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Pensioni Inps

Ecco i nuovi tagli alla perequazione delle pensioni

"Assordante silenzio della quasi totalità dei media su i nuovi illegittimi tagli della perequazione delle pensioni". L'intervento di Michele Poerio, presidente nazionale FEDER.S.P eV. segretario generale CONFEDIR e Stefano Biasioli, segretario organizzativo FEDER.S.P.eV.

Con decreto legge 115/2022 del Mef è stato deciso di anticipare a novembre 2022 il conguaglio positivo (+ 0,2%) sulle pensioni percepite nel 2022, tredicesima compresa. Ciò è dipeso: dal fatto che si è registrato un differenziale tra tasso di svalutazione previsionale stimato nel 2021 (+ 1,7%) e quello reale e definitivo (+1,9%), valori su cui vengono parametrate le rivalutazioni delle pensioni 2022 e dal fatto che gli indici di svalutazione hanno raggiunto recentemente anche nel nostro Paese valori molto elevati, così da consigliare di anticipare il conguaglio di 2-3 mesi (solitamente avveniva nei primi mesi dell’anno successivo).

Stessa logica vale per l’anticipo del 2% della rivalutazione delle pensioni (riferita, questa volta, alla svalutazione 2022), a valere sull’ultimo trimestre 2022 e tredicesima, deciso dal decreto Aiuti-bis ma limitato solo alle pensioni di minore importo, cioè fino a 2.962 € /mese.

Il conguaglio di cui sopra sarà positivo, certamente, anche l’anno prossimo, visto che l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, senza tabacchi, registrato dall’ Istat nei primi 9 mesi 2022, da cui è stato estrapolato dal D.M. del Mef l’indice di rivalutazione provvisoria del + 7,3% per le pensioni 2023, è chiaramente sottostimato, come risulta dalla svalutazione registrata negli ultimi tre mesi 2022, che ha raggiunto il 12% e più.

Qui di seguito vengono riportati gli indici di svalutazione (provvisori e definitivi) e di rivalutazione degli ultimi 17 anni.

Per effetto dell’anzidetto D.M., nonché delle Circolari Inps, oltre che dalle disposizioni dell’ultima legge di bilancio (legge 197 del 29 dicembre 2022), nel 2023 il trattamento minimo INPS passa da 525,28 €/mese (dopo il conguaglio) a 563,74 €/mese; il valore dell’assegno sociale da 469,03 €/mese a 503,27 €/mese; la pensione sociale passa da 386,54 €/mese a 414,76 €/mese (sempre dopo conguaglio operato sui valori 2022).

Pertanto dal 1° gennaio 2023, e per il prossimo biennio (2023 – 2024), non opereranno più le 3 fasce di rivalutazione a scaglioni rispetto ai diversi importi di una stessa pensione, cioè + 100 % indice Istat per gli importi fino a 4 volte il minimo Inps, + 90% per gli importi tra 4 e 5 volte il minimo e + 75% per gli importi oltre le 5 volte il minimo anzidetto (fasce riprese dalla legge di bilancio 234/2021 del Governo Draghi sulla falsariga della legge 388/2000), per ritornare ai ben più penalizzanti ed ingiusti criteri introdotti dal Governo Letta con legge 147/2013, secondo cui la rivalutazione avveniva secondo una unica percentuale, decrescente rispetto al valore complessivo dell’assegno e sull’intera misura di una singola pensione, senza alcuna fascia di garanzia rivalutativa vera almeno per una quota parte della stessa.

Quindi dal 2023 le pensioni Inps, avranno il seguente sviluppo, sulla base delle diverse fasce di importo complessivo ( partendo naturalmente dal minimo Inps 2022 conguagliato di 525,38 €):

  • fino a 4 volte minimo INPS 2022 ( 2.101,52 €) +100% indice Istat = + 7,300 % di aumento;
  • da 4 a 5 volte“ (da 2.101,53 a 2.626,90 €) + 85% indice Istat = + 6,205 % di aumento;
  • da 5 a 6 volte“ (da 2.626,91 a 3.152,28 €) + 53% indice Istat = + 3,689 % di aumento;
  • da 6 a 8 volte“ (da 3.152,29 a 4.203,04 €) +47% indice Istat = + 3,431 % di aumento;
  • da 8 a 10 volte“  (da 4.203,05 a 5.253,80 €) +37% indice Istat = + 2,701 % di aumento;
  • oltre 10 volte“  (da 5.243,81 € in poi) +32% indice Istat = + 2,366 % di aumento..

Il meccanismo di rivalutazione individuato, nonché la grossolanità dei tagli alla rivalutazione stessa (anche il Governo Letta nel 2013 si era fermato al 40% dell’incremento spettante, oggi siamo al 32% e per un biennio, senza neppure sapere quale sarà la svalutazione, nemmeno previsionale, del 2023 che condizionerà le pensioni 2024) fanno pensare che il legislatore odierno pensasse più a ri-tassare le pensioni medio-alte in godimento piuttosto che difenderne il valore dagli insulti inflattivi. Ma, almeno, ai tempi di Letta la svalutazione era modesta e le discriminazioni meno laceranti, oggi galoppa oltre il 10% e sarà alta anche nel 2023 e, temiamo, nel 2024.

D’altra parte la categoria fiscale cui apparteniamo (mediamente oltre 55.000€ lordi anno di reddito, per intenderci oltre 8 volte il minimo Inps, “gratificata” dal 37 % o dal 32% della rivalutazione riconosciuta sulla base della svalutazione accertata) rappresenta quasi il 5% di tutti i contribuenti italiani e sostiene già quasi il 40% del gettito IRPEF totale del Paese. Cosa altro si vuole da noi?

Inoltre questa tassazione impropria, che rappresenta però una vera “patrimoniale” sulle pensioni medio-alte, non possiede neppure i requisiti richiesti al prelievo tributario legittimo (art. 53 della Costituzione), vale a dire la generalità del prelievo e la proporzionalità dello stesso: si distribuiscono infatti contemporaneamente penalizzazioni o favori, vale la legge del tutto o del nulla. Come pensare che non si vada sempre alla ricerca di “un voto in cambio”, blandendo le categorie più numerose?

E che dire dell’incongruenza che attribuisce ai pensionati tra 4 e 5 volte il minimo la rivalutazione dell’85% nel biennio ed ai pensionati tra 5 e 6 volte il minimo il 53% (32 punti in meno) , col risultato che a fine 2024 (perdurando elevata inflazione) i primi si troveranno verosimilmente con una pensione maggiore dei secondi, che nella vita lavorativa hanno avuto retribuzioni, contribuzioni, responsabilità e meriti maggiori!

Che ne è del principio, più volte ribadito dalla Corte costituzionale, secondo cui la pensione non è che retribuzione differita e che la retribuzione esige proporzionalità tra quantità e qualità del lavoro svolto?

Gli unici pensionati sempre tutelati dall’inflazione ufficialmente riconosciuta sono stati invece, anche negli anni difficili della congiuntura economica ( dal 2008 ad oggi), esclusivamente i titolari di assegni fino a 3 volte il minimo Inps (fino a 4 volte il minimo, dal 2020).

Al contrario a fine 2024 potremo dire che la perequazione delle pensioni medio-alte (per intenderci quelle delle classi dirigenti che hanno sempre pagato le tasse sostenendo quasi interamente il welfare) è stata azzerata, o fortemente limitata, in 13 degli ultimi 17 anni (76,47% del periodo), calpestando fondamentali principi costituzionali ( in particolare quelli degli artt. 3, 36, 38, 53) e decine di sentenze della Corte, facendo perdere alle pensioni in questione almeno il 20% del valore legittimamente maturato e consolidato (e di più hanno perso quanti hanno dovuto subire anche l’esproprio proletario del “contributo di solidarietà”).

Quelli decisi con tanta leggerezza dal legislatore sono infatti danni strutturali, permanenti e crescenti alle pensioni medio-alte, infatti l’effetto si cumula nel tempo, visto che anche le indicizzazioni future saranno applicate ad importi ridotti, specie quando i tagli sono ripetuti nel tempo, quasi abitualmente e con accanimento, cosa che la Corte aveva ripetutamente ammonito Governo e Parlamento dal non continuare a fare.

Naturalmente è legittimo che le Istituzioni possano mirare all’aumento delle pensioni minime, sempre con inadeguate basi contributive e frequentemente senza contribuzione alcuna, ma le risorse devono derivare dalla fiscalità generale e non dai tagli delle indicizzazioni delle pensioni medio-alte, ben differenziando nei bilanci INPS l’assistenza dalla previdenza.

Infatti giustamente il Governo, per fronteggiare l’ondata inflattiva in corso, ha deciso di incrementare del + 1,5% nel 2023 e del + 2,7% nel 2024 le pensioni minime, in aggiunta naturalmente alla rivalutazione annuale piena. Solo per il 2023 e per gli ultra 75enni al minimo l’importo della pensione mensile arriverà a 600 € mensili. Gli incrementi anzidetti, straordinari e temporanei, non rappresenteranno tuttavia la base per l’incremento delle pensioni future.

Anche senza gli interventi anzidetti, la perequazione automatica delle pensioni non raggiunge mai il pieno ristoro dall’inflazione per almeno i seguenti principali motivi: 1) perché il recupero interviene in tempi successivi rispetto al momento dell’insulto inflattivo; 2) perché il “paniere” ufficiale che pesa l’incremento del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati non è specifico per le persone anziane; 3) perché, anche in via ordinaria, la percentuale di rivalutazione è riconosciuta in misura progressivamente decrescente al crescere dell’importo della pensione goduta.

Le pensioni ENPAM non subiscono variazioni significative nella loro rivalutazione 2023: + 75% indice Istat (= + 5,475%) fino a 4 volte il minimo INPS; +50% ( = +3,650%) da 4 volte in su.

Le pensioni di reversibilità ENPAM (aliquota 70%) non subiscono abbattimenti in base ai redditi del beneficiario superstite, mentre quelle INPS-ex INPDAP (aliquota ordinaria 60%) non subiscono tagli sulla base dei redditi dell’avente titolo solo fino a 3 volte il minimo INPS (20.489,82 €/anno); vengono poi decurtate: del 25% per i redditi tra 3 e 4 volte il minimo INPS (oltre 20.489,82 e fino a 27.319,77 €/anno); del 40% per i redditi tra 4 e 5 volte il minimo INPS (oltre 27.319,77 fino a 34.149,70 €/anno); del 50% per i redditi del beneficiario che superino le 5 volte il minimo INPS (oltre 34.149,71 €/anno).

In conclusione, visto lo scempio perpetrato dal 2008 al 2024 sulla rivalutazione delle pensioni medio-alte ed in piena coerenza con il mandato statutario di FEDER.S.P.eV. e CONFEDIR ed il dovere di tutelare i nostri Associati, impugneremo anche questa volta presso la Magistratura competente l’illegittimo criterio di indicizzazione delle pensioni INPS risultante dalla legge di bilancio 197/2022 , nella certezza che la questione venga demandata alla Corte costituzionale per decidere sulla legittimità delle norme da noi contestate, nella speranza che i Giudici chiamati a decidere guardino alle norme ed ai principi costituzionali secondo lo spirito e la lettera con cui sono stati scritti ed approvati, non secondo l’interpretazione forzata ed interessata che piacerebbe al Palazzo. In caso contrario, ne andrebbe mortificata innanzitutto la credibilità Loro e dell’Istituzione rappresentata.

Da parte nostra continuiamo a sperare di trovare, finalmente,”un giudice a Berlino”.

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