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Cosa (non) va nell’Ue. Parla Panetta (Banca d’Italia)

A che punto è il completamento della governance economica europea. Estratto delle Considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia, Fabio Panetta, tenute oggi nel corso dell'assemblea dei soci

All’architettura economica europea mancano due elementi essenziali: una politica di bilancio comune e un mercato dei capitali integrato. Resta incompleto l’assetto dell’Unione bancaria. Senza queste lacune l’Europa avrebbe potuto rispondere meglio alle crisi degli ultimi quindici anni. L’esigenza di colmarle è pressante alla luce dell’instabilità del contesto geopolitico e degli ingenti investimenti che l’Europa deve realizzare.

LE NUOVE REGOLE DI BILANCIO

In un’unione monetaria un bilancio centrale ha due funzioni principali: finanziare i beni pubblici comuni e rispondere alle fluttuazioni cicliche, sia smussandone l’impatto nel tempo – un compito che in qualche misura può essere svolto anche a livello nazionale – sia compensando tra paesi gli effetti di shock asimmetrici. Un bilancio europeo consentirebbe di definire l’orientamento fiscale complessivo non più come la somma delle politiche nazionali, ma in base alle esigenze dell’economia dell’area; permetterebbe di affrontare efficacemente shock comuni forti e prolungati, quali la pandemia o la crisi energetica, favorendo la coerenza tra politica di bilancio e politica monetaria.

La recente riforma dei meccanismi di governo economico europei non ha segnato particolari progressi in queste direzioni, così come non ha introdotto la necessaria semplificazione delle regole. In mancanza di avanzamenti verso una politica di bilancio comune, qualunque riforma che intervenga solo sulle politiche nazionali rischia di fare apparire le regole europee sbilanciate verso il rigore e poco attente alle esigenze dello sviluppo. Le nuove norme contengono nondimeno aspetti innovativi coerenti con la crescita. Esse si concentrano sulla sostenibilità di medio termine del debito pubblico, anziché sulla calibrazione precisa e continua della politica di bilancio; ciò dovrebbe consentire una programmazione di più lungo periodo e percorsi di consolidamento fiscale realistici. Esse riconoscono inoltre la relazione fra le due leve necessarie per rafforzare la sostenibilità dei conti pubblici: la politica di bilancio, da un lato, e le riforme e gli investimenti necessari per lo sviluppo dall’altro lato.

Gli effetti del nuovo impianto normativo dipenderanno da come esso sarà applicato: potrà rinvigorire l’economia europea se permetterà di coniugare la necessaria disciplina fiscale con il fine ultimo di favorire la crescita. Se le nuove regole daranno buona prova di sé, nel tempo si rafforzeranno la collaborazione tra Stati membri e la fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni europee e in definitiva nel futuro dell’Unione. Ciò consentirebbe di progredire verso una vera e propria unione di bilancio, che operi con adeguate risorse proprie e sia in grado di emettere debito.

LA COSTRUZIONE DI UN MERCATO DEI CAPITALI EUROPEO

Sarebbe illusorio pensare di finanziare l’enorme volume di investimenti necessari per la competitività dell’economia europea senza un preponderante apporto del risparmio privato e senza la professionalità degli intermediari. Creare un mercato dei capitali europeo è dunque essenziale.

L’area dell’euro ha da anni un avanzo della bilancia dei pagamenti correnti. Essa genera quindi un risparmio che supera l’ammontare degli investimenti e che viene in parte impiegato all’estero. Al fine di trattenere il risparmio domestico e attrarre risorse internazionali, è necessario un mercato dei capitali europeo integrato, efficiente, liquido, all’avanguardia tecnologica, in grado di allocare il risparmio nelle mani degli imprenditori più capaci.

Un mercato dei capitali unico accrescerebbe i flussi di investimento tra paesi e offrirebbe a famiglie, imprese e intermediari migliori opportunità di diversificazione dei rischi, attenuando l’impatto delle fluttuazioni cicliche. Si stima che oggi nell’area dell’euro solo un quarto degli shock locali vengano assorbiti attraverso i canali bancario e finanziario, contro tre quarti negli Stati Uniti. Sono queste le finalità del progetto di Unione del mercato dei capitali più volte rilanciato dalla Commissione europea nell’ultimo decennio.

I mercati dei capitali europei rimangono però poco sviluppati e frammentati, nonostante gli sforzi di integrazione compiuti con la legislazione dell’Unione. Nell’area dell’euro il valore in rapporto al PIL delle obbligazioni emesse dalle imprese è un terzo di quello degli Stati Uniti; inoltre, sebbene il capitale di rischio rappresenti in entrambe le aree la principale fonte di finanziamento, le azioni sono prevalentemente non quotate, mentre negli Stati Uniti sono in gran parte negoziate in borsa, consentendo alle imprese di attingere a un ampio bacino di investitori. In Europa vi sono 59 mercati azionari regolamentati, riconducibili a oltre 30 gruppi proprietari5 ; tra le infrastrutture borsistiche si contano 27 depositari centrali e 10 controparti centrali. Negli Stati Uniti operano 24 mercati azionari, in gran parte facenti capo a 4 gruppi, un depositario centrale e una controparte centrale. Credo siano evidenti gli svantaggi che il nostro assetto frammentato genera in termini sia di funzionalità e liquidità, sia di barriere all’ingresso per risparmiatori e imprese.

Per progredire verso un unico mercato dei capitali europeo vanno risolti due problemi fondamentali. Il primo è la mancanza di un titolo pubblico europeo privo di rischio. Un titolo comune esente da rischi agevolerebbe la valutazione di prodotti finanziari quali le obbligazioni societarie e i derivati, stimolandone l’espansione; offrirebbe una forma di collaterale utilizzabile in tutti i segmenti di mercato, anche per gli scambi transfrontalieri; costituirebbe la base delle riserve in euro delle banche centrali estere, rafforzando il ruolo internazionale della nostra valuta6 . I titoli offerti nell’ambito del programma Next Generation EU vanno in questa direzione. Ma collocamenti episodici non rappresentano un punto di svolta: la scarsa liquidità disincentiva l’inclusione dei prestiti negli indici di riferimento e ostacola l’introduzione di contratti derivati per la gestione dei rischi. Il secondo ostacolo alla creazione di un mercato dei capitali europeo è l’incompletezza dell’Unione bancaria.

L’istituzione del Meccanismo di vigilanza unico e del Meccanismo di risoluzione unico ha rappresentato un importante progresso, ma non è bastata a creare un mercato europeo dell’attività bancaria pienamente integrato. Il settore creditizio rimane frammentato lungo linee nazionali: manca un fondo europeo di garanzia dei depositi, il sistema di gestione delle crisi bancarie è incompleto e rimangono ostacoli al trasferimento di capitale e liquidità dei gruppi bancari tra paesi. Dato il ruolo centrale delle banche in tutti i segmenti del mercato dei capitali, è difficile immaginare un mercato integrato se esse non possono operare efficacemente in tutta l’area dell’euro.

L’introduzione di un titolo europeo privo di rischio e il completamento dell’Unione bancaria sono le precondizioni per creare un mercato unico dei capitali, ma non sono le sole questioni rilevanti. Non va dimenticata l’importanza di definire un Testo unico della finanza europeo, di rafforzare l’attività di supervisione centralizzata e di omogeneizzare i meccanismi di gestione delle crisi di impresa.

A fronte dei problemi che ho descritto, voglio sottolineare i progressi che la Banca d’Italia e l’Eurosistema stanno realizzando per dotare il mercato europeo di infrastrutture alla frontiera in materia di pagamenti, di scambi di titoli e di collaterale. L’obiettivo è garantire sicurezza ed efficienza attraverso l’uso del sistema TARGET e, in prospettiva, con l’euro digitale e con una gestione delle garanzie comune in tutta l’Unione monetaria.

(Estratto dalle Considerazioni finali; qui il testo integrale)

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