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Quota 100

Il contratto di rioccupazione disinnescherà la bomba licenziamenti?

Le misure sul lavoro - in primis il contratto di rioccupazione - previste dal decreto Sostegni bis analizzate da Giuliano Cazzola

 

L’ircocervo è un animale immaginario – in parte caprone e in parte cervo – utilizzato da Aristotele in De Interpretatione per indicare “cose che non esistono”. Nella vulgata questa parola viene comunemente usata per indicare la combinazione di pezzi di corpi di diversa origine e natura, che nell’insieme formano un essere che esiste solo nella mitologia (il centauro, il minotauro, ecc.). Ovviamente il concetto può essere adattato anche ad operazioni politico-giuridiche concepite dalla fervida fantasia dei governi o dei legislatori.

Andrea Orlando – a stare alle anticipazioni del decreto Sostegni bis – ha intenzione di far circolare, nell’ambito del mercato del lavoro, un contratto tipo ircocervo o, volendo risalire nel tempo e passare dalla specie animale a quella umana, un contratto tipo Frankenstein.

E’ destinato a chiamarsi ‘’contratto di rioccupazione’’ e viene descritto in questi termini dalle agenzie: un tipo di contratto di lavoro “subordinato a tempo indeterminato diretto a incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 19 del decreto-legislativo 14 settembre 2015, n. 150 (uno dei decreti applicativi del jobs act) nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica”.

La stipula del contratto è legata a un periodo di formazione, finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al nuovo contesto lavorativo, di una durata di 6 mesi. In questo periodo resta in vigore il divieto di licenziamento per motivi oggettivi.

Ricordiamo per inciso che il comma 3 del citato articolo 19 stabilisce che “lo stato di disoccupazione è sospeso in caso di rapporto di lavoro subordinato di durata fino a sei mesi”.

Ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo e del lavoro domestico, che assumono lavoratori con il contratto di rioccupazione è riconosciuto, per un periodo massimo di sei mesi, l’esonero dal versamento del 100 per cento dei complessivi contributi previdenziali a loro carico nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL).

Possono accedere all’esonero i datori di lavoro che, nei 6 mesi precedenti l’assunzione, non abbiano proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o a licenziamenti collettivi, nella medesima unità produttiva. Ma questo sgravio contributivo andrà restituito nel caso in cui il lavoratore non venisse assunto, al termine della prova (il termine è un po’ surrettizio).

Il contratto di rioccupazione dovrebbe essere applicato a tutti i settori (tranne il lavoro agricolo e domestico) e riguardare tutte le nuove assunzioni. Nessun limite quindi legato all’età, alla residenza o al genere. Il contratto potrà essere stipulato a partire dall’entrata in vigore del decreto fino al 31 ottobre 2021 (la data è la medesima ora preventivata per la fine del blocco dei licenziamenti).

E’ evidente l’accavallarsi, nel contratto di nuovo conio, di contenuti differenti presi e assemblati tra di loro. Si tratta in sostanza di contratto di apprendistato che può essere definito a qualunque età (è già così nel caso che siano assunti a tale titolo dei disoccupati) per la durata massima di sei mesi (qui compare una ‘’toccata e fuga’’ del contratto a tempo determinato). Come nel contratto di apprendistato (che innesca un rapporto a tempo indeterminato) al termine del periodo previsto, le parti possono decidere liberamente di recedere dal contratto, purché con preavviso.

Contrariamente, se nessuna delle parti recede, il rapporto di lavoro proseguirà come rapporto ordinario di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Nella nuova fattispecie ci sono due varianti: il totale esonero contributivo a carico del datore e l’obbligo della sua restituzione in caso di mancato proseguimento del rapporto alla scadenza dei sei mesi. Siamo sempre dell’avviso che di solito, gli incentivi economici anche se importanti non compensano un disincentivo di carattere normativo quale l’assunzione a tempo indeterminato.

Ricordiamo che anche il superbonus introdotto dal governo Renzi nella legge di bilancio del 2015 ottenne dei risultati significativi, ma a caro prezzo, perché lo sgravio durava per un triennio (e quindi era ben più accattivante dei 6mila euro ora previsti). Inoltre gli incentivi finiscono sempre per ‘’drogare’’ il mercato del lavoro, soprattutto se sono rivolti – come sembra essere in questo caso – rivolti al recupero dei lavoratori che escono dalla cig, ma che hanno mantenuto in questi 18 mesi un rapporto solo formale con l’azienda, per via del blocco dei licenziamenti.

Il rischio è il medesimo che ha fatto da corollario al divieto di licenziamento: congelare la situazione esistente in base al presupposto che possa essere la stessa alla fine della crisi.

Il contratto di rioccupazione è una sorta di misura che tenta di mantenere in vita quei rapporti anche dopo la scadenza del blocco e di allontanare o eludere la resa dei conti tra l’esistenza di un’effettiva esigenza di quel lavoratore in quella posizione e il vincolo legislativo che lo ha tenuto lì, per 15 mesi, a prescindere dalle trasformazioni che nel frattempo intervenivano in quella organizzazione del lavoro, a seguito degli effetti indotti dalla crisi sanitaria e dai provvedimenti di chiusura. Quanto ai licenziamenti collettivi le misure previste si avvalgono degli strumenti predisposti nel corso degli ultimi anni, con qualche estensione o allargamento delle platee interessate. Ma il problema non sta lì.

Trovo che – nonostante il tentativo di articolare i processi con opportune differenziazioni – il governo non è ancora in grado di disinnescare quel barile di tritolo – appunto il blocco dei licenziamenti – su cui è seduta l’economia.

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