghi, aveva alla fine appesantito il fardello delle clausole di salvaguardia, portandole (solo per l’Italia) al livello-monstre di 23 miliardi per quest’anno e 28 per il successivo.

In un quadro così cupo, ci si aspetterebbe dal governo una frustata pro crescita. E invece pare confermato che, per volontà del Mef, nel Def non ci saranno riferimenti alla flat tax. Ieri, per la Lega, ha marcato il suo dissenso il sottosegretario Armando Siri:“Questo è il tempo non per le timidezze e le paure ma per il coraggio e la visione. E per questo abbiamo fiducia che nel documento di economia e finanza ci sia la flat tax come elemento qualificante per la crescita economica del Paese. La flat tax ha un costo iniziale ma funziona come un antibiotico, ha la forza di curare la recessione”.

Venendo ai decreti che accompagneranno il Def, nell’attesa di leggere la stesura finale del decreto sbloccacantieri (auspicabilmente, una versione non troppo restrittiva), ci sarà comunque il decreto crescita, che conterrà una serie di misure. Eccone alcune: reintroduzione del superammortamento (sia pure con un tetto di spesa e per un periodo limitato); Ires agevolata sugli utili reinvestiti in azienda; innalzamento dal 40 al 50% (e l’anno successivo all’80%) della deducibilità Imu sugli immobili strumentali all’impresa; bonus per le aggregazioni tra imprese; norme per la rottamazione dei tributi locali; nuova Sabatini; sostegno alla ricapitalizzazione d’impresa; tutela dei marchi storici di interesse nazionale; norme per consentire agli enti locali l’abolizione del turn over (meccanismo che secondo il governo porterà a 30-40mila assunzioni in più in Comuni e Regioni). Un pacchetto di misure in larga parte positive e lodevoli. Ma senza uno choc fiscale, senza un mega taglio di tasse, e per altro verso senza un’impennata degli investimenti, e (detto onestamente) senza un confronto a muso duro con l’Ue affinché non continui a dire di no a queste misure, può esserci un ritorno sostenuto alla crescita? La risposta (negativa) sta nella previsione di uno striminzito +0,2% del Pil per il 2019, malinconicamente contenuta nello stesso Def.

(estratto di un articolo pubblicato oggi sul quotidiano La Verità fondato e diretto da Maurizio Belpietro)

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