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Cosa succederà a Mediaset dopo la morte di Berlusconi

Tutti gli occhi della Borsa, dopo la morte di Silvio Berlusconi, sono appuntati sul futuro di Mediaset. Fatti, numeri, commenti, analisi e scenari.

 

Mediaset? “La scomparsa di Silvio Berlusconi cambierà non solo lo scenario politico italiano ma anche le prospettive di quella che è una delle poche grandi aziende italiane create negli anni Ottanta. C’è solo da sperare che le scelte dei suoi figli riescano ad arrestare il declino di Mfe, assicurandole un futuro di crescita in Europa”. Parola di Alessandro Penati, economista e gran conoscitore dei bilanci aziendali.

In effetti tutti gli occhi della Borsa ora – dopo la morte di Berlusconi – sono appuntati su Mediaset.

Ecco fatti, numeri, commenti, analisi e scenari.

GLI UMORI DEGLI ANALISTI SU MEDIASET

“Non è difficile immaginare che se arrivassero le offerte giuste la famiglia Berlusconi si potrebbe disimpegnare da Mfe ed è questo il motivo per cui sale il titolo”. E’ la visione degli analisti sulla reazione di Borsa alla morte di Silvio Berlusconi come le ha riassunte ieri l’agenzia di stampa Ansa.

COME SONO ANDATE LE AZIONI MEDIASET IN BORSA DOPO LA MORTE DI BERLUSCONI

Le azioni di categoria A, che trattano a sconto rispetto alle B, guadagnano il 6,18% a 0,50 euro, quelle di categoria B il 3,27% a 0,71 euro. Entrambe le categorie erano arrivate in mattinata a un +10%.

COSA PENSA LA BORSA DELLA MORTE DI BERLUSCONI

La lunga malattia, i recenti ricoveri fanno immaginare che le aziende fossero preparate alla sua scomparsa e quindi non sono attesi scossoni e in generale il mercato si aspetta che tutto prosegua “in un’ottica di continuità”. Tuttavia anche se “oggi è prematuro immaginare un orizzonte temporale”, la Borsa specula sulle difficoltà di gestire una famiglia allargata come quella del Cavaliere. La sua morte può quindi “aprire scenari tutti da scrivere” nei quali il mercato “vede la possibilità di uno sviluppo che generi valore”. E qualche considerazione su un possibile compratore porta a Vivendi (-0,91% ieri sul listino di Parigi) che di Mfe è il secondo azionista. Il primo banco di prova per valutare la compattezza, dei cinque figli di Silvio Berlusconi verso le scelte aziendali sarà l’operazione di integrazione a livello europeo di Mediaset che rimane sul tavolo. Secondo altri analisti finanziari, invece, è la stabilità della governance di Mfe-Mediaset a stare alla base dell’andamento positivo.

L’ANALISI DEL SOLE 24 ORE

Mediaforeurope, il nome con cui Mediaset ha voluto dare un segnale del suo slancio internazionale con la partenza del suo progetto di espansione all’interno dell’Europa, è considerata dagli operatori quella con maggiore appeal per un riassetto, ha sottolineato il Sole 24 ore: “E questo per motivi di forza come per ragioni di debolezza. Fra i primi sicuramente il fatto che si tratta di un’azienda che ha una posizione di forza nel mercato pubblicitario in Italia (dove si trova ad avere oltre il 55% di quota sugli investimenti nel comparto Tv) e in Spagna. Dall’altra parte c’è sicuramente la “debolezza” di operare in un contesto media stretto fra i fuochi dei colossi del web d’Oltreoceano e dei colossi dello streaming. Insomma, un quadro competitivo che porta, d’impatto, a speculare sulla possibile volontà di vendere dopo la morte del fondatore”.

FOCUS SU MEDIAFOREUROPE

Tutto da decifrare il rapporto con il gruppo francese Vivendi, visto l’accordo tra Fininvest e la francese Vivendi sul controllo di Mediaset. Dopo cinque anni di battaglie legali, sorte in seguito alla scalata ostile di Vincent Bolloré nel 2016 fin poco sotto il 30% del capitale, le armi sono state deposte, come testimonia il comunicato di ieri dei francesi: «Il contributo di Silvio Berlusconi al mondo dei media ha lasciato un segno indelebile. Il suo fascino e la sua energia rimarranno nella memoria di tutti». Nell’ambito dell’accordo Fininvest ha rilevato da Vivendi un 5% di Mediaset che l’ha portata a ridosso del 50%, la sede è stata spostata in Olanda, e Vivendi si è impegnata a vendere il resto delle azioni se il titolo fosse restato sopra determinate soglie di prezzo.

MEDIASET VISTA DA REPUBBLICA

Ma negli ultimi due anni la quotazione di Mediaset ha continuato a scendere e quindi Vivendi ha mantenuto in portafoglio gran parte di quelle azioni, ha sottolineato il quotidiano Repubblica: oggi è ancora titolare di circa il 23% di Mediaset. “Dunque il Biscione tecnicamente non è scalabile ma è pur sempre possibile che di fronte a un’offerta importante di acquisto la Fininvest, che è controllata da tutti e cinque i figli di Berlusconi, decida di passare la mano. Nella lunga battaglia legale i figli Marina e Pier Silvio si sono opposti duramente allo scalatore Bolloré, quindi la strada è in salita. Inoltre Bolloré e il suo luogotenente Arnaud de Puyfontaine hanno in corso un altro braccio di ferro, questa volta con il governo, per il controllo di Tim. E gli ultimi avvenimenti fanno pensare che il governo Meloni sia intenzionato a ridimensionare il ruolo di Vivendi in Italia piuttosto che farlo crescere magari con l’acquisto di Mediaset. Ed è anche vero che la fusione tra Telecom e Mediaset è sempre stata un cavallo di battaglia di Vivendi proprio per cercare una svolta alle due storie italiane in cui sono rimasti impigliati. L’altra soluzione per Mediaset, di cui si è vociferato nelle scorse settimane, riguarda la possibilità che Urbano Cairo, editore della Rcs e de La7 e primo assistente di Berlusconi, stia cercando di mettere insieme una cordata per rilevare Mediaset. Sarebbe una soluzione tutta italiana ma che incontrerebbe ostacoli regolamentari (supererebbe il 20% del Sic) e probabilmente anche politici. Ma perché succeda anche una sola di queste cose occorre che i figli Berlusconi si dichiarino venditori, e al momento le dichiarazioni sono di segno opposto”.

STORIA, PASSATO E PRESENTE DI MEDIASET SECONDO L’ECONOMISTA PENATI, ESTRATTO DAL QUOTIDIANO DOMANI

Creata nel 1987, Mediaset già valeva 4 miliardi a fine 1996, l’anno della quotazione, per poi toccare il picco a 30 miliardi a inizio 2000, con l’avvento di internet. Da allora però è stato un lento, inesorabile declino fino ai circa 1,7 miliardi odierni, meno della metà di quanto valeva al momento della quotazione di 27 anni fa.

Lo stretto legame tra Mediaset e la politica italiana, se per tanto tempo ha beneficiato l’azienda, alla lunga ha però ridotto la capacità dei suoi vertici di anticipare i cambiamenti tecnologici e nei comportamenti dei consumatori che hanno gradualmente trasformato la televisione tradizionale in un settore in declino.

A questo si aggiungono i tanti errori che sono stati commessi. Gli investimenti nella produzione dei contenuti, con l’ingresso in Endemol, si sono rivelati fallimentari; come fallimentare l’utilizzo della transizione digitale per fare concorrenza a Sky nella Tv a pagamento con Mediaset Premium; si è capito in ritardo l’avvento dello streaming, quando già il segmento era presidiato dai colossi americani; il controllo di ProSiebenSat.1 rimane elusivo pur essendone Mfe il primo azionista col 26 per cento, né si capisce come l’investimento sia sinergico col resto del gruppo; e la trasformazione di Mediaset in Mfe, con lo spostamento della sede in Olanda e la fusione mancata con Mediaset España, non sono state dettate da una logica industriale ma al solo scopo di blindare il controllo della famiglia Berlusconi dall’assalto di Vivendi, che di Mfe rimane il secondo azionista, riducendo così il flottante a discapito dell’appetibilità del titolo per gli investitori.

Mfe potrebbe aumentare significativamente il proprio valore se si liberasse dai legami con la politica italiana, oggi una zavorra più che un aiuto, e si dotasse di una chiara strategia per usare i cash flow stabili generati dalla pubblicità con la televisione generalista per finanziare gli investimenti nei tanti segmenti a forte crescita nei media e nell’intrattenimento che la rivoluzione digitale ha reso possibile.

Il problema è chi può elaborare e implementare una simile strategia. Mfe si trova nella situazione tipica di molte imprese a conduzione familiare, con la proprietà divisa tra cinque fratelli alle prese con il problema del passaggio generazionale a seguito della morte del fondatore.

Trovare unitarietà di vedute e di interessi tra cinque eredi è sempre molto difficile. In questi casi o uno dei figli trova un nuovo socio finanziatore che liquida gli altri quattro per permettergli di gestire la società come meglio crede, oppure tutti e cinque vendono al miglior offerente. Lo status quo può solo prolungare il declino.

C’è poi il problema addizionale di Vivendi, controllata da Bollorè. Essendo il secondo azionista di Mfe dopo la famiglia Berlusconi, avrebbe un chiaro interesse ad acquisire il controllo della società sia perché, avendo già il 23 per cento del capitale, gli costerebbe meno di quanto dovrebbe pagare un investitore terzo, sia perché, unendo le sue attività nel settore dei media in Francia con quelle di Mfe in Italia, Spagna e Germania, acquisirebbe in un colpo solo una dimensione europea.

Ma non sarebbe nell’interesse della famiglia Berlusconi che potrebbe meglio valorizzare Mfe se trovasse un investitore che rilevasse la quota di Vivendi, per poi ricostituire il flottante, e solo allora cederne eventualmente il controllo, massimizzando l’incasso.

Gioca a favore della famiglia Berlusconi che il 18 per cento delle azioni di Vivendi in Mfe siano vincolate in un deposito fiduciario fino a quando i francesi rimarranno soci rilevanti di Tim. E poiché il processo di cessione della rete, e l’eventuale uscita di Vivendi da Tim, va per le lunghe, aumenta la probabilità che Bolloré alla fine possa decidere di vendere e uscire da Mfe di fronte a un’offerta allettante.

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