Le negoziazioni in corso tra gli Stati Uniti e la Cina, così come con il resto del mondo, hanno portato a un disgelo tra le parti sulla questione dazi. Seppur le tariffe statunitense siano state abbassate, al 10% a decine di paesi e al 30% quelle sulla Cina, la situazione è ben lontana dall’essere risolta. Per questo le aziende americane, e non solo, stanno comunque continuando a correre ai ripari.
FIDUCIA E UMORE SOTTO ZERO PER LE AZIENDE
Gli esportatori di tutto il mondo, infatti, sono impegnati in un rapido riadattamento delle proprie catene di approvvigionamento. Obiettivo: evitare il più possibile l’impatto dei dazi, che si stima possano portare a perdite sulle esportazioni globali di 305 miliardi di dollari solo nel 2025. A riportarlo è uno studio di Allianz sul commercio globale. Un’indagine condotta, prima e dopo l’annuncio di Donald Trump delle tariffe, su 4500 aziende sparse in nove paesi: Usa, Regno Unito, Cina, Francia, Germania, Singapore, Italia, Polonia e Spagna.
Tra queste aziende, meno della metà prevede una crescita delle esportazioni e il 27% di esse ritiene possibile dover interrompere la propria produzione almeno per un breve periodo a causa della volatilità dovuta ai dazi. Preparandosi a ritardi e tagli, la fiducia delle aziende sta calando sempre più. Specie per via dell’incertezza riguardo la strategia dell’amministrazione Trump. E in molte sono orientate a incrementare i prezzi ai danni di consumatori e clienti.
LE AZIENDE AUMENTANO I PREZZI, I CASI WALMART E HOME DEPOT
Sempre secondo lo stesso studio di Allianz, “gli aumenti dei prezzi rimarranno probabilmente la strategia preferita a livello globale per contrastare l’impatto dei dazi”. Tra le aziende statunitensi, il 54% ha affermato di aver scelto l’aumento dei prezzi come strada da percorrere. Negli altri paesi, invece, la percentuale è più bassa. Negli Stati Uniti, tra chi ha deciso di alzare i prezzi per via delle tariffe, c’è Walmart, multinazionale e catena di negozi al dettaglio. L’aumento annunciato potrebbe avvenire già in queste settimane ed è il motivo per cui è stata attaccata ferocemente da Trump.
Al contrario, Home Depot, altra multinazionale che vende elettrodomestici, servizi per la casa, attrezzi e materiali da costruzione, ha annunciato un’altra strategia. Il direttore finanziario dell’azienda, Richard McPhail, ha infatti dichiarato: “Grazie alle nostre dimensioni, alle ottime partnership con i nostri fornitori e alla produttività che continuiamo a promuovere nella nostra attività, intendiamo mantenere in generale i nostri attuali livelli di prezzo per tutto il nostro portafoglio”. Niente aumento dei prezzi, quindi. E una stoccata a Walmart. Home Depot ha spinto per diversificare le fonti di approvvigionamento. Come detto da McPhail, oltre la metà dei prodotti dell’azienda è realizzata negli Usa e nessun altro paese straniero rappresenterà più del 10% degli acquisti da qui al prossimo anno.
Ma come riportato da Quartz, la scelta di Home Depot potrebbe essere solamente politico-strategica (e temporanea). Tra i suoi fornitori, infatti, in diversi hanno già preannunciato possibili aumenti dei prezzi, che potrebbero ricadere direttamente su Home Depot. E nel primo trimestre del 2025 le vendite dell’azienda sono diminuite, pur registrando un leggero aumento negli Usa. Cercando di mantenere i prezzi uguali, dazi o non dazi, l’azienda starebbe cercando di conquistare così la fiducia dei clienti.
LA CORSA AI MAGAZZINI DOGANALI NEGLI USA
Intanto, un’altra mossa di molte compagnie americane che importano beni dalla Cina per rispondere ai dazi è quella di accaparrarsi spazi e magazzini doganali. Cioè delle strutture in cui depositare le merci importate senza pagare immediatamente i dazi doganali. Dazi che vengono pagati solo quando le merci effettivamente escono dal magazzino per la vendita, quindi in rate più piccole.
Comprando gli spazi di questi magazzini, i cui prezzi sono quadruplicati nel 2025, le aziende di fatto provano a temporeggiare, scommettendo sul carattere temporaneo della guerra commerciale tra Usa e Cina. Attualmente questi magazzini doganali sono circa 1700 in tutti gli Stati Uniti. Ma oltre a cercare di comprare spazi al loro interno, le aziende stanno provando a crearne di nuovi, presentando domanda alla Us Customs and Border Protection. I tempi però si sono allungati tremendamente: se l’anno scorso ci voleva un paio di mesi, ora si è arrivato a sei. In tutto ciò, il rischio è maggiore perché non si sa quali saranno gli sviluppi dopo i 90 giorni di pausa decisi dalla Casa Bianca.
WALL STREET SOTTOVALUTA I RISCHI DEI DAZI?
Nel frattempo, a lanciare un allarme sulla situazione generale economica per gli Usa dovuta ai dazi trumpiani, è stato Jamie Dimon, ceo di JpMorgan. Secondo lui, infatti, Wall Street starebbe sottovalutando i rischi di deficit crescenti, dazi e tensioni geopolitiche, parlando di un ottimismo del mercato come “un’enorme dose di compiacimento” per via prima del crollo e poi della sua risalita. Per Dimon anche le “banche centrali” sono quasi compiacenti davanti a tutto ciò. “Voi tutti pensate che possano gestire tutto questo. Io non credo che ci riusciranno”, ha avvertito durante la riunione annuale degli investitori della sua banca. Dimon ha messo in guardia sul rischio, per lui, principale: la stagflazione.