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Conte, Mieli, Franceschini e l’idea sciagurata di un nuovo Arco costituzionale. Il commento di Polillo

C'è chi vuole ritornare nell’alveo di un tran tran consolatorio: l’Europa; un buonismo, pure comprensibile sul piano etico, ma ingestibile su quello pratico; una politica economica dominata dal rispetto di vincoli finanziari che uccidono ogni voglia di fare. Il declino: in definitiva. Quella morta gora che l’Italia non può permettersi. Il commento di Gianfranco Polillo

 

Bello (come al solito verrebbe da dire) l’editoriale di Paolo Mieli sul Corriere della Sera: “il voto Ue e i nuovi equilibri”. Il giusto cinismo dello storico, che cerca di sciogliere la confusa matassa italiana. Vedendo cose che ad altri sfuggono.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte – questa la sua interpretazione – sta vincendo la partita. Il consenso, che ancora circonda Matteo Salvini, è una sorta di vuoto a perdere. Destinato a rimanere circoscritto all’interno di un potere che, nella sostanza, rimane minoritario.

Tesi che Dario Franceschini, per una curiosa circostanza, declina sul piano politico più immediato. “Oggi – sostiene nell’intervista a Maria Teresa Meli sempre sul Corriere – io vorrei che si lavorasse per cercare di costruire, e so quanto sarà difficile e faticoso, un arco di forze che, anche se non governano insieme, sono pronte a difendere insieme i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta e violenta ogni giorno”. L’Arco costituzionale della Prima Repubblica. Il morto che afferra il vivo.

Dove sia il Paese, con la sua crisi profonda, in tutto ciò non è dato sapere. È bastato che gli spread si riducessero, grazie allo scampato pericolo della mancata procedura d’infrazione ed al rilancio del quantitative easing, per sopire ogni tentativo di alzare la testa. Per vedere gli anni bui che ci lasciamo alle spalle. Un debito pubblico cresciuto in modo soffocante. Un tasso di crescita inconsistente. Un livello di disoccupazione che spezza i sogni di milioni di giovani. Un eccesso di risorse finanziare che prendono ogni anno la via dell’estero, non trovando sul mercato interno occasioni d’investimento. Un allontanarsi sempre più dal novero dei Paesi europei: piccoli o grandi che siano. Mai dimenticare che l’Italia (oltre la Grecia) è l’unica realtà che non ha ancora recuperato i livelli di benessere del 2007. Quando non solo Francia e Germania hanno raggiunto questo traguardo, ma insieme a Spagna e Portogallo, che, solo qualche anno fa, erano considerati le ultime ruote del carro.

Pensare che le attuali regole europee – a partire dal Fiscal compact – non abbiano responsabilità in questa vicenda, è chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Si dice che la loro esistenza non ha impedito agli altri di crescere ad un ritmo superiore a quello italiano. Il che è vero. Ma la spiegazione va trovata altrove. Quelle condizioni erano diverse dal caso italiano. E consentito a quelle stesse norme di operare in modo più efficace. Sostiene sempre Mieli: “La partita, Conte la gioca sul terreno della crescita della propria reputazione. Un po’ come fece Mario Monti, quanto meno fino a tre quarti della sua esperienza governativa”. Accostamento non del tutto convincente.

Nel 2011, Monti fece quello che si doveva fare. Completò la stretta fiscale, già impostata da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, all’indomani della famosa lettera di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, in una situazione resa drammatica dal baratro degli spread (570 punti base) e dal crollo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti: meno 3 per cento del Pil. Lo fece con una determinazione di cui non vediamo traccia in quest’anno e più di gestione da parte di Giuseppe Conte. Sempre più somigliante a tanti vecchi democristiani della Prima Repubblica. Costretti a governare (titolo di merito) un Paese completamente avvolto nelle spire della “guerra fredda”. Quella di Monti, invece, fu una scelta dura. Lacrime e sangue. Una cura darwiniana, che ripulì il mercato da imprese, da troppo tempo, decotte. Spazzando via il 25 per cento di un potenziale produttivo che non reggeva più i ritmi della concorrenza internazionale.

L’Italia reagì male sul piano politico. Ma l’economia, in un solo anno, si rimise in sesto. Gli spread calarono, dando respiro. Già nel 2012 il deficit della bilancia commerciale fu riassorbito, grazie ad una profonda riconversione economica. Che purtroppo interessò solo una piccola parte (il nord est) del Paese. Vi sarebbe stato subito bisogno di una politica pro-growth, che fu anche tentata. La bozza di finanziaria, presentata alla fine del 2012, da Vittorio Grilli, prevedeva una riduzione delle prime due aliquote Irpef. Fatto simbolico: denso tuttavia di significato. Il Parlamento non comprese quel segnale e le relative risorse furono diversamente utilizzate, distribuite in modo indistinto tra le pieghe del bilancio. Nonostante ciò l’Italia si era rimessa in moto, seppure sostenuta da un motore troppo piccolo, per fare da volano per l’intera economia nazionale.

Queste, quindi, le differenze. Che illustrano chiaramente come l’Italia abbia bisogno di misure non convenzionali. Mario Draghi docet. Che non si vedono all’orizzonte. Anzi l’idea di un nuovo Arco costituzionale, rischia di soffocare nella culla ogni idea di innovazione. Questo significa forse che Matteo Salvini abbia sempre ragione? Non è questa la nostra opinione. Gli errori commessi si vedono ad occhio nudo. E noi stessi abbiamo avuto più di un’occasione per rimarcarli.

Ma il timore è che si voglia buttare il bambino con l’acqua sporca. Per ritornare nell’alveo di un tran tran consolatorio: l’Europa; un buonismo, pure comprensibile sul piano etico, ma ingestibile su quello pratico; una politica economica dominata dal rispetto di vincoli finanziari che uccidono ogni voglia di fare. Il declino: in definitiva. Quella morta gora che l’Italia non può permettersi. Ed alla quale non può sopravvivere. Se fossero state queste le coordinate che avessero ispirato Mario Draghi, sul lascito di Jean Claude Trichet, forse l’euro, oggi, non esisterebbe più. Abbiamo bisogno della stessa lungimiranza, unita alla capacità di leggere un presente ancora misterioso, su cui costruire un confronto con la stessa Europa. Dopo aver rinunciato ad inutili ed inconcludenti eccessi muscolari.

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