I provvedimenti per il lavoro contenuti nel Decreto Sostegni bis avranno effetti marginalissimi sull’occupazione, e qualcosina di più sulla situazione finanziaria delle aziende che pur accedendo alla Cassa Integrazione non licenzieranno: la possibilità di accedere alla Cassa Straordinaria, l’esenzione dal versamento addizionale per la CIG Ordinaria, il potenziamento del Contratto di Solidarietà sono tutte misure apprezzabili, anche se non certo decisive, e comunque finalizzate a mantenere il più a lungo possibile la condizione occupazionale esistente, anche a costo di drogarla. Le misure “espansive” avranno invece un impatto assai problematico.
Il Contratto di Rioccupazione non è una brutta idea, anche se non è chiaro quale debba essere il contenuto formativo; in realtà pare essere una sorta di lungo periodo di prova, assistito da un incentivo economico, come nota G.Piero Falasca. Una tarda riedizione del Contratto di Formazione Lavoro, che però era più strutturato nella definizione della causa mista (lavoro + formazione) e più corposo sia nella durata che nei benefici per l’azienda. Si tratta di una variante, comunque, delle varie forme di accesso al lavoro incentivato, la principale delle quali è tuttora l’apprendistato. Nessuna di queste forme è tuttavia decisiva per indurre le imprese ad assumere: non sono mai stati gli sgravi economici, tanto più a tempo limitato, a far la differenza.
Effetti marginali avrà anche il nuovo Contratto di Espansione, al quale potranno accedere anche le medie imprese, da 100 dipendenti in su: le imprese avrebbero costi importanti (5 anni di indennità pari alla pensione lorda, cui sottrarre solo 2 anni di Naspi) più il costo delle nuove assunzioni. Francamente, tranne casi specifici di grandi imprese fortemente interessate ad ottimizzare il bilancio sociale, si fa fatica a vederne una diffusa attuazione. In realtà è essenzialmente interessante per aziende che abbiano necessità di ridurre il personale senza passare per i licenziamenti: ma allora sarebbe, in una prospettiva da Pnrr, molto più utile attuare la proposta di Alberto Brambilla, di Itinerari Previdenziali, che da tempo suggerisce di istituire Fondi di Solidarietà, finanziati bilateralmente, che finanzino gli “scivoli” per esuberi non immediatamente pensionabili, come accade nel comparto del Credito. La “contropartita” delle nuove assunzioni non è realistica, come d’altra parte insegnano le numerose esperienze di “staffetta generazionale”.
Più in generale sono poco efficaci gli incentivi economici alle assunzioni che, ovviamente, non possono essere permanenti, soprattutto quando, come ora, non sono finalizzati a favorire il riassorbimento di una limitata sacca di disoccupazione, ma devono far fronte alla ripresa globale del mercato del lavoro.
La periodica ricerca Excelsior Unioncamere segnala come le imprese prevedono di operare a maggio 389.000 assunzioni, e di queste il 31% è di difficile reperimento. La ragione sta in buona parte, come ben noto, nell’insufficiente preparazione, ma sorprendentemente in misura anche maggiore, nella mancanza di candidature, anche in comparti come metalmeccanico, legno, costruzioni, dove son più frequenti le ricerche di personale non particolarmente professionalizzato.
Dunque due problemi di mismatch: quello tra la domanda e l’offerta di profili professionali e quella tra domanda e offerta di lavori. Quanto al primo inutile affrontare il discorso dei percorsi di istruzione-formazione se stiamo parlando di misure di pronto intervento. Però tenendo conto dei profili predominanti tra i cassintegrati e i non-licenziati cui dovremo erogare i servizi al lavoro (e comunque sarebbe bene averne una mappa un minimo precisa) qualche misura di aggiornamento e adeguamento formativo dovrebbe essere possibile. Faccio qualche esempio:
– Impiegati addetti all’accoglienza e all’informazione della clientela – difficoltà a reperire 18,5%
– Operatori della cura estetica – 25,2%
– Conduttori di veicoli a motore – 37,8%
– Personale non qualificato nei servizi di pulizia – 16,5%
Non dovrebbe essere difficile attrezzare rapidi corsi di formazione per profili di questo tipo: le Agenzie per il Lavoro lo fanno normalmente per i lavoratori da somministrare. Più che altro è difficile la logistica: chi fa cosa, con quali soldi e chi gli dice di farlo. Attribuire questa funzione di organizzare e mettere in movimento ai Centri per l’Impiego o agli Uffici del Lavoro sarebbe un suicidio. Più efficace, e praticabile immediatamente, la creazione piattaforme informatiche dove i candidati si registrino, scelgano l’operatore con cui vogliono fare la politica e un gestore pubblico (l’Inps?) paghi per i servizi formativi (o altro): modello Garanzia Giovani, per capirci, che funziona in modo accettabile.
E questa, in via di provvedimento d’urgenza, potrebbe anche essere la risposta più efficace al mismatch per “mancanza di candidati”, che probabilmente è in gran parte dovuta al fatto che non esistono piattaforme informatiche territoriali (o nazionale) su cui domanda e offerta possano incontrarsi facilmente: finché Anpal, o chi ci sarà, non saranno in grado di dar vita ad una infrastruttura del genere, abbastanza seria ed affidabile che le imprese accettino di inserirvi le proprie ricerche e che le Agenzie Private possano considerarla uno strumento di lavoro utile e non un improprio concorrente.
Ma, sempre parlando di interventi urgenti con tutto ciò di provvisorio che comportano, tutti, disoccupati e operatori, devono sapere quanto è disposto a spendere lo Stato a partire da giugno per far fronte a quel che potrebbe diventare uno tsunami occupazionale: e non potrà essere, come è stato fino ad oggi, un’ulteriore infornata di miliardi nella Cassa Integrazione.