È stato un lunedì nero per la Germania e per Berlino. Nella capitale sono confluiti oltre 10.000 agricoltori con 5.000 trattori e l’inevitabile caos negli spostamenti urbani. Nelle stesse ore, sono stati resi noti i dati preliminari sul PIL del quarto trimestre e dell’intero 2023. Un doppio -0,3% (variazione tra quarto e terzo trimestre e tra 2023 e 2022) ha ufficialmente sancito che la Germania è l’unica economia avanzata a chiudere il 2023 in decrescita e, per il 2024, potrebbe restare in coda ai 20 Paesi Ocse, appena prima dell’Argentina. Non si può dichiarare ufficialmente la recessione solo perché il dato del terzo trimestre è stato rivisto al rialzo da -0,1% a 0. A questi dati, qualche giorno fa si è aggiunta l’inflazione che a dicembre si è attestata al 3,8% (contro il 2,9% dell’Eurozona e il 0,5% dell’Italia).
IL FUTURO DELLA GERMANIA, DELL’EUROZONA E DELL’ITALIA
È evidente che dati del genere suscitano rilevanti interrogativi sul futuro dei tedeschi, su quello dell’intera Eurozona e dell’Italia in particolare. Parliamo di un Paese il cui PIL (a prezzi correnti) pesa per il 29% su quello dell’Eurozona, di cui è la prima potenza manifatturiera. Dalla Germania è partito nei primi 11 mesi del 2023, il 25% dell’intero export dell’Eurozona verso il resto del mondo.
Nello stesso periodo, la Germania è riuscita a conseguire un avanzo della bilancia commerciale verso il resto del mondo per 221 miliardi, quando l’intera Eurozona si è fermata a 49 miliardi.
Ancora più impressionanti le cifre relative all’interscambio con l’Italia. Nel 2022, 77 miliardi di esportazioni contro 89 miliardi di importazioni. Il 28% delle merci che l’Italia ha inviato nella Ue, è finito in Germania. E il 31% dell’import intra-Ue è arrivato da Berlino.
Anche se la bilancia commerciale è strutturalmente in deficit e quindi, finora, siamo stati noi (e da qualche anno, soprattutto il resto del mondo) con la nostra domanda di beni a trainare il PIL tedesco, con buona pace di chi ha sempre parlato di “locomotiva”, è innegabile che 77 miliardi di nostro export, e quindi di domanda e consumi tedeschi, potrebbero subire un significativo rallentamento.
LA TEMPESTA PERFETTA
Sulla Germania nel 2023 si è abbattuta la tempesta perfetta. Inflazione superiore alla media dell’Eurozona, aumento dei costi dei prodotti energetici, rialzo dei salari, buco di 60 miliardi del bilancio federale causato dalla sentenza della Corte di Karlsruhe che ha impedito il dirottamento di fondi stanziati per il lockdown, debolezza della domanda mondiale e quindi frenata della poderosa spinta che riceve dall’export, rialzo dei tassi di interesse.
Tutti gli aspetti strutturali che avevano costituito il volano su cui la Germania aveva costruito la crescita degli ultimi 20 anni, hanno contemporaneamente cambiato di segno. E sulle agenzie internazionali ha fatto nuovamente capolino la domanda sulla Germania “malato” d’Europa, come accadde nel periodo post unificazione dei primi anni ’90.
La differenza, enorme, con quegli anni è che oggi la Germania è parte (ingombrante) dell’Euro. E un tale livello di divergenza nell’andamento dei principali dati macroeconomici della Germania rispetto agli altri partner europei chiama in causa direttamente sia la Bce sia la Commissione.
La prima perché deve scegliere in quale direzione orientare tutta la sua (unica) cassetta degli attrezzi, cioè i tassi di interesse e la liquidità offerta al sistema bancario. E quali dati dovrà osservare e quali obiettivi dovrà perseguire, quelli della Germania, dell’Italia o della Francia? Dovrà guardare al 3,8% di inflazione in Germania o al 0,5% in Italia? Gli scarti sono così significativi che, qualsiasi cosa faccia Christine Lagarde, genererà instabilità finanziaria in una (o più) dei primi tre Paesi dell’Eurozona.
AUMENTANO LE ISTANZE DI FALLIMENTO
Che qualcosa stia già scricchiolando a Berlino è dimostrato dall’aumento delle istanze di fallimento. Come ha riportato il Financial Times, nei primi 10 mesi del 2023 c’è stato un aumento del 24% rispetto al 2022 e per il 2024 si prevede un altro aumento del 30%. Le imprese tedesche stanno avendo semplicemente difficoltà a trasferire sui loro clienti gli aumenti di costo (energia, salari, in primis) che si sono repentinamente manifestati a partire dal 2022.
L’associazione degli assicuratori tedeschi ha segnalato un massiccio incremento dei ritardi nei pagamenti, con indennizzi dei crediti insoluti in aumento del 44% rispetto al 2022.
Ma non è solo la Bce sotto i riflettori. La Commissione deve infatti tutelare l’integrità del mercato unico, che è a rischio quando un partner così grande è in difficoltà. Infatti, è forte la tentazione di fare da sé senza rispettare le regole di coordinamento delle politiche di bilancio (la vicenda dei fondi fuori bilancio ne è un esempio clamoroso) e, soprattutto, le regole sugli aiuti di Stato.
L’elenco delle “eccezioni” a favore della Germania è lunghissimo. Da ultimo, è della settimana scorsa la notizia dell’approvazione da parte della DG Concorrenza di Bruxelles di un sussidio (€ 902 milioni) da parte del governo tedesco ad una società svedese per costruire una fabbrica di batterie in Germania, sfruttando per la prima volta una norma che consente di erogare aiuti alle imprese, pur di evitare che gli investimenti siano dirottati verso gli Usa, attratti dai $ 783 miliardi di incentivi dell’Inflation Reduction Act di Joe Biden.
Ma questo significa lentamente distruggere il mercato unico ed è, con altri strumenti, qualcosa di simile a quella che veniva chiamata, prima dell’euro, svalutazione “competitiva” della moneta.
Oggi, con l’euro, il rischio è quello di danneggiare il mercato unico e gli altri partner europei. Il bene più prezioso della UE.