La Corte dei conti ha rilievo costituzionale nel 2° comma dell’art. 103: «La Corte… ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.» Una formula estremamente stringata che coglie nella contabilità pubblica il «core business» della Corte. Nella definizione concreta dell’attività della Corte era un tempo stabilito che gli atti dell’Amministrazione comportanti impegni di spesa dovessero essere registrati dalla stessa. Una registrazione che concludeva la valutazione di legittimità dell’atto e del procedimento che l’aveva determinato. Si trattava all’evidenza di un controllo successivo.
Poiché, peraltro, per questa registrazione non c’erano termini, accadeva che tra il decreto di approvazione di un contratto di appalto e la sua operatività mediante registrazione potesse trascorrere un tempo tale da rendere il contratto stesso non più attuale e che si aprisse un contenzioso tra l’Amministrazione e l’appaltatore oltre che tra l’Amministrazione e la Corte per il quale era prevista un’apposita procedura.
Poiché nell’esercizio della funzione di controllo il controllore non era responsabile di ritardi ed errori (ferma restando l’ipotesi di reato) si verificavano due anomalie insopportabili dal sistema.
La prima era la possibile frustrazione dell’attività amministrativa che poteva arenarsi innanzi alla Corte. La seconda era rappresentata dal fatto che, inserendosi con la registrazione, nel procedimento, la Corte esercitava un potere di intervento e di partecipazione allo stesso. Un potere risolutivo e, dal punto di vista fattuale, abnorme.
Talché questo genere di controllo, successivo ma condizionante, venne rimosso dal sistema, rinviandosi a una fase ulteriore un controllo complessivo e puntuale sull’attività dell’amministrazione, con tempistica annuale.
Con legge 4 marzo 2009, n. 15, art. 11, comma 2, venne introdotta una nuova disciplina: «2. La Corte dei conti, anche a richiesta delle competenti Commissioni parlamentari, può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento …».
Un meccanismo frequente nelle aziende private che vogliono impedire che errori di gestione compromettano i risultati operativi programmati. Con una differenza sostanziale: gli «audit» sono espressione di un unico potere, quello aziendale (che può stabilire specifiche direttive per renderli pregnanti o limiti idonei ad evitare eccessi) mentre il potere di cui al 2° comma del citato art. 11 è affidato a un organo costituzionale estraneo all’Amministrazione che può-deve esercitarlo secondo le proprie autonome vedute.
Con il mai abbastanza deprecato governo Conte 2 (ministra una certa Fabiana Dadone) viene approvato il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 che all’art. 22: «Controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale …», a nessuno può sfuggire la contraddizione tra l’esigenza di accelerare il sostegno all’economia nazionale e l’introduzione di un ulteriore passaggio burocratico, «1. La Corte dei conti, anche a richiesta del Governo o delle competenti Commissioni parlamentari, svolge il controllo concomitante di cui all’articolo 11, comma 2, della legge 4 marzo 2009, n. 15, sui principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale.
L’eventuale accertamento di gravi irregolarità gestionali, ovvero di rilevanti e ingiustificati ritardi nell’erogazione di contributi secondo le vigenti procedure amministrative e contabili, è immediatamente trasmesso all’amministrazione competente ai fini della responsabilità dirigenziale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 21, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. 2. Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, nell’esercizio della potestà regolamentare autonoma di cui alla vigente normativa, provvede all’individuazione degli uffici competenti e adotta le misure organizzative necessarie per l’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito della vigente dotazione organica del personale amministrativo e della magistratura contabile».
Le modalità di esercizio di questo enorme potere (ma quale dirigente della pubblica Amministrazione ha mai voluto sottoporsi oltre che ai normali controlli anche a questo superpotere?) vengono -in attuazione dell’autonomia organizzativa della Corte- stabilite da chi questo potere deve esercitarlo.
Dimenticandosi fra le tante cose che ci si è dimenticati di tenere presente che nella vita amministrativa pubblica e privata non può essere mai, per esempio, un commissario a stabilire le modalità di esercizio del commissariato.
Perciò in questo caso -anche se l’esercizio del potere organizzatorio rientra nell’ambito dell’autonomia dell’organo (costituzionale)- sarebbe stato opportuno che il legislatore stabilisse contenuti e limiti dei poteri conferiti alla Corte dei conti.
Infatti, -e ora veniamo al Pnrr-: «Il Collegio del controllo concomitante, istituito presso la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato con delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti n. 272 del 10 novembre 2021» un nuovo organismo cioè, «esercita l’attività di controllo concomitante (prevista dall’art. 22 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni nella legge 11 settembre 2020, n. 120), sui principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale.
Nell’ambito di questi ultimi, «il Collegio del controllo concomitante concorre all’espletamento dei controlli sull’attuazione del Pnrr nel perimetro della programmazione generale di cui all’art.5 del regolamento per l’organizzazione delle funzioni controllo della Corte dei conti” (art. 2, co. 5, della citata del. Consiglio n. 272/2021). La funzione di controllo è intestata al Collegio ed è esercitata in autonomia sulla base del programma annuale da esso deliberato nel quadro della programmazione generale dei controlli definito dalle Sezioni riunite …».
Un parlamentare -che ignora la differenza tra illecito e illegittimità- ha avuto il coraggio di sostenere che l’abolizione del controllo concomitante priverebbe gli italiani di un presidio di legalità. Il che non è assolutamente vero, visto che il controllo è di legittimità, fatte salve le competenze del giudice penale.
Come il lettore può constatare, il controllo concomitante é una ennesima sovrastruttura, legata alla concezione giustizialista propria dei 5Stelle, alla quale viene consegnata una specifica autorità concomitante in materie che dal punto di vista sostanziale integrerebbero ampliandoli (investendo questioni di opportunità amministrativa) i suoi compiti originari, quelli stabiliti dalla Costituzione.
Il decreto-legge del governo che abolisce il controllo concomitante restituisce fisiologia all’attività della pubblica Amministrazione e della Corte, il cui potere rientrerà nei suoi limiti ordinari che, peraltro, sono molto ampi e dotati di una altrettanto ampia autonomia nella valutazione (successiva) della legittimità dei provvedimenti amministrativi.
Non sembra quindi che l’orientamento del governo abbia i caratteri eversivi che alcuni intendono attribuirgli.
Articolo pubblicato su Italiaoggi.it