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Occupazione

Consigli utili per un Paese sull’orlo della recessione. Il commento di Polillo (dopo i dati Istat)

Nella congiuntura italiana non ha senso avere come obiettivo a medio termine il pareggio di bilancio. La politica fiscale, al contrario, deve favorire il raggiungimento dell’equilibrio delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Il commento di Gianfranco Polillo dopo i dati Istat sul terzo trimestre del 2018

Brutte notizie da Via Cesare Balbo: la strada romana dov’è ha sede l’Istat, in quel palazzo stile umbertino. Il terzo trimestre del 2018 si è dimostrato peggiore delle previsioni iniziali. Allora si pensava a un encefalogramma piatto. Crescita zero. I conti definitivi parlano invece di un calo pari allo 0,1 per cento. Se il segno “meno“ dovesse continuare nell’ultimo trimestre sarebbe la certificazione dell’avvio di una nuova recessione.

Non c’è quindi pace per un’economia già devastata dai continui peggioramenti della borsa, salvo qualche modesto recupero, e dalla persistenza degli spread che ballano sul filo dei 300 punti base. I consumi interni delle famiglie continuano a flettere (–0,1 per cento) gli investimenti arretrano (–1,1 per cento). Solo le esportazioni, nonostante i venti protezionistici, crescono più delle importazioni (1,1 per cento contro lo 0,8). Risultato? Una contrazione della domanda interna, al netto delle scorte che rimangono invariate, pari a –0,3 ed un apporto netto dell’estero di +0,1. Per fortuna ci hanno premiato gli arrotondamenti, altrimenti sarebbe andata peggio.

Il cosiddetto maturato per il 2018 è pari allo 0,9 per cento. Rispetto alle previsioni governative che ipotizzano per l’intero 2018, una crescita pari all’1,2 per cento, la distanza è di 0,3. Il traguardo dell’ultimo trimestre. Obbiettivo non proprio impossibile, se le cose non fossero orientate al peggio, in un clima di scontro, con la Commissione europea che, certo, non invoglia le famiglie a consumare e le imprese ad investire. Se l’asticella finale dovesse attestarsi su valori più bassi, sarebbe compromesso anche il 2019 e, con esso, le speranze di poter quadrare, seppure malamente, il girone infernale: crescita del Pil, dimensione del deficit riduzione del rapporto debito-Pil.

Strada completamente in salita. Finché dura lo scontro con la Commissione europea, gli effetti benefici (presunti o reali) della manovra espansiva sono, a dir poco, compensati dal loro effetto negativo in termini di aspettative. L’eventuale aumento dei consumi, sempre che si compri il Made in Italy e non qualche sottoprodotto cinese, si scontra con l’aumento degli spread. Che, a loro volta, inducono ad una restrizione del credito da parte di banche zavorrate dalle perdite sui titoli posseduti. La cosa che Laura Castelli, sottosegretaria all’Economia, dimostra di non riuscire a capire. Il forte calo degli investimenti nel terzo trimestre ha anche questa radice.

Come se ne esce? Nella congiuntura italiana – domani si vedrà – non ha senso avere come obiettivo a medio termine il pareggio di bilancio. La politica fiscale, al contrario, deve favorire il raggiungimento dell’equilibrio delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Finché questo resta in attivo. Puntare su una crescita della domanda interna (riduzione della pressione fiscale ed investimenti) specie nel momento in cui rallenta il commercio internazionale. E grazie alla maggiore crescita, ridurre il rapporto debito-Pil.

Se il deficit dovesse aumentare dell’1 per cento, il rapporto debito-Pil, crescerebbe solo dello 0,7. Ipotizzando, cosa inverosimile, un moltiplicatore pari a zero. Ma sarebbe sufficiente che quest’ultimo fosse pari ad uno (il minimo sindacale) per dare inizio alla riduzione di quel rapporto. Riduzione destinata a crescere con il crescere del moltiplicatore. Vale a dire con lo sviluppo. Non è quindi difficile capire come operare.

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