skip to Main Content

Ecco i 4 nefasti diktat recessivi di Bruxelles sulla manovra

Il commento di Daniele Capezzone

(Estratto di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità diretto da Maurizio Belpietro; la versione integrale si può leggere qui)

Ecco i quattro diktat recessivi venuti dalla Commissione.

Primo: meno investimenti, nella misura di 4 miliardi. È il tema denunciato con forza dal ministro Paolo Savona, che ha esplicitato il timore che il rattrappimento degli investimenti pubblici possa disincentivare – a cascata – gli investimenti privati, gettando sabbia nei delicati ingranaggi della crescita.

Secondo: più tasse, attraverso l’introduzione della webtax, su cui si è registrato un repentino allineamento italiano alle posizioni francesi. La cosa non solo irriterà Donald Trump, che vede come il fumo negli occhi una campagna fiscalmente ostile verso i giganti telematici Usa, ma rischia di creare, anche qui, un effetto depressivo. Da un lato disincentivando nuovi investimenti, e dall’altro agevolando il ben noto meccanismo per cui le nuove tasse vengono scaricate sui consumatori finali. Anche un bambino capisce che, se imponi una tassazione sui servizi digitali a carico delle imprese che forniscono pubblicità e trasmettono dati o che vendono online, ad essere colpite saranno anche le aziende e le start-up italiane, e in seconda battuta i consumatori.

Terzo: la precisa richiesta di attenuare la rivalutazione delle pensioni. È forse la mossa più odiosa venuta da Bruxelles, che di fatto colpisce l’adeguamento periodico delle pensioni normali (altro che oro o platino!). Per il nuovo anno, il tasso di rivalutazione reso noto dal Ministero dell’Economia era dell’1,1%; ma, dopo la trattativa con Bruxelles, è venuta fuori la doccia fredda: una piena rivalutazione scatterà solo per i trattamenti fino a 1521 euro (tre volte il minimo).

Salendo nella scala dei trattamenti, la rivalutazione tenderà via via ad assottigliarsi: tra i 1.522 e i 2.029 euro, la rivalutazione sarà pari al 97% del tasso di riferimento, quindi all’1,067%; tra i 2.029 e i 2.537 euro, pari al 77% del tasso, quindi allo 0,847%;tra i 2.537 e i 3.042 euro, pari al 52% del tasso, quindi allo 0,572%;tra i 3.042 e i 4.059 euro, pari al 47% del tasso, quindi allo 0,517%;tra i 4.059 e i 4.566 euro, pari al 45%, quindi allo 0,495%; per i trattamenti superiori ai 4.566 euro (e qui si entra nel territorio delle cosiddette “pensioni d’oro”), pari al 40% del tasso, quindi allo 0,44%.

Quarta e ultima imposizione degli “scienziati” della Commissione: più clausole di salvaguardia, sotto forma di bombe pronte a esplodere a partire dalla prossima legge di bilancio.

Quest’ultimo aspetto merita di essere approfondito. Prima di questa manovra, la pesante eredità lasciata dai governi del Pd prevedeva clausole della seguente entità: 12,5 miliardi nel 2019, 19,2 miliardi nel 2020, 19,6 miliardi nel 2021.

La prima stesura della manovra gialloblù sterilizzava le clausole per il 2019 (quindi zero miliardi), e prevedeva 13,7 miliardi di clausole nel 2020 e 15,6 miliardi nel 2021.

L’ultima stesura, successiva all’accordo con Bruxelles, prevede zero miliardi nel 2019, 23,1 miliardi nel 2020 (con l’Iva che balzerebbe al 25,2%) e 28,8 miliardi nel 2021 (Iva al 26,5%). Come si vede, un aumento di ulteriori 9,4 miliardi nel 2020 e di altri 13,2 nel 2021.

È evidente che un’eliminazione secca delle clausole sarebbe stata preferibile. Ma, allo stato attuale, avrebbe richiesto una profonda operazione di spending review. Si è scelta l’opzione di uno slittamento in avanti, che indubbiamente crea preoccupazione rispetto alle prossime manovre: a settembre 2019, il primo compito sarà trovare risorse ancora più ingenti di quelle recuperate quest’anno.

Complessivamente, dunque, dalla Commissione sono venute quattro richieste recessive e anti-crescita.

(Estratto di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità diretto da Maurizio Belpietro; la versione integrale si può leggere qui)

Back To Top