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Coronavirus, ecco i settori più esposti e quelli che possono ripartire. Report Inapp

Che cosa emerge da uno studio dell'Inapp (Istituto nazionale per l'analisi delle politiche) in vista della fase 2

La riapertura delle attività, dopo lo stop dei settori non essenziali per l’emergenza sanitaria da Covid-19, presenta pericoli per “prossimità fisica e rischio contagio” innanzitutto per il comparto sanitario, ma l’allarme riguarda, subito dopo, “l’istruzione pre-scolastica e gli asili nido”, attualmente fermi. Inoltre, “la maggior parte dell’occupazione nelle professioni altamente esposte ai contatti interpersonali opera nel settore dei servizi (compresa l’assistenza sanitaria, non sottoposta a fermo dell’attività) e nel commercio al dettaglio”.

A sottolinearlo è uno studio dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche), in cui si rimarca che il perimetro delle attività coinvolte dalle misure di ‘lockdown’ per evitare il propagarsi del Coronavirus è “molto ampio, arrivando a coinvolgere, nel nostro Paese, oltre 2,2 milioni di imprese private e 7,3 milioni di addetti”.

LO STUDIO INAPP

La prossimità fisica necessaria allo svolgimento della propria professione è associata al rischio di contagio, si evince dallo studio Inapp: “Più penalizzati i settori dei servizi e nel commercio a dettaglio ma anche le scuole di ogni ordine e grado; l’agricoltura comparto con poca o nessuna prossimità fisica. La possibilità di svolgere la propria attività da remoto assicura un basso rischio di contagio senza imporre il fermo delle attività: circa 3 milioni di lavoratori occupati in settori non sottoposti alle misure di restrizione possono continuare il telelavoro, in particolare le attività professionali, scientifiche e tecniche, finanziarie e assicurative oltre la pubblica amministrazione”, è la sintesi dell’Istituto presieduto da Sebastiano Fadda.

CHI LAVORA DA REMOTO

Chi e quanti lavorano in maniera da remoto? Ammonta a circa 3 milioni la quota dei lavoratori che stanno portando avanti le proprie mansioni in modo ‘agile’, tra coloro le cui attività non son state ‘congelate’ dai provvedimenti governativi per fermare la diffusione del Coronavirus. E le aree produttive caratterizzate dal valore più alto dell’indicatore di propensione all’impiego ‘da remoto’ sono “le attività professionali, scientifiche e tecniche, quelle finanziarie ed assicurative”, quelle di “organizzazioni extraterritoriali, la Pubblica amministrazione e la maggior parte dei servizi professionali”, tutti settori, precisa l’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) “non coinvolti dai decreti di sospensione”. La ricerca, si legge, riguarda un paniere di 800 professioni, e punta ad aiutare a pianificare la cosiddetta ‘fase 2’, che seguirà la fine dell’emergenza sanitaria.

L’ANALISI DI INAPP

Il comparto produttivo relativo all’alloggio e alla ristorazione, come prevedibile, è in coda alla classifica delle attività lavorative che è possibile effettuare in ‘smart working’, rileva l’Istituto, e poco più sopra vi sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio, la riparazione di autoveicoli e motocicli, e il settore delle costruzioni. Quanto, invece, alle professioni le cui attività possono essere più facilmente svolte ‘da remoto’, come nell’industria finanziaria, bancaria e assicurativa, nella Pubblica amministrazione e nella maggior parte dei servizi professionali, si evidenzia che potrebbero “continuare ad operare in questo modo, a meno di nuove indicazioni da parte del governo”, una volta fuori dalla stagione emergenziale, dice l’Inapp.

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE INAPP, SEBASTIANO FADDA

“Le attuali misure di contenimento sono fondamentali e vanno fatte rispettare rigorosamente” ha spiegato il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP: “Lo studio dell’INAPP, i cui risultati sono anticipati nei tratti più rilevanti da questo policy brief, ma che ha prodotto dati più specifici per settore e per professione, vuole offrire uno strumento di consultazione ai decisori politici. Infatti, passata l’emergenza sanitaria, va considerato che esistono settori economici dove il rischio di contagio, dovuto alla prossimità fisica, appare più basso di altri e che quindi possono ripartire gradualmente senza aumentare, o aumentando di poco, il rischio di contagio, mentre altri presentano maggiori difficoltà e quindi potrebbero continuare a lavorare utilizzando le formule di telelavoro o smart working. Nello specifico, le figure professionali più esposte al rischio di infezioni e malattie, oltre al settore sanitario si trovano nel settore dell’istruzione pre-scolastica e degli asili nido che mostrano i valori di rischio di contatto più alti. Ci sono poi professioni le cui attività possono essere più facilmente svolte da remoto, come nell’industria finanziaria, bancaria e assicurativa, nella pubblica amministrazione e nella maggior parte dei servizi professionali, che potranno continuare ad operare in questo modo, a meno di nuove indicazioni da parte del governo”.

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ECCO LO STUDIO INTEGRALE DELL’INAPP

L’emergenza dovuta all’espansione dell’epidemia da Covid-19 ha raggiunto, già dalla prima metà di marzo, dimensioni allarmanti, dimostrando che non si sarebbe esaurita in tempi brevi. Nelle scorse settimane il Governo italiano ha preso una serie di misure al fine di ridurre il rischio di contagio e preservare la salute pubblica.

Con il primo Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo scorso sono state inizialmente sospese le attività di alcuni settori produttivi ritenuti non essenziali, mentre con il secondo del 22 marzo la chiusura è stata ulteriormente estesa ad altri settori. I dati sulla diffusione del contagio riferiti ai primi giorni di aprile lasciano prevedere una possibile e progressiva riapertura dei settori produttivi nell’arco di poche settimane. In tale contesto, a seconda dell’attività professionale svolta e delle caratteristiche del luogo di lavoro, alcuni lavoratori sono più soggetti a rischio di contagio da Covid-19 di altri e ciò accade se operano in prossimità fisica con altre persone (clienti, collaboratori) o se risultano più esposti a malattie e infezioni per le caratteristiche del proprio lavoro. In questa nota si descrivono tali dimensioni di rischio per i lavoratori rispetto ai settori produttivi nei quali operano.

A tal fine, le professioni vengono classificate sulla base di due indici: il primo volto a misurare la frequenza con cui il lavoratore è esposto a infezioni e malattie, il secondo l’intensità della vicinanza fisica richiesta nello svolgimento delle mansioni. In seguito, sulla base della composizione professionale, tali indici vengono riportati a livello di settore, distinguendo tra settori rimasti attivi e settori sospesi dalle misure di contenimento del contagio varate dal Governo. Le professioni italiane vengono, inoltre, classificate in base a un indice di ‘fattibilità di lavoro da remoto’, così da poter capire se i lavoratori dei settori non coinvolti dai decreti di sospensione hanno la possibilità di lavorare da casa, limitando così il rischio di contagio generale.

LA BANCA DATI INAPP-ICP

Le informazioni contenute nell’Indagine campionaria sulle professioni Inapp-ICP consentono di costruire in modo accurato e affidabile l’indice che misura la frequenza dell’esposizione a malattie e/o infezioni, l’indice di vicinanza fisica e, infine, l’indice che misura la possibilità di lavorare da remoto. Queste informazioni appaiono rilevanti nel pianificare la cosiddetta prossima ‘fase 2’, la fase di uscita graduale dalla sospensione delle attività, in cui saranno selezionate quelle da ripristinare in modo prioritario. La base dati utilizzata, tuttavia, non consente di rilevare le reali condizioni di lavoro di ogni singolo lavoratore, ma solo il profilo delle mansioni svolte in ordine ai tre indicatori considerati per ogni professione a 5 digit, secondo la classificazione Istat-CP2011.

L’Indagine Inapp-ICP, promossa congiuntamente da Inapp e Istat nel 2004, è attualmente condotta dall’Inapp. Obiettivo principale dell’ICP è descrivere la natura e il contenuto del lavoro, raccogliendo informazioni analiticamente dettagliate su tutte le circa 800 professioni previste dalla classificazione CP2011, sia in termini di requisiti e caratteristiche richieste al lavoratore, sia in termini di attività e condizioni di lavoro che la professione implica. La banca dati descrive le professioni raccogliendo informazioni relative a varie dimensioni: a) requisiti del lavoratore: competenze, conoscenze, livello di istruzione; b) caratteristiche del lavoratore: abilità, valori, stili di lavoro; c) requisiti della professione: attività di lavoro generalizzate, contesto lavorativo; d) requisiti di esperienza: addestramento, esperienze. L’indagine si rivela particolarmente utile per due motivi. In primo luogo, è estremamente dettagliata in relazione all’attività lavorativa e alle figure professionali. In secondo luogo, è stata pianificata per descrivere specificamente le professioni svolte in Italia, tenendo dunque conto delle caratteristiche del sistema produttivo, del mercato del lavoro e delle istituzioni italiane. Si minimizzano, pertanto, eventuali distorsioni dovute all’utilizzo di indagini costruite per descrivere professioni svolte in altri Paesi, come O*Net, e che potrebbero dunque presentare caratteristiche anche molto diverse rispetto a quelle italiane.

GLI INDICI DI RISCHIO DI MALATTIE E INFEZIONI DI RISCHIO DI PROSSIMITÀ

I risultati mostrano che i lavoratori nei settori maggiormente esposti al rischio di malattie e infezioni lavorano prevalentemente in stretta vicinanza fisica con altre persone. In particolare tra i dieci settori con la maggiore esposizione a malattie e infezioni, quelli del settore sanitario – la cui attività vitale in tempi di epidemia non può essere chiaramente sospesa – riportano i valori più alti (figura 1a). Un alto rischio è presente, inoltre, tra i settori dell’istruzione pre-scolastica e degli asili nido, che, al contrario del comparto sanità, figurano tra i settori che hanno temporaneamente interrotto la loro attività. Tra i primi dieci settori per rischio di prossimità, la situazione si inverte, perché gli insegnanti del settore pre-scolastico e degli asili nido riportano i due valori più alti (figura 1b), senza per altro avere la stessa possibilità di proseguire il proprio lavoro da remoto come, invece, accade per i loro colleghi del comparto della scuola primaria e secondaria e dell’università.

Andando a esaminare il peso occupazionale dei settori aggregati sulla base dell’indicatore di prossimità fisica, si nota che la maggior parte dell’occupazione nelle professioni altamente esposte ai contatti interpersonali opera nel settore dei servizi (compresa l’assistenza sanitaria non sottoposta a fermo dell’attività) e nel commercio al dettaglio. La manifattura occupa la maggior parte dei lavoratori tra il 30 e l’80 percento della distribuzione dell’indice di prossimità fisica. L’agricoltura, che fornisce beni necessari e per questo non è sottoposta a fermo, rappresenta la maggior parte dell’occupazione con poca o nessuna prossimità fisica (figura 2).

Il livello dell’indice di prossimità lavorativa — associato, come accennato, a un maggiore rischio di contagio — risulta più elevato nel comparto manifatturiero e nel commercio, settori interessati in misura elevata dai provvedimenti di sospensione. Tale evidenza lascia supporre che le misure abbiano agito riducendo il rischio di contagio in misura più che proporzionale rispetto alla quota di lavoratori interessati.

L’INDICE DI FATTIBILITÀ DI LAVORO DA REMOTO

Quali sono i settori in cui i lavoratori, per le caratteristiche della professione, hanno più possibilità di poter lavorare da remoto? Quanto incide questa possibilità all’interno dei settori rimasti operativi? La banca dati ICP consente di costruire un indice composito che misura la fattibilità del lavoro da remoto, attuato da modalità di svolgimento della professione regolamentate da strumenti quali il telelavoro e il lavoro agile, o smartworking.

I settori caratterizzati da un valore più alto di tale indicatore (figura 3) sono le attività professionali, scientifiche e tecniche, quelle finanziarie e assicurative, le attività di organizzazioni extraterritoriali, la Pubblica Amministrazione e la maggior parte dei servizi professionali, tutti settori che non sono stati coinvolti dai decreti di sospensione. Al contrario, i settori chiusi in seguito ai provvedimenti del Governo — le attività dei servizi di alloggio e ristorazione e del commercio all’ingrosso e al dettaglio — registrano una predisposizione allo smartworking e al telelavoro molto più bassa.

Anche in questo caso la mancata sospensione di settori dove è possibile svolgere le mansioni lavorative da remoto tende a ridurre il rischio di contagio.

CONCLUSIONI

In conclusione, si osserva che le figure professionali più esposte al rischio di infezioni e malattie, tra cui ovviamente quelle del settore sanitario, mostrano anche un alto grado di vicinanza fisica nella propria attività: tali settori non possono essere sottoposti a sospensione dell’attività perché ritenuti essenziali nella fase di emergenza sanitaria. I settori dell’istruzione pre-scolastica e degli asili nido mostrano, invece, i valori del rischio di contatto più alti e se, da un lato, al contrario del comparto sanità hanno potuto sospendere la propria attività sul posto di lavoro, dall’altro non hanno potuto proseguirla da remoto. Le altre professioni del comparto della scuola, invece, che pure riportano un alto rischio di contatto, grazie alla tecnologia digitale hanno potuto, in gran parte e laddove possibile, lavorare in sicurezza da casa.

Infine, i settori caratterizzati da lavoratori che svolgono professioni le cui attività possono essere svolte da remoto sono l’industria finanziaria, bancaria e assicurativa, la Pubblica Amministrazione e la maggior parte dei servizi professionali, tutti settori non coinvolti dai decreti. Nel complesso, si può stimare che lo smartworking attualmente includa circa 3 milioni di lavoratori in più di quelli direttamente interessati dalle chiusure, contribuendo così, a ridurre il rischio di contagio generale

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