È una delle maggiori novità quella del ministero dell’Economia per il governo Draghi.
Il democrat Roberto Gualtieri – forse per le colpe anche sul disastro Recovery Plan – non viene riconfermato e viene sostituito da Daniele Franco, attuale direttore generale della Banca d’Italia e già Ragioniere generale dello Stato.
Per Franco, neo ministro dell’Economia e Finanze, l’ingresso nell’esecutivo che lo porterà a varcare il portone di via XX settembre rappresenta una sorta di “ritorno”.
Ecco perché.
Esperto di conti pubblici, attuale direttore generale di Bankitalia, è stato Ragioniere Generale dello Stato, un ruolo dal quale ha svolto un ruolo di garanzia.
Il suo curriculum – scrive l’Ansa – garantisce a Draghi competenza e rigore professionale, e conoscenza capillare dei meandri e dei meccanismi del bilancio pubblico e di una pubblica amministrazione da semplificare.
E la rivincita personale di Franco, visto che a cavallo fra il 2018 e 2019, lo vide lasciare con amarezza la carica di Ragioniere generale dello Stato quando un messaggio privato dell’allora portavoce del premier Conte finì sui giornali esponendolo ad accuse insultanti.
Quando la sua Ragioneria, cane da guardia di saldi e coperture finanziarie, vide incrinarsi il rapporto col Governo gialloverde ansioso della ‘bollinatura’, e l’allora vicepremier Luigi Di Maio dichiarò a suo proposito “non dico che non mi fido ma non è nemmeno il mio migliore amico” sottolineando, appunto, il “primato della politica”.
Ha scritto oggi Repubblica: “C’è chi giura che quando Casalino lo attaccò, con un volgare fuori onda, perché non voleva cedere sul rispetto dell’articolo 81 della Costituzione, non la prese affatto bene. La marcia fu dura perché i gialloverdi volevano sfondare il bilancio, fare la flat tax, reddito di cittadinanza, quota 100 e quant’altro. Franco non li boicottò, ma rese possibile la manovra imponendo tuttavia una serie di condizioni: l’introduzione di un “catenaccio” composto da una clausola anti-sfondamento e da un monitoraggio periodico degli esborsi”.
L’esperienza di Franco, veneto classe 1953 di Trichiana, nel bellunese, è a tutto tondo: dopo la laurea, master in economia in Gran Bretagna, poi una carriera, scandita da incarichi accademici, fra Bankitalia, dagli esordi dopo la laurea al rientro con Draghi Governatore, la Commissione europea dove è advisor della DG Affari economici, la collaborazione con la Bce. Fino alla nomina a Ragioniere generale dello Stato, nel 2013, e nel 2019 l’arrivo ai vertici di Bankitalia e, dal 2020, la nomina a numero due del Governatore e la presidenza dell’Ivass.
«Debito e crescita», senza drammatizzare ma con rigore, sono i suoi punti focali che ha espresso in recenti interventi, ha scritto Repubblica: “Ispirandosi a colui che ritiene il suo punto di riferimento, Sergio Steve, maestro della Scienza delle Finanze italiana, anche lui amico di Federico Caffè, ed esponente di quella tradizione italiana da De Viti de Marco a Einaudi che aveva ben presenti i limiti del mercato e anche quelli dello Stato”.
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ECCO IL CURRICULUM INTEGRALE DI DANIELE FRANCO:
Nato a Trichiana (Belluno) il 7 giugno 1953.
Direttore Generale di Banca d’Italia dal 1° gennaio 2020 (D.P.R. del 10 gennaio 2020). Sostituisce il Governatore in caso di assenza o impedimento.
Dal 1° gennaio 2020 è Presidente dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS).
Nel 1977 si laurea in Scienze politiche presso l’Università di Padova e l’anno successivo consegue un Master in organizzazione aziendale presso il Consorzio Universitario di Organizzazione Aziendale di Padova. Nel 1979 consegue il Master of Science in economia presso l’Università di York in Gran Bretagna.
Assunto in Banca d’Italia nel 1979 è assegnato al Servizio Studi dove rimane fino al 1994.
Dal 1994 al 1997 è Consigliere Economico presso la Direzione Generale degli Affari Economici e Finanziari della Commissione Europea. Rientrato in Banca, dal 1997 al 2007 è direttore della Direzione Finanza Pubblica del Servizio Studi.
Dal 1999 al 2007 presiede il Gruppo di lavoro di finanza pubblica del Sistema Europeo di Banche Centrali.
Dal 2007 al 2011 è Capo del Servizio Studi di struttura economica e finanziaria e dal 2011 al 2013 è Direttore centrale dell’Area Ricerca economica e relazioni internazionali. In tale veste rappresenta la Banca in comitati e gruppi di lavoro presso organismi internazionali ed è membro di gruppi di lavoro presso il Ministero delle Finanze, il Ministero del Tesoro, la Presidenza del Consiglio e l’ISTAT.
Dal 20 maggio 2013 al 19 maggio 2019 è Ragioniere generale dello Stato.
Vice Direttore Generale della Banca d’Italia dal 20 maggio 2019 (D.P.R. del 3 maggio 2019) al 31 dicembre 2019. Membro del Direttorio integrato dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS) dal 20 maggio 2019.
In ambito accademico ha tenuto corsi presso le Università di Bergamo e Trieste, l’Università Cattolica di Milano e la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Dal 2000 al 2003 è membro del Consiglio direttivo della Società Italiana di Economia Pubblica.
Ha pubblicato libri in materia di spesa pubblica, sistemi di protezione sociale e regole fiscali europee; ha scritto saggi in materia di politica di bilancio, federalismo fiscale, contabilità generazionale, tassazione delle attività finanziarie e distribuzione dei redditi.
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ARTICOLO DI ITALIA OGGI DEL 30/05/2014 CON IL RUOLO DI DANIELE FRANCO NELLA FAMOSA LETTERA DELLA BCE
Giulio Tremonti ne ha parlato con tono dispregiativo più volte: a suo parere, la famosa lettera della Bce che nell’agosto 2011 costrinse il governo di Silvio Berlusconi ad anticipare di un anno il pareggio di bilancio, con una manovra lacrime e sangue che ne accelerò l’uscita di scena, era stata scritta a Roma, e non a Francoforte, sede della Banca centrale europea. Tremonti, che allora era ministro dell’Economia, non ha mai indicato il nome dell’autore, ma per molti era chiaro che si riferisse a Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia e già designato alla presidenza della Bce, con il quale ha sempre avuto un rapporto pessimo. Un’ipotesi suffragata dal fatto che in calce alla lettera vi erano due firme: del presidente uscente della Bce, Jean-Claude Trichet, e di Draghi, suo successore. Ora però c’è un fatto nuovo, che rimette tutto in discussione: nel suo recente pamphlet («Berlusconi deve cadere. Cronaca di un complotto»), Renato Brunetta racconta alcuni retroscena inediti di quella vicenda, di cui fu testimone diretto, e sostiene che Tremonti non accusava Draghi, bensì lo stesso Brunetta, allora ministro della Funzione pubblica, nonché consigliere economico di Berlusconi.
Ecco la frase chiave: «Tremonti non lo dice mai. Non esiste Draghi, è il suo nemico personale e non deve esistere. Per questo rifiuterà di credere che la lettera arrivi da Draghi… E invece insisterà sia stata scritta a Roma, alludendo al sottoscritto». In attesa che Tremonti dica la sua una volta per tutte, gli storici possono prendere nota di come la bozza di quella lettera arrivò a conoscenza di Berlusconi. Qui la versione di Brunetta appare fondamentale, uno scoop vero, raccontato da brillante diarista.
Inizi di agosto, è sera. Nella «saletta verde» di Palazzo Chigi si sta proiettando un filmato sul Ponte di Messina, da sempre un sogno di Berlusconi. L’ha commissionato il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, per aggiornare il premier in modo spettacolare. Brunetta arriva all’improvviso, e chiede di parlare subito con il premier per una questione molto urgente. Ma Berlusconi, come rapito dal filmato, lo prega di aspettare. Appena si riaccendono le luci, Brunetta gli annuncia che sta per arrivare dalla Bce una lettera tremenda, «forse già pronta, forse in bozza». Una lettera che avrebbe spazzato via in un colpo solo non solo il Ponte di Messina, ma tutte le grandi opere, forse pure il governo e la sovranità nazionale se non si fosse corso ai ripari con urgenza. Scrive Brunetta: «Ci rechiamo nello studio del Presidente. C’è Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza. Dico tutto. Il colloquio del pomeriggio con una fonte assolutamente attendibile, la quale annunciava l’intendimento, l’orientamento, la decisione, non si capisce ancora. Berlusconi capisce tutto al volo. Capisce che è cosa fatta. Se noi anticipiamo il pareggio di bilancio di un anno ci salviamo, altrimenti siamo morti».
La reazione del premier è fulminea. Chiama Draghi al telefono, gli dice che ha saputo della lettera, che a informarlo è stato il ministro Brunetta, che è lì al suo fianco, e ha «compreso benissimo i termini della questione: vale a dire che la Banca centrale europea avrebbe continuato ad acquistare nostri titoli sul mercato, raffreddando l’incendio speculativo, solo se noi avessimo dato delle risposte aggiuntive in termini di politica economica, di rigore e di riforme». Più avanti: «Draghi dall’altra parte del telefono conferma e il presidente Berlusconi me lo passa. Io: ‘Ciao Mario’. Mario Draghi è un mio vecchio collega di università, mi conferma esattamente le indicazioni, gli intendimenti e mi dice che in Banca d’Italia a questa lettera (ormai era chiaro che di ciò si trattava) stava lavorando Daniele Franco. ‘Lo chiami?’, mi dice. Ma certo».
Si dà il caso che Brunetta e Daniele Franco, allora direttore centrale dell’Area ricerca economica in Banca d’Italia e oggi Ragioniere generale dello Stato, si conoscessero da tempo. «Era mio studente alla facoltà di statistica all’università di Padova all’inizio degli anni Settanta, quando anch’io ero molto giovane» ricorda l’ex ministro. «Appena rientrato al ministero lo chiamo , e dopo dieci minuti era già da me in piedi con delle carte in inglese in mano». E’ la bozza della lettera della Bce. «Non so ancora oggi dove quelle carte fossero state materialmente elaborate, se in sede Bce o in altra sede, magari a Palazzo Koch (sede della Banca d’Italia; ndr). So che Franco me le illustra, dandomi sostanzialmente la linea guida del documento che poi sarebbe stato conosciuto come ‘la’ lettera della Banca centrale europea al governo italiano».
Il 5 agosto, nel pomeriggio, appena arriva la lettera ufficiale della Bce, Brunetta si reca a Palazzo Grazioli per esaminarla con Berlusconi. «Rimarrà riservata, me ne faccio una copia di lavoro», scrive l’ex ministro, che suggerisce a Berlusconi di convocare una conferenza stampa per dare una risposta immediata, con decisioni concrete. Il premier accetta il consiglio, ma supplica Brunetta di non prendervi parte per non irritare Tremonti, che di quella lettera non sapeva ancora nulla. «Ne fui avvilito e immediatamente dopo infuriato» confessa l’ex ministro. Tremonti, durante la conferenza stampa, apparve «molto imbarazzato. Impreparato. Evidentemente contrariato. Diede anche sulla voce a Berlusconi, smentendolo sul punto che le parti sociali fossero informate di quanto andavano annunciando». Gianni Letta mantenne una «postura imperturbabile e interdetta». Di quella conferenza stampa, Brunetta riporta nelle note del libro la trascrizione parola per parola, «ad uso degli storici e dei curiosi». Fu allora che per l’Italia iniziò la rinuncia alla sovranità nazionale, poi completata dal governo di Mario Monti: merita la lettura