Ad oltre dieci anni dall’inizio della crisi americana, il rallentamento dell’economia globale si fa vistoso.
Mentre la Cina e gli Usa hanno cercato subito di reagire, ognuno alla sua maniera nonostante la guerra commerciale in corso, attraverso politiche fiscali espansive, l’Europa chiude gli occhi, aspettando il peggio senza reagire.
Nell’Eurozona, gli ultimi dati sono raggelanti: l’indice manifatturiero PMI di marzo è sceso per l’intera Eurozona, passando da 49,3 di febbraio a 47,6. Anche in Francia l’indice è sceso purtroppo sotto la fatidica soglia dei 50 punti, la frontiera che divide la tendenza alla espansione dalla contrazione: è passato da 51,5 di febbraio a 49,7. Buio pesto in Germania, con un crollo da 47,6 punti a 44,1: è il peggior indice da ben 80 mesi. C’è di che avere davvero paura.
In Italia, c’è stata un’altra limatura al ribasso, con una contrazione da 47,7 a 47,4: siamo sostanzialmente nella media dell’Eurozona, ma per fortuna ancora ad un livello migliore rispetto a quello tedesco.
Anche in Europa sarebbe stato saggio prendere immediati provvedimenti anticiclici, fiscali e monetari, per evitare di dover fronteggiare una nuova crisi: ed invece no, tutto tace.
Ed invece no: serve ancora maggior rigore, ancora austerità.
Per l’Italia, l’Ocse ha chiesto di modificare l’intero impianto della legge di bilancio per il 2019, buttando a mare sia la “quota 100” per le pensioni, sia il reddito di cittadinanza: sarebbero misure deleterie, poca crescita e debiti per le future generazioni.
Anche la Commissione Europea, per bocca del suo Presidente Junker, si è detta preoccupata per la situazione italiana.
A dare l’allarme, prima di tutti, era stato il Fmi: a Parigi, la settimana scorsa, parlando in una Conferenza presso la Banca di Francia, la Direttrice generale Christine Lagarde ha affermato, preoccupata, che l’Europa non è ancora pronta per la prossima crisi. Siamo al paradosso: le crisi ormai sono considerate fisiologiche, fanno parte del naturale modo di essere del sistema turbo-finanziario che abbiamo messo in piedi.
È un assetto che si basa sugli squilibri commerciali strutturali internazionali, ed in cui gli asset sono sempre a rischio, mentre diminuisce progressivamente la capacità dei debitori di onorare i propri impegni.
Qualche bello spirito è andato avanti, chiedendo che l’Italia adotti subito una manovra di bilancio restrittiva, volta a mantenere fermo il rapporto deficit/Pil al 2,04%: visto che il Pil (che è posto a denominatore della frazione) non crescerà neppure dell’1% come pure era stato immaginato a fine dicembre, e che ci si avvia ad una crescita zero, è inevitabile un peggioramento. Ma una manovra sarebbe pro-ciclica: peggiorerebbe la tendenza in atto.
Si strologa già sul nuovo Def per il 2020: tanto per cominciare, ci sono da trovare almeno 23 miliardi di euro per disinnescare le clausole di salvaguardia relative all’aumento dell’Iva.
Nonostante tutto, sui mercati c’è calma piatta: la speculazione non si muove, perché sarebbe travolta dagli eventi o più probabilmente stoppata dalla Bce, che rimane in silenzio. Una sua iniziativa è già preannunciata: si tratta di una nuova L-Tro per le banche, ma si farà a settembre.
Sulla prossima crisi, ci sono già due scuole di pensiero: secondo alcuni, sarebbe il rallentamento dell’economia globale a provocarla, con il crollo degli investimenti e della domanda per consumi a fare da detonatore. Secondo altri, è in vista un’altra buriana sui mercati finanziari per via dell’incremento costante dei titoli di bassa qualità sul mercato: vendite in massa dei bond e default a catena dei debitori la scatenerebbero.
Il problema di fondo è sempre lo stesso: ci sono sempre troppi squilibri commerciali internazionali strutturali che innescano una crescita senza soste dei debiti e dei contratti derivati a copertura dei rischi. Il mercantilismo comporta una accumulazione crescente di asset a rischio.
La ossessione della Commissione europea è stata quella di riportare i debiti pubblici al livello pre-crisi, con misure di stabilizzazione fortemente recessive. Le economie sono state sfibrate, con una competizione basata solo sui bassi salari. Senza domanda per consumi, le imprese hanno smesso di investire.
Il Fiscal Compact ha avuto effetti deleteri, mentre la politica monetaria della Bce è stata sostanzialmente inutile: ha massacrato i rendimenti senza favorire gli investimenti nell’economia reale.
Il risparmio interno, soprattutto in Italia, è stato dirottato verso impieghi finanziari, sempre più all’estero: talora con rendimenti negativi, talora assumendo rischi eccessivi pur di avere un ritorno decente. Anche il saldo della bilancia dei pagamenti italiana, in attivo strutturale ormai da anni, non è stato utilizzato: né per fare investimenti che aumentassero la produttività delle imprese, né per realizzare investimenti pubblici infrastrutturali.
I responsabili di queste politiche, la Commissione Europea, la Bce, il Fmi e l’Ocse, insieme a tutti coloro che sostenuto la assurda strategia della “austerità espansiva” e delle riforme strutturali, non ammettono il loro fallimento.
In Europa, tutti ad occhi chiusi verso una nuova crisi.
I soliti Nottambuli.
Articolo pubblicato su Teleborsa.it