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Iva

E’ davvero una genialata la riduzione dell’Iva?

L'intervento di Marco Salustri, consigliere nazionale Unimpresa, su Iva e dintorni

Le imposte che i contribuenti italiani sono chiamati a versare, tra il 30 giugno e il 20 luglio, rappresentano un altro esempio di confusione del sistema fiscale in essere. I decreti legge, e gli innumerevoli provvedimenti, che il governo ha varato e si impegna a varare, in tempi più o meno rapidi, rappresentano operazioni settoriali e marginali al fine esclusivo di tamponare una singola emergenza alla volta. Facendo un breve excursus dell’attuale situazione fiscale, che imprenditori e contribuenti si trovano ad affrontare, possiamo notare una serie di pesanti incongruenze tributarie. Partendo dal tema delle accise è possibile notare come la specificità italiana, da sempre,  consiste nel fatto che esse soffrono di estrema volatilità, in aumento e in diminuzione, in quanto sopperiscono a minori o a maggiori entrate dello Stato. A fisarmonica, dunque! Da ciò è facile dedurre come anche questi tributi caratterizzino un ordinamento fiscale nel quale regna sovrana la confusione. Il nostro sistema, infatti, é articolato (si fa per dire!) in una congerie di norme senza una logica complessiva e svincolate l’una dall’altra: un sistema che colpisce imprese e contribuenti in maniera irrazionale. Anche l’attuale governo, come i precedenti,  sta operando a casaccio in questa giungla normativa, per tamponare o, meglio, tentare di tamponare le falle di settori produttivi in estrema difficoltà.

Il governo appare privo di idee e di risorse adeguate per far fronte ad un crisi epocale. Simile per “strumentalizzazione” è la recente questione che riguarda la proposta del premier Conte di ridurre temporaneamente l’Iva. Questo tema ha sollevato un polverone di polemiche, perché si è concretizzato, al solito,  in una proposta, gettata al vento per pura propaganda, senza considerate l’imposta nella sua globalità e nelle sue finalità. Ridurre di qualche punto l’Iva non avrebbe alcun appeal nei confronti dei consumatori finali, perché non verrebbe percepito come un vero “sconto” fiscale ed i consumi non ripartirebbero come illusoriamente sperato. In sostanza, si concretizzerebbe come una perdita secca per lo Stato, consistente in circa 10 miliardi di euro per un paio di punti percentuali di riduzione,  senza alcun vantaggio, reale e immediato, per le imprese e i contribuenti. L’Iva dovrebbe essere modellata attraverso un’analisi ponderata per macro aree merceologiche e la sua riduzione dovrebbe essere raccordata con le imposte dirette e la riforma organica. In merito alla voluntary disclosure, già proposta in passato da precedenti governi e ora riproposta dal governo Conte,  si può solo sperare in un’imposta molto bassa, affinché abbia il giusto appeal. Un’aliquota medio/alta non aiuterebbe il rientro dei capitali in questa fase congiunturale in cui i contribuenti, anche di fascia medio alta, hanno ridotto perfino il consumo dei beni di lusso! In ultimo il rinvio delle scadenza dei versamenti delle imposte. Questo rinvio è valido solo per i contribuenti soggetti ad Isa (ex Studi di Settore) che vedranno spostato il versamento delle imposte al 20 luglio al posto del 30 giugno. Per gli altri contribuenti si preannuncia un salasso già questo 30 giugno. Un altro provvedimento inutile, questo, perché non darà in nessun modo, alle imprese e ai contribuenti, il tempo necessario per recuperare liquidità, dopo il collasso finanziario dei precedenti mesi. Nemmeno è pensabile un rinvio a settembre o dicembre, dove vi sarebbe un accavallamento tra saldi e acconti d’imposta, Ires e Irpef, nonché dei versamenti delle rateazioni, che aggraverebbero ancor di più la situazione finanziaria delle imprese. Le imposte, inerenti l’anno fiscale 2019, dunque, dovrebbero essere rinviate in toto al 2021, senza ulteriori indugi e senza ripensamenti.

Se è vero, come qualche politico polemicamente sostiene, che sia più facile chiedere soldi allo Stato, piuttosto che investire,  è ancor pur vero che le imprese sono state prosciugate delle loro residue risorse finanziarie da uno Stato fiscalmente predatorio.  Gli italiani sono ormai esausti di una pressione fiscale, disordinata, eccessiva ed esorbitante, che li spinge a considerare, psicologicamente, l’evasione fiscale non come un gravissimo reato, piuttosto come una normale via di fuga per sopravvivere. Soltanto un fisco “equo e giusto”, nel rispetto della nostra Costituzione, potrà instaurare (finalmente!) un rapporto corretto e di fiducia tra i cittadini e lo Stato democratico, tra le imprese e le istituzioni tributarie.

La crisi generata dalla pandemia potrebbe, e dovrebbe, essere un’occasione straordinaria per riformare dalle fondamenta un sistema di norme farraginose, confuse ed obsolete per lasciare il campo ad un ordinamento fiscale organico, coerente, chiaro ed equo, degno di un paese democratico, fondato sulla tutela del lavoro e sulla libertà dell’impresa, nonché su un reciproco rapporto di fiducia tra i cittadini e lo Stato.

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