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Quota 100

Cosa va (e cosa non va) nel piano del governo sul lavoro

L'analisi dell'editorialista Giuliano Cazzola sul piano in fieri del ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo

 

Paolo Gentiloni è stato chiaro nell’audizione svolta in collegamento con le Commissioni Bilancio e Affari europei delle due Camere. E ha esortato le nostre istituzioni a togliersi dalla testa l’idea di acchiappare più di 200 miliardi del Recovery Fund e di usarli per abbassare le tasse. Queste risorse – ha precisato il commissario per l’economia – devono servire, in primo luogo, per la riconversione delle strutture produttive attraverso la digitalizzazione e le politiche ambientali. Gentiloni si è guardato bene dal fare promesse; anzi, ha stoppato sul nascere le voci (ne ha parlato persino il presidente del Consiglio nelle sue comunicazioni alla Camera) di possibili anticipi, che comunque non ci sarebbero se non in primavera, alla precisa condizione di presentare entro la data del 15 ottobre progetti – non elenchi – di riforme. Evidentemente a Bruxelles non è piaciuto il Piano Nazionale delle Riforme – presentato dal governo in primavera di quest’anno – dove le misure indicate sono poco più che il titolo di un lungo elenco, senza l’indicazione di priorità negli obiettivi da raggiungere.

Nunzia Catalfo si è messa a lavorare per rispettare i tempi di un piano del lavoro, capace di entrare in sintonia con gli obiettivi di carattere generale stabiliti in sede europea (si annuncia la convocazione di un’apposita Conferenza in primavera), con gli occhi già puntati alla ripartizione del Sure, che dovrebbe riservare all’Italia quasi un terzo dell’intero ammontare e comunque la quota più elevata tra i Paesi assistiti.

Come riportato da anticipazioni di stampa, il ministro Catalfo ha già predisposto una bozza di piano, che tenga conto dei ritardi da colmare per la modernizzazione del Paese e per lo sviluppo dell’occupazione, giacché non ci si può accontentare né rassicurarsi per la fiammata riscontrata a luglio rispetto a giugno. In un solo mese, infatti, le cose sembrano essere migliorate se si osservano i dati dell’occupazione da cui risulta un boom del lavoro dipendente a tempo indeterminato: +138mila rispetto a giugno, e addirittura +181mila rispetto a giugno 2019. Dietro a questi numeri – Catalfo lo sa – si nascondono gli effetti del blocco dei licenziamenti ragguagliato all’utilizzo della cig (quest’ultima tutela mantiene attivo il rapporto di lavoro, anche se il posto è scomparso durante la crisi. Catalfo è consapevole che tanto resta ancora da fare. Si tratta – afferma – di sostituire gli interventi tampone con misure strutturali. Serviranno tanti soldi. Per questo il governo ha subito chiesto i prestiti Ue del programma Sure. All’Italia arriveranno 27,4 miliardi. Ma non basteranno neppure a coprire la spesa per ammortizzatori e bonus del 2020, stimata in 30 miliardi. Ecco allora che Catalfo si appresta a presentare a Bruxelles, entro il 15 ottobre un piano in 4 punti in vista del Recovery plan per accedere ai 209 miliardi tra prestiti e trasferimenti che spetterebbero all’Italia.

Molto ampia è l’informazione fornita in proposito dal Corriere della sera.

Il primo dei 4 capitoli del piano riguarda le Politiche attive e la formazione. Obiettivo: «Traghettare le transizioni occupazionali». Aiutare cioè chi perderà il lavoro in settori colpiti dalle conseguenze della pandemia a trovare posto nei nuovi lavori, in particolare nel digitale e nell’economia green. Base di partenza sarà il «Fondo nuove competenze» del decreto Rilancio, potenziato col dl Agosto. Per ora ci sono a disposizione «solo» 730 milioni per il biennio 2020-2021, per finanziare, con accordi tra le parti, la destinazione di una quota di orario alla formazione per la ricollocazione, senza riduzioni di salario. Catalfo punta a rafforzare sia questa misura sia forme contrattuali di solidarietà espansiva: cioè taglio dell’orario eventualmente compensato sulla retribuzione dallo Stato a patto che l’azienda aumenti l’organico. L’idea — se ne parla in Germania, con la proposta della settimana di 4 giorni — è quella, cara ai sindacati, di lavorare meno lavorare tutti..

Il secondo capitolo riguarda la riforma degli ammortizzatori sociali su due strumenti: uno di protezione temporanea per i lavoratori di aziende con prospettive e uno per chi invece perde il lavoro, ma condizionato alla partecipazione alle attività di ricollocamento, da potenziare. A questo punto viene legittima una domanda: la cig con tutto ciò che segue prende il posto della Naspi e viene usata per non tagliare il cordone ombelicale con un posto di lavoro?

Il terzo capitolo prevede incentivi alle assunzioni delle donne: percorsi formativi ad hoc; rafforzamento degli asili, dell’assistenza per i non autosufficienti e dei congedi parentali per sostenere le lavoratrici madri; incentivi per le imprese che riducono le differenze di retribuzione tra uomini e donne.

Infine, l’occupazione giovanile: potenziamento dell’apprendistato e del sistema duale per rafforzare il collegamento tra scuola e impresa e la staffetta generazionale incentivata per favorire il ricambio tra lavoratori anziani e giovani.

In sostanza, il ministro sembra intenzionato a puntare sul rinnovo e sull’implementazione delle conoscenze, per fare delle competenze il cardine dell’occupazione. Obiettivo suggestivo perché adeguato all’esigenze di qualità richieste all’offerta di lavoro. Ma chi sarebbe protagonista e dove avrebbe luogo questo impegno formativo? Va da sé che devono essere chiamate in causa le aziende. Ma vi devono essere momenti di formazione di base che non possono prescindere dalla definizione di cicli formativi declinati, nel territorio, con la partecipazione di tutte le parti interessate.

Ecco perché è sbagliata la scelta di emarginare la Confindustria dal confronto, pretendendo di regolare per legge e in modo centralizzato progetti che devono interagire con i processi in cui sono coinvolte le imprese.

 

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