Non è un pesce d’aprile, ma un duro richiamo. A farlo è l’Ocse, l’organizzazione dei Paesi industrializzati, che nel suo ultimo rapporto prende di mira il decreto ormai convertito in legge recante le due misure ‘’identitarie’’ del governo giallo-verde (il reddito di cittadinanza e le pensioni). E’ su ‘’quota 100’’ (e dintorni) che si incattivisce l’Ocse, fino ad invitare seccamente l’Italia ad “abrogare le modifiche alle regole sul pensionamento anticipato introdotte nel 2019” con i meccanismi di “quota 100” puntando invece a “mantenere il nesso tra l’età pensionabile e la speranza di vita’’.
In questo modo, il nostro Paese “riallocando le relative risorse su misure che migliorino crescita e inclusione sociale, l’innovazione e l’educazione, preserverebbe la sostenibilità del sistema pensionistico e consentirebbe una riduzione più rapida del debito”. Ci vuole del coraggio a chiedere all’attuale maggioranza che si crogiola in ciò che avverte come una vittoria (anche se si tratta di una sconfitta per gli italiani) di abrogare le misure nuove di zecca.
Ma l’Ocse non demorde: “L’abbassamento dell’età pensionabile a 62 anni con almeno 38 anni di contributi rallenterà la crescita nel medio termine, riducendo l’occupazione tra le persone anziane e, se non applicata in modo equo sotto il profilo attuariale, accrescerà la diseguaglianza intergenerazionale – aggiunge l’Ocse – e farà aumentare il debito pubblico, perché la sostenibilità del sistema pensionistico dipende, anche in maniera rilevante, dall’aumento del tasso di occupazione più allineata con le medie europee e da una crescita della produttività più sostenuta. Quanto al reddito di cittadinanza (la parte scritta in ‘’giallo’’ nella legge), nella sua configurazione attuale “rischia di incoraggiare l’occupazione informale e di creare trappole della povertà”.
Secondo l’Ocse “la condizionalità che i trasferimenti siano subordinati a patti d’inclusione sociale e di occupazione ben concepiti e monitorati è essenziale per la transizione dei beneficiari verso l’occupazione”. In generale “il successo di qualsiasi programma di reddito minimo garantito dipenderà dal miglioramento dei programmi di formazione e ricerca di lavoro – si legge nel rapporto -. Ciò dipenderà dall`attuazione di un programma pluriennale per rinnovare i centri per l’impiego grazie a più ampi investimenti in sistemi informatici, strumenti di profilazione e risorse umane, in particolare nelle regioni in ritardo di sviluppo in cui le necessità sociali sono più ampie e più urgenti”. Che strano! L’organizzazione non parla dei navigator: eppure è la sola maggiore occupazione per ora garantita.
Anche l’Istat ha voluto contribuire ad ‘’avvertire i naviganti’’. Neppure i dati sull’occupazione sono un pesce d’aprile, ma una spiacevole realtà. La disoccupazione resta saldamente sopra al 10%, mentre l’occupazione ‘’segna il passo sul posto’’, annunciando scenari ancora peggiori. Peraltro vengono meno le illusioni – generate dal c.d. decreto dignità – di chi sperava in una migliore qualità dell’impiego ( con un maggior numero di rapporti a tempo indeterminato) anche mettendo in conto, nel complesso, una riduzione quantitativa. La disoccupazione giovanile (15-24 anni) risulta superiore al 32%.
Di fronte a questi dati è sempre bene precisare che questa percentuale non si riferisce ad una platea comprensiva di tutti i giovani di quelle coorti, ma di quelli che già hanno un lavoro o lo stanno cercando (in sostanza quella che viene definita ‘’forza lavoro’’). Se rapportata all’intera platea (comprensiva anche dei giovani ancora impegnati negli studi o comunque fuori dal mercato del lavoro) la percentuale dei disoccupati si riduce al 10-11%. Questa precisazione, che l’Istat riporta sempre nei suoi comunicati, non viene mai ricordata dai media.
Nel frattempo cominciano ad uscire i dati relativi alle domande presentate per ottenere il reddito di cittadinanza. Leggiamo sulle agenzie le statistiche fornite dal Ministero del Lavoro . Nel primo mese di avvio sono arrivate 853.521 domande tra Caf, Uffici postali e Online riferibili al 68% di nuclei familiari di potenziali aventi diritto alla misura ha presentato la domanda nel primo mese di avvio del reddito di cittadinanza. Sarebbero, oltre 2,8 milioni le persone coinvolte. Questo il dettaglio delle domande per singola regione limitatamente alle domande pervenute agli uffici postali e online: Lombardia 36.538, Campania 32.513, Sicilia 26.692, Piemonte 24.115, Lazio 23.832, Sardegna 16.967, Puglia 16.657, Emilia Romagna 14.769, Toscana, 13.489, Veneto 10.105, Calabria 9.753, Liguria 7.826, Abruzzo 4.734, Friuli Venezia Giulia 4.111, Marche 3.799, Umbria 2.774, Basilicata 2.310, Molise 1.154, Trentino Alto Adige 881, Valle D’Aosta 500. Più laconici sono i dati riguardanti i profili e l’età dei richiedenti. Ci aiuta in questa ricerca una nota della Consulta Nazionale dei Caf dello scorso 23 marzo. Sarebbero oltre 500.000 gli italiani che si sono rivolti agli sportelli dei Caf, a due settimane esatte dalla entrata in vigore del Reddito di Cittadinanza, per presentare la domanda.
Ma il dato più clamoroso (ancorché parziale) riguarda proprio gli under 30, i Millennials, che rappresentano solo il 6,8% delle domande presentate ai Caf e grazie soprattutto al traino del Sud. La Consulta Nazionale dei Caf ha elaborato i dati raccolti in 10 città campione, distribuite tra Nord, Centro e Sud Italia, su 7.964 domande presentate fino al 20 marzo. Il dato è trascinato da una percentuale al Sud del 10,3%, mentre al nord sono il 4,7% e al centro il 3,2%. “Altro elemento di interesse generale rilevato dall’indagine” spiega la nota della Consulta, “è dato dal numero delle domande dei cittadini stranieri rispetto a quelle dei cittadini italiani: la media nazionale del 9,5% degli stranieri richiedenti il RdC ha un picco al Nord del 15,4%, scende al Centro al 9,3%, per crollare al Sud al 3,4%”. Fondamentalmente 8 domande su 10 vengono depositate dalle famiglie: “Ma mentre al Nord e al Centro il RdC è chiesto da persone singole rispettivamente per il 21% e il 23%, al Sud il numero si abbassa fino al 12,4%”. Balza immediatamente in evidenza il dato molto ridotto delle domande presentate dagli under 30 (6,8%) soprattutto se lo si mette in relazione alle statistiche relative alla disoccupazione giovanile e alla ‘’mistica del precariato’’. Staremo a vedere. Per ora siamo solo agli inizi. Ma non sembra un buon segnale.