È uscito ormai da qualche mese Donne e Lavoro, rivoluzione in sei mosse, edito da posteditori, il libro di Rita Querzè, giornalista del Corriere della Sera, attenta osservatrice del mondo del lavoro e delle sue dinamiche. In questo libro, unico nel suo genere, affronta il tema della disuguaglianza tra uomini e donne senza cedere all’approccio ideologico e femminista tanto in voga ai nostri giorni.
Ero convinta, scrive l’autrice, di avere l’enorme privilegio di appartenere alla generazione che, rispetto alle nonne e alle madri, avrebbe dato una spallata e sfondato il muro della disuguaglianza, aprendo la strada a un mondo nuovo: quello di una “reale” equità di trattamento tra uomini e donne sul lavoro. Ma negli ultimi 30 anni, dal 1990 ad oggi, è cambiato poco o nulla: le italiane restano stabilmente in ultima posizione in materia di parità sul lavoro (secondo Eige, Gender equality index, 2022).
Querzè prende in esame anche uno studio della Fim Cisl rispetto al lavoro femminile nel settore metalmeccanico, dal quale si evince che in un campione di 701 aziende metalmeccaniche (dai 5 dipendenti in su), le donne hanno in media superminimi inferiori di un quinto (il 19%) rispetto a quelli degli uomini. Se ne deduce – è il suo ragionamento – che il divario tra uomini e donne è sì una questione economica, ma ancor più di giustizia sociale. Anche tutte le battaglie contro la violenza di genere, scrive giustamente l’autrice, non potranno trovare soluzione se non risolviamo il problema principale: la partecipazione al mercato del lavoro delle donne.
Il Codice rosso contro la violenza è importante, ma se una donna non lavora non può lasciare il compagno manesco: è un fatto. Eppure, scrive Querzè con lucidità, all’interno dei movimenti femminili, negli ultimi 30 anni, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro non è mai stata la prima questione all’ordine del giorno. Bisogna quindi spogliare la questione femminile da ogni ideologia per metterla a fuoco nei sugli aspetti “materiali”. È proprio questo il pregio del libro, che in sei agili capitoli ripercorre la “questione femminile” attraverso l’evoluzione del mercato del lavoro italiano e delle sue disuguaglianze, dando voce alle donne e alle loro esperienze: dalla manager alla barista, tutte alle prese con un mondo sfaccettato ma accomunato da identiche difficoltà.
Le principali ragioni, infatti, che frenano la parità di lavoro tra uomini e donne vanno rintracciate in tre punti chiave. Primo: un’organizzazione del lavoro ancora molto vicina al modello taylorista del ‘900 che presuppone un lavoratore disponibile al 100%; un modello nel quale perfino la maternità è ridotta ad una performance. Secondo: uno Stato che non vuole affrontare investimenti massici sui servizi di cura, dagli asili nido agli sgravi fiscali per chi assume colf e badanti. Terzo: mariti/compagni che si fanno ancora troppo poco carico del lavoro domestico. Tutte incombenze che ricadono sulle spalle delle donne. È questa “la fregatura del multitasking”, dice Querzè.
Servirebbero quindi, in primo luogo – anche a detta delle molte donne intervistate – una nuova organizzazione del lavoro, massici investimenti sul welfare e una diversa mentalità e cultura, macro-leve su cui agire per cambiare le cose.
È infatti proprio sul piano culturale che in Europa ha preso piede il concetto di “work-life balance”, ovvero la ricerca di un equilibrio tra vita e lavoro, con una nuova attenzione all’organizzazione stessa del lavoro e dei tempi e ritmi familiari. Una sensibilità, quest’ultima, emersa ancor più nel post-covid, ma che presuppone che uomini e donne debbano essere contemporaneamente earner (percettori di reddito nella sfera produttiva) e carer (erogatori di cura nella sfera riproduttiva). Si tratta di un modello che purtroppo, come si evince dai vari capitoli del libro, appare ancora distante dalla reale situazione sociale del nostro Paese. A ciò poi si somma l’inadeguatezza delle politiche pubbliche rispetto al fisco e alle prestazioni sociali, che spesso, proprio perché manca una cultura di genere diffusa, vanno a scoraggiare, più che favorire, il lavoro delle donne, rafforzando invece stereotipi consolidati del cosiddetto “ruolo naturale delle donne” nella cura di casa, figli e anziani.
Qui si innestano anche le carenze di servizi base. Si vedano la cronica mancanza di asili nido, che certo contribuisce al declino demografico, e tutta una serie di servizi di welfare la cui insufficienza, specie nel Sud, si fa ancora più pesante.
Il Pnrr dovrebbe aiutare a ricucire il gap. Nel resto d’Europa molti paesi hanno giustamente indirizzato in maniera chiara le proprie risorse verso misure che premiano l’occupazione femminile, in quanto elemento di maggiore crescita del PIL e della produttività, e con esso del reddito delle famiglie e della natalità con estese misure di work-life balance. Ma in Italia gli obiettivi del Pnrr su questo fronte sono lacunosi e poco chiari, tanto che nella revisione del piano del governo Meloni, messa in campo dal ministro Fitto, sono state ridimensionate le misure che miravano a sostenere nuovi asili nido, le politiche di sostegno alla non autosufficienza nonché la promozione della medicina territoriale. Tre misure che con il tempo avrebbero sicuramente sostenuto e agevolato l’occupazione femminile e il benessere complessivo delle famiglie.
Per cambiare le cose è necessario un “femminismo popolare”, fuori dalla bolla mediatica, che aiuti donne e uomini insieme a porsi domande nuove. Toppo spesso in questi anni, scrive Querzè, le élite femminili più consapevoli, che dovrebbero farsi carico di questo compito, sono rimaste chiuse in circoli autoreferenziali, concentrandosi solo su questioni che hanno a che fare con i diritti civili, trascurando la centralità che il lavoro riveste per le donne.
È una lettura, quella di Donne e Lavoro, rivoluzione in sei mosse, da consigliare per la concretezza con cui, numeri e testimonianze alla mano, prova a descrivere le difficoltà che incontrano nella quotidianità le donne, e che il lettore potrà sicuramente rintracciare nelle esperienze di madri, colleghe, sorelle, figlie. Contrariamente ad altra letteratura, l’autrice fa delle proposte concrete per invertire la tendenza. In questo senso, il libro può definirsi una sorta di “manifesto politico” su cosa fare per ridurre le diseguaglianze tra uomini e donne nel nostro Paese e accrescere il benessere collettivo, a patto di veder gli uomini alleati delle donne in questa battaglia di civiltà e uguaglianza.