Per un movimento significativo di una qualsiasi coppia di valute non è necessariamente vero che “il tango si balla in due” e questo è particolarmente vero per il cambio sterlina-dollaro negli ultimi tempi. Una breve analisi dei dati economici del Regno Unito rivela una situazione fiscale disastrosa, una crescita che continua a essere fiacca, una produttività bassa.
Questo insieme di dati, unitamente alla debolezza più generale della sterlina misurata dall’indice Deutsche Bank GBP Trade-Weighted, indica piuttosto un indebolimento del dollaro che un improbabile rafforzamento della sterlina. Sul fronte del dollaro, vi sono due fattori molto convincenti che spiegano la recente debolezza della valuta. Il primo è l’imprevedibilità e il caos che circondano il “Liberation Day” del presidente Trump e le sue conseguenze. Un autorevole sondaggio condotto da Bank of America tra i gestori di fondi ha recentemente rivelato che gli investitori professionali detengono la percentuale più bassa di dollari degli ultimi vent’anni, insieme all’esposizione più bassa in generale agli asset USA.
Il secondo fattore alla base della debolezza del dollaro è l’enorme impegno di indebitamento degli Stati Uniti per finanziare un deficit di bilancio pari al 6,3%* del prodotto interno lordo (PIL), un livello più tipicamente associato a crisi economiche in piena regola come quella del 2008 e durante la pandemia di Covid-19. Il cosiddetto Big, Beautiful Bill, approvato dal Congresso e firmato dal presidente Trump il 4 luglio, servirà solo ad aumentare il deficit e a seminare dubbi tra gli investitori sull’affidabilità degli Stati Uniti come destinazione per i loro capitali.
Il disegno di legge prevede tagli fiscali per 4.500 miliardi di dollari, ma solo 1.500 miliardi* di tagli alla spesa. Non sorprende quindi che il recente andamento dei prezzi sul mercato dei Treasury a lungo termine, solitamente poco movimentato ma indicativo, abbia rivelato una certa riluttanza da parte dei finanziatori ad acquistare il debito statunitense. I rendimenti dei Treasury a 30 anni si attestano ora a oltre il 5%, contro poco meno del 4%* di metà settembre scorso, segnalando un aumento del costo del denaro.
Il dollaro è sempre stato un indicatore della fiducia nell’economia e nella governance del Paese, ma quest’anno sta in gran parte venendo meno al suo ruolo di bene rifugio dai rischi elevati. Il ripristino di tale funzione richiederebbe probabilmente un livello di calma e prevedibilità da parte di Washington che sembra difficile da raggiungere prima del novembre 2028, data delle prossime elezioni presidenziali statunitensi.
D’altro canto, è certamente possibile che la situazione nel Regno Unito si deteriori ulteriormente e che la sterlina sottoperformi il dollaro a causa di un altro shock fiscale o di altro tipo. Il partito laburista in Parlamento non sembra disposto a sostenere misure di austerità fiscale, data la sua missione ideologica e morale, lasciando al governo in difficoltà poche opzioni oltre a un aumento delle tasse per la classe media nel prossimo bilancio autunnale, con conseguenti effetti negativi sulla crescita. Ciò potrebbe spingere la Banca d’Inghilterra a tagliare ulteriormente i tassi per proteggere la crescita, ma poiché questa eventualità è già ampiamente scontata, l’ipotesi di un imminente indebolimento della sterlina appare ora meno convincente.
Gli Stati Uniti rimangono una destinazione fondamentalmente interessante per gli investimenti, che non può essere facilmente ignorata. I suoi mercati finanziari profondi, l’autosufficienza energetica, l’innovazione tecnologica, la qualità del management e la cultura del lavoro fanno sì che non possa essere sottopesato all’infinito, anche quando si prendono seriamente in considerazione le alternative, e ciò dovrebbe alla fine sostenere nuovamente la sua valuta.