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Quota 100

Draghi rimuoverà la fatwa scagliata sulla riforma Fornero

Pensioni, ecco le le linee di fondo della riforma in cantiere del governo. L'analisi di Giuliano Cazzola

 

È difficile orientarsi sulla miscellanea di piccoli interventi (un allungamento delle quote, un ritocco al pacchetto Ape, un fondo per recuperare chi non è riuscito ad uscire prima della scadenza di quota 100) che il governo ha in cantiere per il post quota 100. Sembra possibile, invece, interpretare le linee di fondo con le quali si prospetta l’accordo nella maggioranza.

Mario Draghi ottiene una importante vittoria di principio: rimuove la fatwa scagliata sulla riforma Fornero fin dall’inizio con toni, argomenti e azioni violente e menzognere messe in campo dai seguaci del pensiero di Goebbels sulla funzione della propaganda: una bugia ripetuta per tante volte instancabilmente alla fine viene considerata una verità. Così è stato per la riforma del 2011 che, nell’immaginario popolare, è divenuta il male assoluto con la medesima violenza di un pregiudizio razziale. Il premier ha affermato con chiarezza di non condividere le controriforme giallo-verdi (N.B. si continua a parlare solo di quota 100 quando i pericoli più gravi sono altri: il blocco fino al 2026 dei requisiti del pensionamento anticipato ordinario a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne) e di considerare che ripulire la riforma Fornero della ‘’monnezza’’ accumulata significhi tornare alla ‘’normalità’’.

Le soluzioni che circolano per l’attraversamento della ‘’terra di nessuno’’ del c.d. scalone (da 62 a 67 anni a parità di contribuzione di 38 anni) sono in realtà un marchingegno normativo per guadagnare tempo, l’anno prossimo. Poi si vedrà in rapporto all’evoluzione della situazione politica. Così quota 102 (64 anni +38 di versamenti) resterà in vigore fino a tutto il 2022.

Draghi ottiene, comunque, un innalzamento dell’età pensionabile. L’esperienza di quota 100 evidenzia peraltro che ad inserire due requisiti fissi si finisce nei fatti per elevarli perché è difficile fare ambo nello stesso anno, mentre è capitato sovente che chi raggiungeva i 62 anni di età, non disponeva ancora del requisito contributivo e viceversa. I sindacati sono rimasti appesi ad un attaccapanni. Draghi si è pure stancato di sentire i loro sproloqui al tavolo del negoziato. Sciopereranno? L’Italia è un Paese libero. Ma non è rassicurante che un presidio della democrazia – come è il sindacato, in Italia onusto di storie gloriose – sia in mano ad un gruppo dirigente di questa ridotta caratura. Le loro tesi sono talmente fuori dal tempo e dalla realtà che viene il dubbio che la loro non sia malafede, ma inadeguatezza culturale.

Prendiamo il caso di cui si discute dopo la lettera aperta di Elsa Fornero a Maurizio Landini (tempo perso come si è capito dalla risposta abborracciata del sindacalista): la questione dei giovani. Bontà loro i sindacati intendono garantire ai giovani (li tutelano per quando saranno anziani) una c.d. pensione di garanzia. Ma non riescono neppure a capire che il problema di quei giovani sarà quello di doversi prendere in carico quei soggetti che i sindacati vorrebbero mandare in quiescenza a partire da 62 anni e che percepiranno per più di vent’anni un trattamento impensabile per loro quando verrà il loro turno. Se si fa tale obiezione la loro risposta è questa: tutta colpa del precariato.

Se analizziamo punto per punto il loro ragionamento si arriva qui: ai pensionati del baby boom dobbiamo garantire di andare in pensione il prima possibile. Quanto ai giovani – che dovranno onorare gli impegni che – loro sindacati – hanno assunto con i loro padri e nonni, possono stare tranquilli, perché pur se dovranno scontare storie lavorative travagliate, anche per loro arriverà uno straccio di pensione, ma nel frattempo dovranno sostenere – in ragione del finanziamento a ripartizione – per una ventina di anni le pensioni dei 60enni che i sindacati vorrebbero mandare in quiescenza oggi. Poi la trojka sindacale dovrebbe anche fare un corso di demografia. All’invecchiamento si aggiunge una crescente denatalità (che non ha solo come si racconta motivazioni economiche, ma più profondi disvalori culturali).

Non occorre sforzare intensamente le meningi per capire quanto segue: quelli che vanno in pensione oggi appartengono a generazioni nelle quali nasceva un milione di figli l’anno che hanno beneficiato di condizioni di lavoro e di vita che ha consentito loro di allungare l’attesa di vita di un anno ogni dieci. I futuri contribuenti, invece, apparterranno alle generazioni del declino demografico. Basta far di conto per capire che i fenomeni della denatalità e dell’invecchiamento disegneranno una società con l’emblema di Enea che non porta sulle spalle solo il padre Anchise, ma anche lo zio paterno e il nonno materno e la cugina vedova. Mentre il piccolo Ascanio dovrà sobbarcarsi in più anche il padre Enea, da baby pensionato. Per questi motivi nelle arti figurative Ascanio viene sempre rappresentato con lo sguardo inquieto.

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