Nei giorni trascorsi la Cgil ha avviato la campagna per quattro referendum abrogativi sulla regolazione del lavoro mentre nella prossima settimana la Confindustria designerà attraverso il suo consiglio generale il candidato presidente da sottoporre alla ratifica della assemblea delle associazioni e federazioni confederate. Si tratta di due processi di grande rilevanza in un Paese nel quale tradizionalmente i corpi intermedi hanno svolto ruoli importanti per l’economia, la società, le stesse istituzioni democratiche. Nel bene e nel male. Non è nuova la disposizione del gruppo dirigente della Cgil a privilegiare l’opposizione politica e sociale verso il governo di centrodestra rispetto alla funzione sindacale. Ora vuole cancellare norme prodotte anche da governi di sinistra che in passato non aveva contestato fino al punto della iniziativa referendaria. Sono quesiti antistorici perché si riferiscono alle tutele del lavoro nelle economie stabili della seconda rivoluzione industriale mentre oggi la diffusione della intelligenza artificiale generativa sollecita la promozione di tutele attive che rendano i lavoratori protagonisti del cambiamento e capaci di transitare velocemente da una occupazione ad un’altra, anche volontariamente.
Dall’altro lato, la principale confederazione delle imprese dovrà scegliere se conservare la interlocuzione privilegiata con la Cgil a difesa del vecchio modello contrattuale centralistico o disporsi a costruire un blocco sociale con le altre organizzazioni imprenditoriali e il sindacalismo pragmatico in modo da dialogare con il governo senza pregiudizi ideologici o tattiche opportuniste. In passato la Confindustria ha commesso gravi errori come il patto sulla scala mobile che ha scatenato l’inflazione a due cifre ed è stata protagonista di accordi positivi come quelli che hanno prodotto la disinflazione nel 1984, la grande manovra di stabilizzazione dei conti pubblici nel 1992, la legge Biagi nel 2002. Negli ultimi venti anni è spesso prevalso quel politicismo che ha separato i gruppi dirigenti dalla rappresentanza degli interessi delle imprese privilegiando i rapporti con la politica e i governi. Basti pensare alla debole opposizione di fronte a decisioni europee indotte da ideologie e interessi ostili. La autoreferenzialita’ e’ la malattia dei corpi sociali.
Auguriamoci ora che i grandi elettori di Confindustria scelgano colui che più potrà interpretare il ruolo concreto del genuino sindacalista d’impresa (quindi non politicista) in base anche alla coalizione che lo sostiene. I parametri per identificarlo sono semplici: la revisione del green deal europeo nel nome della competitività, il rinnovamento delle relazioni industriali e della politica per il capitale umano della nazione, la riduzione della pressione fiscale.
Maurizio Sacconi