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Tunisia

Draghi, il catasto e le tare fiscali di destra e sinistra

L'analisi di Gianfranco Polillo.

La sconfitta elettorale del centro-destra non può essere archiviata con un’autocritica all’impronta. Il tema non è il ruolo dei singoli leader, le loro colpe presunte o reali, le relative insufficienze con il contorno della necessaria mea-culpa. L’interrogativo più profondo riguarda il Paese: il destino di un’Italia stretta in una morsa dalla quale non sembra esserci via d’uscita. Al momento la democrazia italiana è come se fosse sospesa. Tutto è nella mani sapienti di Mario Draghi. Ma la condizione essenziale del suo operare è l’esistenza del campo più largo possibile. Se quella superficie si restringe, assumendo un sfumatura più politica, l’attuale forma semi presidenziale della struttura di comando rischia solo di collassare.

A monte di tutto è ovviamente la crisi italiana. I cui connotati più profondi vanno per lo meno ricordati. Dalla nascita dell’euro (2002) il tasso di crescita dell’economia italiana è stato sempre il più basso tra i Paesi dell’Eurozona e quelli dell’OCSE. L’unica vera inversione di tendenza, si è avuta quest’anno, grazie anche alla formula politica adottata dopo il Conte bis. Altro triste primato italiano è quello di un debito pubblico, il cui rapporto con il Pil, è cresciuto ininterrottamente. Ancor di più dopo il 2011, a seguito delle politiche di austerità del Governo Monti.

Sul fronte della disoccupazione, le cose non vanno meglio. Mentre nei Paesi dell’Eurozona – dati della Commissione europea – quel tasso si è progressivamente ridotto, in Italia, negli ultimi tempi, la flessione è stata molto più marginale. Nel 2019, le differenze, a vantaggio degli altri Paesi, superavano il 40 per cento. Per non parlare, poi della disoccupazione giovanile, che in Italia appare essere quasi il doppio. O dei Neet, i giovani che non studiano né lavorano: campo in cui l’Italia ha un assoluto triste primato. Il tutto mentre i salari, che nell’Eurozona sono aumentati in media di un buon 12 per cento, in termini unitari, in Italia, da troppi tempo, strisciano sul fondo.

Ovviamente se non c’è sviluppo, non c’è nemmeno welfare. Constatarlo è solo una magra consolazione. Il problema é solo capirne le ragioni più profonde ed il paradosso di un Paese che non cresce non perché non disponga delle necessarie risorse economiche e finanziarie. Ma solo perché, a causa di una cattiva politica economica, non riesce ad utilizzarle nel modo socialmente più producente. Dal 2013, secondo i calcoli della Commissione europea (Current plus Capital account), l’Italia ha messo a disposizione dell’estero una parte crescente della sua ricchezza nazionale.

Il surplus, in forte aumento, della bilancia dei pagamenti ha prodotto un eccesso di risparmio che, non trovando contropartita negli investimenti, ha preso la via dell’Estero. Qualcosa come un valore annuale pari al 2,5 per cento del Pil. Dopo la Germania e l’Olanda, l’Italia è divenuta il terzo esportatore netto. Le somme complessive, per il periodo 2013/2020, sono state pari a circa 263 miliardi di euro. Somma ottenuta calcolando gli avanzi registratisi ogni anno. Nello stesso periodo il debito pubblico italiano è aumentato di 273 miliardi.

Il confronto è imbarazzante. È come se, anno dopo anno, avessimo fatto debito non per investirlo in una qualche attività produttiva, ma solo per recuperare somme da mettere a disposizione dell’Estero, senza alcun corrispettivo. Tutto ciò senza minimamente preoccuparci degli enormi deficit che caratterizzano la società italiana. Decisamente una Caporetto, per tutte quelle forze che da quell’anno in poi si sono succedute alla guida del Paese. Che sono state, nell’ordine, il PD di Letta, Renzi e Zingaretti. Quindi i 5 stelle di Conte e Beppe Grillo.

La coincidenza tra quei limiti di politica economica ed il ruolo svolto dalla sinistra non è casuale. La cultura di questa formazione è tutta dentro le politiche convenzionali. Il tasso di crescita di un Paese è quello, per così dire, “naturale”. È un postulato, non un’incognita dell’equazione da risolvere. Compito della politica è tutt’altro. Ripartire le (tante o poche) risorse. Essere inclusivi. Solidaristici con il mondo intero, senza pensare ai costi che si dovranno affrontare. Perché qualcuno (semmai le generazioni future) vi provvederà. Ed ecco allora spiegato l’arcano di un Paese che si avviluppa nelle sue contraddizioni.

Se queste sono le colpe della sinistra, quali le responsabilità della destra? Considerato il lasso di tempo in cui anche quest’ultima ha avuto responsabilità di governo. La sua incapacità di affrontare, stando con i piedi ben piantati per terra, il tema di una politica non convenzionale. Che non richiede alzate di testa. Si pensi solo alla flat Tax al 15 per cento, impossibile da realizzare. Ma un disegno ben più strutturato, caratterizzato dalla chiarezza degli obiettivi da conseguire ed i tempi necessari alla bisogna.

Questi limiti sono risultati ancora una volta evidenti nella discussione sulla delega fiscale che, di fatto, ricalca il documento di sintesi delle due Commissioni parlamentari. Anche in quel caso la posizione del centro destra aveva una sua autonomia? Rispetto alle esigenze più immediate della sinistra – la riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti di determinate fasce di reddito – vi poteva essere un’alternativa? Ad esempio puntare più decisamente sulla lotta all’evasione fiscale, puntando sul modello americano del contrasto d’interesse? Fino al punto da far emergere, in tutta la sua evidenza, le diversità di policy. Certo che si poteva fare. Non è stato fatto. Ed ecco allora il tentativo postumo di rovesciare il tavolo.

Per onestà si deve solo aggiungere che la sinistra, se non altro, ha mostrato una coerenza maggiore. Accettando la riforma del catasto, cerca di spostare sui proprietari di casa una parte del prelievo fiscale, per dare ristoro ai lavoratori dipendenti. Di nuovo il totem della semplice ripartizione delle risorse, seppure in una scala più ridotta. Naturalmente tra questi ultimi vi saranno anche elettori che, forse, non gradiranno e si comporteranno di conseguenza. Ma queste, avrebbe detto Mao Tze Tung, sono le contraddizioni in seno al popolo.

Le stesse che connotano il mondo variegato del centro destra. Non v’è dubbio infatti che se si ricorresse al conflitto d’interesse, artigiani, commercianti, professionisti e, più in generale, il mondo delle partite IVA potrebbe evadere solo molto più difficilmente. Ed allora di fronte a questo pericolo, meglio soprassedere. Anche se tutto questo porta all’impotenza ed all’immobilismo. Che, tuttavia, alla fine non paga. Politics e policy, com’è noto, sono termini contrapposti, ma anche complementari. Se viene meno la proposta, ossia la policy, al politic, ossia al politico, non resta che andare a casa.

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