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povertà sanitaria

Cosa dice l’ultimo rapporto Caritas sulla povertà in Italia

L'ascensore sociale è fermo e la povertà ormai interessa 1 milione 960 mila famiglie, ovvero 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione). Ecco perché è necessario rimodulare radicalmente la tipologia degli interventi di welfare. L'intervento di Francesco Provinciali

 

Dovrebbe essere utile all’agenda politica del nascente Governo e del nuovo Parlamento il 21° Rapporto della Caritas italiana sulla povertà in Italia, presentato il 17 ottobre u.s. sulla base dei dati raccolti dai circa 2800 “centri di ascolto” del Paese. In attesa del 56° Rapporto CENSIS, l’elaborazione delle evidenze da parte del più importante organismo di assistenza delle persone indigenti costituisce un documento utile per conoscere, analizzare, comprendere e intervenire sul crescente disagio che i riflessi e le ricadute della pandemia, della guerra in Ucraina, della ripresa dell’inflazione, dell’incombente recessione e del gap sempre più divaricato in tema di disuguaglianze sociali stanno vistosamente accelerando.

I dati sono eloquenti e significativi, presentando i molteplici aspetti della povertà che ormai interessano e coinvolgono 1 milione 960 mila famiglie, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione).

Lo studio di Caritas Italia comprende inoltre un’indagine comparativa transnazionale condotta complessivamente in 10 paesi europei, congiuntamente a Caritas Europa e Don Bosco International, sul tema della transizione scuola-lavoro per i giovani che vivono in famiglie in difficoltà, mettendo al centro delle conseguenti riflessioni le politiche di lotta alla povertà, utilmente declinabili per chi dovrà porre mano alla gestione del Pnrr e al Programma europeo Next generation.

I dati esposti dalla Caritas presentano dunque uno spaccato sulle facce della povertà del nostro tempo.

Nel 2021 nei centri di ascolto le persone incontrate e supportate sono state 227.566, con un più 7,7% rispetto al 2020, e un correlato incremento delle persone provenienti da altri Paesi (il 55% del totale ma fino al 65,7% e al 61,2%, rispettivamente nel Nord-Ovest e nel Nord-Est, mentre nel Sud e nelle isole prevalgono gli assistiti di cittadinanza italiana pari rispettivamente al 68,3% e al 74,2% dell’utenza) e con margini di oscillazione fluttuanti dentro e fuori dalla condizione di bisogno. Quasi paritetico il rapporto tra uomini (50,9%) e donne (49,1%) mentre l’età media dei beneficiari si attesta a 45,8 anni.

Significativo il dato delle persone senza dimora assistite: 23.976 in totale, corrispondente al 16,2% dell’utenza, concentrate per quasi la metà nelle regioni del Nord, dove il divario tra agiatezza e povertà estrema si fa più marcato. Cresce la correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione: chi ha la licenza media passa dal 57,1% al 69,7%, comprese le persone analfabete o con la sola licenza elementare, mentre nelle isole e al Sud si contano l’84,7% e il 75%, con prevalenza di cittadini italiani.

Altrettanto eloquente il dato innervato nella situazione di chi ha un lavoro e di chi invece è senza: l’evidenza pertiene le ricadute delle fragilità in epoca di pandemia, così i disoccupati incrementano dal 41% al 47,1 mentre di converso gli occupati scendono dal 25% al 23,6%.

Tra le cause delle povertà latenti o emergenti si devono considerare nell’ordine le condizioni economiche, la carenza lavorativa e abitativa, le problematiche familiari come le separazioni, i divorzi, i conflitti di coppia, infine la salute e i flussi migratori. Sono evidenze causali che vanno lette in un’ottica multidimensionale, in quanto sovente compresenti tra loro. A fronte delle situazioni riscontrate Caritas Italia ha realizzato circa 1.500.000 interventi, provvedendo al fabbisogno alimentare, abitativo e di accoglienza, di sussidi, di igiene personale, di pagamento di utenze morose.

Il dossier della Caritas evidenzia i poliedrici aspetti della condizione di povertà, soffermandosi in particolare su quella ereditaria e intergenerazionale, che incide in prevalenza sulle classi sociali medio-basse: da anni gli istituti di ricerca (ISTAT e CENSIS in primis) hanno sottolineato il progressivo blocco dell’ascensore sociale e i dati della Caritas confermano questa deriva, che peraltro lambisce e interessa anche quella che un tempo era chiamata ‘borghesia’. Non solo questo ascensore è fermo ma anche inaccessibile pure agli strati un tempo più benestanti della popolazione: si tratta di situazioni spesso nascoste, che vanno intercettate e lette nella loro esponenziale pervasività, in un mix di condizionamenti oggettivi e dirompenti (si diventa ‘poveri’ a poco a poco o per evenienze improvvise e devastanti come gli affitti e le bollette non pagate o il lavoro perso) e di percezioni e cadute emotive e psicologiche (bassa autostima, sfiducia, frustrazione, traumi, mancanza di speranza e progettualità, stile di vita familiare).

In conseguenza di un vissuto a lungo esposto alla povertà ci si trova soli ed emarginati.

Questa deprivazione di status si riverbera e si ‘eredita’ anche nelle giovani generazioni, con un condizionamento esercitato dalle disuguaglianze nelle condizioni di partenza: “sono infatti i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare; al contrario tra i figli di persone con un titolo di laurea, oltre la metà arriva a un diploma di scuola media superiore o alla stessa laurea. Anche sul fronte lavoro emergono degli elementi di netta continuità. Più del 70% dei padri degli assistiti risulta occupato in professioni a bassa specializzazione”.

A fronte delle situazioni di bisogno, il sostegno della Caritas riguarda pertanto non solo la presa in carico per elargire aiuti materiali ma – specialmente nella fattispecie delle povertà intergenerazionali – la restituzione di relazioni di fiducia e l’integrazione nella comunità di appartenenza, per evitare l’isolamento sociale. Questo indicatore sarà utile per rimodulare radicalmente la tipologia degli interventi di welfare, a cominciare dal reddito di cittadinanza che deve perseguire l’ottica inclusiva nel mondo del lavoro e riguardare i casi accertati di effettivo bisogno: da quanto illustrato nel Rapporto risulta infatti che i percipienti sono stati 4,7 milioni di persone, dato che riguarda meno della metà dei poveri assoluti (44%).

Secondo la Caritas il “reddito” dovrebbe raggiungere “tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori”, a partire dalle situazioni di indigenza totale. Occorre superare una concezione assistenziale e una metodica burocratica degli ammortizzatori sociali, con particolare attenzione verso le giovani generazioni sulle quali ricadono pesantemente le deprivazioni socio-culturali ereditate da condizioni di partenza cariche di oggettive, gravi limitazioni di status e di appartenenza.

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