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Ecco come l’Ue vuole rendere sostenibile il peso del settore tessile

A livello mondiale è seconda solo all’industria petrolifera per impatto ambientale negativo. Il comparto tessile, sempre più inquinato dal fast fashion, impone l’introduzione di rigide norme che mettano al centro la sostenibilità e favoriscano il riciclo. I dati e le proposte dell’Unione europea

 

La Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto, recentemente data alle fiamme a Napoli, oltre a simboleggiare la forza e la capacità della bellezza di rigenerare e dare nuova ci invita oggi a riflettere anche sul consumismo e, dunque, sugli scarti che produciamo.

La moda è tra le industrie maggiormente coinvolte. Stando ai dati della Commissione europea, infatti, nell’Ue ogni anno scartiamo circa 12 kg di abiti a testa per un totale di 5 milioni di abiti e solo l’1% dei materiali è riciclabile e può essere riutilizzato per realizzarne di nuovi.

Per questo, se la Francia ha annunciato l’introduzione di un bonus “riparazione” dei prodotti tessili per incoraggiare i cittadini a far aggiustare i capi di abbigliamento piuttosto che ricomprarli, la Commissione Ue sta lavorando a delle misure che impongano alle aziende regole a favore della sostenibilità e contrastino gli sprechi.

I DATI LEGATI AL CONSUMO DI ACQUA, TERRENO E MATERIE PRIME

Nel 2020 il consumo medio di prodotti tessili per persona nell’Ue ha richiesto 400mq di terreno, 9 metri cubi di acqua, 391 kg di materie prime e ha causato un’impronta di carbonio di circa 270 kg. Nello stesso anno, il settore tessile è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo. Ad affermarlo, con dati aggiornati a quest’anno, è l’Agenzia europea dell’ambiente (Aea).

A livello globale, prosegue l’Aea, si stima che l’industria tessile e dell’abbigliamento abbia utilizzato 79 miliardi di metri cubi di acqua nel 2015, mentre nel 2017 il fabbisogno dell’intera economia dell’Ue ammontava a 266 miliardi di metri cubi. Alcune stime indicano che per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrano 2.700 litri di acqua dolce, un volume pari a quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo.

I DATI SU INQUINAMENTO IDRICO ED EMISSIONI

A questo si aggiunge l’inquinamento idrico che ne deriva. La produzione tessile è responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile e il lavaggio di capi sintetici – prediletti dal fast fashion – rilascia ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

Si calcola, inoltre, che l’industria della moda sia responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, più del totale di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme. Secondo l’Aea, gli acquisti di prodotti tessili nell’Ue nel 2020 hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona.

Come afferma il Sole24Ore, quella del tessile è un’industria che a livello mondiale è seconda solo a quella petrolifera per impatto ambientale negativo.

CHE FINE FANNO GLI ABITI CHE NON USIAMO PIÙ

L’Agenzia afferma che gli abiti che non usiamo più vengono sempre più spesso gettati invece che essere donati. I cittadini europei consumano ogni anno quasi 26 kg di prodotti tessili e ne smaltiscono circa 11 kg. Quello che non indossiamo più viene spesso esportato fuori dall’Ue, dove l’87% viene incenerito o portato in discarica.

Secondo le stime di Ecocerved, riportate dal Sole24Ore, l’Italia produce 480mila tonnellate si abiti di cui, stando agli ultimi dati Ispra nel 2021, ne riutilizziamo 154.200 tonnellate. A tal proposito, saranno fondamentali i 23 impianti di riciclo tessile che hanno ricevuto finanziamenti con il Pnrr.

LA STRATEGIA EUROPEA PER UNA MODA PIÙ SOSTENIBILE

Nel marzo 2022, la Commissione ha proposto la EU strategy for sustainable and circular textiles per rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili. La strategia comprende nuovi requisiti di progettazione ecocompatibile per i tessuti, informazioni più chiare, un passaporto digitale dei prodotti e l’invito per le aziende ad assumersi la responsabilità e ad agire per ridurre al minimo la propria impronta di CO2 e ambientale.

LE INIZIATIVE ESISTENTI…

Oltre alla strategia europea ci sono poi specifiche normative che riguardano tutte le fasi, dalla progettazione allo smaltimento, degli abiti. Due di queste sono già state pubblicate in Gazzetta Ufficiale.

La Corporate sustainability reporting directive (Csrd) riguarda la trasparenza e impone alle aziende quotate di riferire attraverso un report il loro impatto ambientale.

La EU deforestation regulation (Eudr), che interessa invece l’uso delle materie prime, obbliga le aziende a una due diligence per verificare che quelle impiegate non derivino dalla deforestazione.

…E QUELLE WORK IN PROGRESS

Si attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale entro la fine dell’anno anche dell’Ecodesign for sustainable products regulation (Espr), un regolamento che riguarda il ciclo di vita e il riciclo del capo di abbigliamento, dalla progettazione ecocompatibile al passaporto digitale.

L’Italia, afferma il Sole24Ore, ha negoziato l’esenzione delle Pmi e micro imprese dal distruggere l’invenduto ma altre richieste presentate da associazioni tessili, come Euratex, l’associazione europea delle imprese tessili di cui fa parte Sistema moda Italia, o la Camera nazionale della moda non sono state per ora accettate.

Sostenibilità ambientale e responsabilità sociale sono contenuti nella Corporate sustainability due diligence directive (Csdd), che prevede appunto una due diligence su questi aspetti. Restano escluse anche in questo caso le Pmi.

Infine, la Green claims directive vuole affrontare il tema del greenwashing, ovvero di un ambientalismo solo di facciata, introducendo parametri con una base scientifica e verificabili dai consumatori sull’etichetta.

Tutte queste norme, necessarie per l’ambiente e non più rimandabili, potrebbero tuttavia inficiare la competitività delle aziende italiane ed europee, almeno fino a quando la sostenibilità sarà solo un traguardo da raggiungere e non un obbligo a livello mondiale. E per l’Italia, ricorda il quotidiano economico, l’industria tessile-moda, insieme a quelle di occhiali e gioielli, vale 103 miliardi di euro l’anno.

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