Sono completamente d’accordo con Michele Tiraboschi. L’intervento di Tito Boeri, sul Corriere della sera, seppure apprezzabile per la buona fede che traspare, è soprattutto evocativo di una difficoltà irrisolvibile. Qual è infatti il salario minimo giusto in un sistema, come quello italiano, caratterizzato da differenze profonde che riguardano tutti gli aspetti della vita economica del Paese? Egli stesso è costretto a riconoscere che la produttività, componente essenziale della stessa direttiva europea, non è uniforme. Ma varia a secondo parametri complessi: struttura delle aziende, comparto produttivo, dislocazione territoriale e via dicendo.
Nessun tecnico sarà quindi in grado di trovare la giusta misura per risolvere una sorta d’equazione, che non esiste in natura. È il solito vecchio “legno storto” dei nostri primi studi di filosofia. Quel magma vitale che regola i rapporti tra gli uomini, secondo parametri che non sono solo di natura economica, ma riguardano la storia, la cultura, le passioni, le aspettative di un intero Paese. Quando, il 5 gennaio del 1914, Henry Ford annunciò che avrebbe portato il salario minimo dei suoi operai a 5 dollari il giorno, andando ben oltre le richieste sindacali, certamente non pensava alle conseguenze di quel gesto. Avrebbe segnato la nascita di un nuovo capitalismo, caratterizzato dalla relazione dinamica “produttività-alti salari-maggiore domanda”. Le cose che, a distanza di tanto tempo, si ritrovano nei ragionamenti che hanno accompagnato il varo stesso dell’ultima direttiva europea sul salario minimo.
Ma quella decisione fu anche la prova provata di quanto teorizzato dagli economisti classici: da David Ricardo in poi. Nei loro modelli il salario non era necessariamente di “sussistenza”, ma come dirà con precisione maggiore Piero Sraffa, anni dopo, incorporerà un sovrappiù frutto dell’evoluzione storica dei tempi e dei livelli di civiltà raggiunti. Ed ancora oggi, quando si parla di salario minimo, a questa concezione occorre far riferimento. Il che, come si vede, tende ad escludere alchimie aritmetiche e “basi statistiche” più o meno “solide” (sempre Boeri), per cedere il passo a quella “moral suasion” che è propria dello zeitgest di ogni Nazione.
Discorso astratto? L’intervento della magistratura nel caso Mondialpol, accusata di praticare politiche sindacali contrarie allo spirito ed alla lettera della nostra Costituzione, sta facendo discutere. Non è nostra intenzione prendere posizione sull’opportunità o meno di quella scelta. Ai nostri fini è sufficiente prendere atto di un fatto, la cui spiegazione rimanda a quello “spirito del tempo” di cui di diceva in precedenza. È l’insieme dei valori, ch’esso racchiude, a rendere intollerabile una situazione di sfruttamento psico-fisico eccessiva. Che poi debba essere la magistratura ad intervenire o non siano invece necessario ricorrere ad altri mezzi è ovviamente tutto da discutere.
Si: si potrebbe obiettare, tutto bene, ma nella maggior parte dei Paesi europei il salario minimo è fissato con legge. E questo accade sia nei Paesi, con una grande tradizione sindacale alle spalle, come Francia o Germania, sia in altri in cui questo retroterra è del tutto assente. Anzi il caso più frequente è proprio quello caratterizzato dall’intervento legislativo. Mentre il caso opposto si conta sulle dita di una mano. Obiezione inappuntabile. Anche se poi la storia di ciascun Paese ha le sue caratteristiche. Non si dimentichino le riforme del mercato del lavoro, introdotte in Germania, da Gerhard Schröder. Segnarono una svolta nelle relazioni industriali, all’interno della quale poteva trovare adeguata collocazione anche il riconoscimento di un salario minimo legale.
Per il resto, invece, bisogna ritornare ai dati. Tenendo conto del fatto che la situazione europea è a macchia di leopardo. Si va da un salario minimo che è pari al 62 per cento del salario medio complessivo, nel caso del Montenegro, ad un minimo del 38,5 per cento cento per la Lituania. In Germania la percentuale è del 41,8 per cento. In Francia il dato del 2021 è del 47,1 per cento. Dati da prendere, comunque, con le molle. La struttura socio-economica dei diversi Paesi è troppo diversa per consentire confronti quasi chirurgici. Bisogna quindi prendere quei valori come semplici segnali di cui tenere conto.
Tenendo ben ferme queste differenze, un confronto nella trilaterale Italia-Francia-Germania può comunque consentire elementi di valutazione di un certo interesse. I dati Eurostat si riferiscono al 2018: reddito annuale lordo dei lavoratori, salario minimo, rapporto salario minimo/reddito annuale. Se il Parlamento italiano dovesse dar corso alla proposta di legge, sul salario minimo di 9 euro per ora, il reddito minimo annuo (40 ore settimanali per 52 settimane) risulterebbe pari a 18.720 euro. Comprensivo degli oneri contributivi (33 per cento) e delle relative imposte. Trattamento che, a distanza di un anno, dovrebbe essere anche esteso al lavoro domestico: colf e badanti.
Nel 2018, sempre secondo Eurostat, il salario lordo medio in Italia era pari a 36.671 euro, contro i 38.747 della Francia e i 49.953 della Germania. Se già allora fosse stata in vigore la legge in discussione, che la Ministra del lavoro Nunzia Catalfo, esponente grillina, aveva presentato già nel 2014, il rapporto tra il salario minimo e la retribuzione media in Italia, sarebbe stata pari al 51 per cento contro il 36,2 della Germania ed il 46,4 della Francia. Se a questo si aggiunge la tredicesima mensilità – istituto tipicamente italiano – la percentuale sarebbe salita al 55,3 per cento. Un vero e proprio salto mortale.
Dati, a loro volta, non molto dissimili da precedenti e convergenti valutazioni provenienti dai principali Istituti di analisi. A partire dall’OECD. Tutti concordi nel richiamare l’attenzione non tanto sul valore in euro del salario minimo, meglio se corretto per tener conto del diverso potere d’acquisto. Quanto sul rapporto che deve intercorrere tra quell’elemento e il salario medio o il salario mediano a livello nazionale. Ai quali la stessa proposta di direttiva europea fa riferimento.
Qualora si arrivasse a stabilire un salario medio orario di 9 euro l’ora, l’Italia conquisterebbe le vette della classifica non solo europea. Colpa soprattutto di salari complessivi troppo bassi, rispetto ai quali l’introduzione di quel nuovo elemento avrebbe l’effetto di far saltare ogni equilibrio interno. Introducendo un elemento di appiattimento nella struttura stessa delle retribuzioni, com’era avvenuto con la scala mobile durante gli anni ‘70. Specie se, come suggerito dall’articolo 7 della proposta di legge in discussione, al relativo maggior onere si dovesse provvedere a carico del bilancio dello Stato.