La cosiddetta cannabis light potrebbe essere messa al bando. Non è ancora ufficiale ma è questione di giorni. Il disegno di legge Sicurezza Piantedosi-Nordio prevede infatti un articolo che modifica la disciplina relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. Un settore da 500 milioni di euro di fatturato e oltre 10mila occupati.
LA NUOVA NORMA SULLA CANNABIS LIGHT
Passato per ora alla Camera con 157 sì, 109 no e 2 astenuti, l’articolo 18 del ddl Sicurezza attende solo il via libera del Senato la prossima settimana. Tra le novità rispetto alla normativa esistente vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati.
Una filiera, dunque, che non ha niente a che fare con spacciatori e tossicodipendenze. E che va ben oltre i negozi che vendono legalmente la cannabis light. Basti pensare a settori e prodotti quali la cosmesi, il florovivaismo, gli integratori alimentari, l’erboristeria. Ma la domanda di canapa interessa anche settori che vanno dall’automotive ai tessuti tecnici e fino alla bioedilizia.
“La prima cosa che bisogna sottolineare – ha rimarcato il deputato di Azione Fabrizio Benzoni – è che non parliamo di cannabis ma di canapa. Perché questa non è semplicemente una battaglia per salvare i negozietti che vendono la cannabis light contro chi vuole chiuderli, perché la questione è più grave: sono così ideologici che hanno scritto una norma che affossa completamente il settore”.
I NUMERI DELLA CANAPA IN ITALIA
La definitiva approvazione del ddl Sicurezza, stando ai dati riportati da Eunews andrebbe a colpire “un settore da 500 milioni di fatturato su base annua, con più di 15mila occupati in tutta Italia”. E per Il Fatto Quotidiano, “circa 3mila aziende diventerebbero fuorilegge e 11mila lavoratori con famiglie al seguito contempleranno la disoccupazione”.
Più nel dettaglio, secondo quanto scrive Today, le aziende che in Italia producono cannabis light sono circa 800, mentre quelle specializzate nella trasformazione della cannabis sono 1.500 e “il giro di affari annuo si aggira, a seconda delle differenti stime, da 150 a 500 milioni di euro”, con un numero di lavoratori che va dagli 11 ai 15mila.
Il deputato di +Europa Riccardo Magi ha poi ricordato che molti degli agricoltori coinvolti, considerati dalla norma alla stregua dei narcos, hanno ricevuto sovvenzioni nazionali ed europee. E poi c’è anche chi dovrà restituire prestiti concessi quando la normativa era differente.
UN SETTORE IN ESPANSIONE
Federcanapa, guardando al futuro, vede sfumare importanti opportunità economiche e industriali per il nostro Paese: “Per il 2024 il mercato europeo è valutato intorno ai 2,2 miliardi di euro, pari a 1/3 circa del mercato mondiale, con Germania e Regno Unito in testa (430 e 365 milioni di euro rispettivamente). L’Italia risulta tuttora il quarto mercato europeo con 190 milioni di euro, di poco dietro alla Francia. Ma altrove cresce, mentre da noi rischia di inabissarsi”. Il mercato europeo del Cbd infatti è in forte espansione e ci si attende una crescita del 15% nei prossimi 7 anni.
Per Confagricoltura si tratterebbe di “un duro colpo per il Made in Italy agroindustriale di cui la canapa industriale è uno dei tasselli importanti, in quanto espressione delle piccole produzioni locali di qualità nazionali. Il settore italiano, infatti, dal 2019 al 2023 è cresciuto di oltre il 200%” e sta ridando vita ad “alcune aree agricole marginali, in regioni come Abruzzo, Marche, Molise, Liguria, Calabria, Campania”.
LA FINE DI UN’INDUSTRIA GIOVANE
Si tratta poi di un settore su cui hanno puntato negli ultimi anni molti giovani. “La coltivazione della canapa ha visto un numero crescente di agricoltori sotto i 40 anni investire ingenti risorse in questo settore – ha spiegato Davide Venturi, presidente di Confagricoltura Bologna -. A livello nazionale il 65% di queste aziende agricole è gestito da giovani agricoltori, con una percentuale significativa di donne. Inutile dire cosa accadrebbe se l’emendamento venisse confermato dal governo”.
Le associazioni di categoria, fa sapere Repubblica, “hanno chiesto al governo di ascoltare le loro ragioni e fare marcia indietro ma non sono state neanche ricevute”. Addirittura, oltre a Confagricoltura e CIA Agricoltori italiani, anche Coldiretti, sempre dalla parte dell’esecutivo, si schiera contro la norma temendo per la sopravvivenza del settore, “dove sono impegnati tanti giovani agricoltori”.
FUGA ALL’ESTERO
Dunque, tra chi di questi produttori può permetterselo, c’è chi ha già fatto le valigie e deciso di spostare la propria attività all’estero. È il caso di Raffaele Desiante, presidente dell’associazione Imprenditori canapa Italia, che al Fatto Quotidiano ha raccontato di aver già aperto un’azienda in Repubblica Ceca come piano B e che “sono in tanti a preparare la fuga”.
Come ricorda il Fatto, del resto la canapa è legale in tutta Europa e, oltre alla Repubblica Ceca, le aziende guardano con interesse anche a Slovenia, Francia, Austria, e soprattutto Germania, dove è legalizzata anche la canapa ad alto contenuto di Thc. Ecco perché alcune associazioni di categoria, denunciando la possibile violazione di diverse normative comunitarie, hanno chiesto alla Commissione europea di emettere un parere circostanziato al riguardo.
Trasferirsi però, oltre a spostare i guadagni dall’Italia in altri Paesi, non è un’opzione alla portata di tutti perché servono “fatturati importanti, anche milionari” e la nostra filiera, invece, “è composta da un migliaio di aziende piccole e medie: il 99% degli agricoltori lavora in campo aperto perché l’indoor è costoso e con leggi così ambigue, solo pochi ‘incoscienti’ hanno investito sulle serre”.
Un altro rischio, invece, per Benzoni è che “i prodotti dei supermercati con cosmetici e creme saranno prodotti con canapa straniera, con gravi danni al sistema produttivo e agricolo italiano”.
I PRODOTTI FARMACEUTICI FANNO ROTTA VERSO L’AFRICA
Ma oltre a tisane, oli e prodotti per il benessere vengono colpiti anche coloro che realizzano prodotti medicinali a base di Cbd e Cbg, altro principio attivo legale. Recentemente, infatti, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha emanato un decreto – già bocciato dal Tar del Lazio – in cui il Cbd per uso orale veniva classificato come stupefacente. Questo significa che avrebbero potuto produrlo e venderlo solo le aziende farmaceutiche autorizzate.
“Ma la burocrazia per il semaforo verde è una via crucis, in Italia, e molti preferiscono l’Africa”, scrive il Fatto Quotidiano. E non perché sia più facile, spiega Nicola D’Addazio, esperto di legislazione del farmaco e consulente, nonché proprietario dell’azienda di distribuzione farmaceutica Naponos, che vende prodotti medicinali e di benessere a base di Cbd e Cbg. “In tre mesi ottieni l’autorizzazione” perché “c’è una legge chiara, un organo che ti assiste e non ti ostacola, in cambio paghi una tassa tra i 20 e i 30mila euro una tantum”. In Italia, invece, i tempi possono diventare biblici.
Chi sbarca in Africa non solo pensa di trovare spazio in un continente dove spesso farmacie e servizi medici sono carenti ma, come afferma il Fatto, “lo scopo è vendere farmaci in Europa con l’autorizzazione dell’Ema (European medicines agency)”.