Nella saga delle concessioni balneari, vi sono quattro tappe giurisprudenziali fondamentali:
- 2016: sentenza CGUE, caso Promoimpresa, caposaldo nel confermare l’astratta applicabilità della Bolkestein alle concessioni a uso turistico-ricreativo.
- 2021: Adunanze CdS, una spinta politica contro l’inerzia del legislatore italiano.
- 2022: nonostante le Adunanze, il Tar Lecce rimane scettico circa la diretta efficacia Bolkestein e la disapplicazione delle norme nazionali da parte dei funzionari e rimanda la questione alla CGUE.
- 2023: CGUE conferma l’arresto di Promoimpresa, il carattere self-executing e la disapplicazione da parte dell’amministrazione.
Dal 2023, si può dire che la partita è definitivamente chiusa. Ogni cavillo giuridico cercato dal governo e dai concessionari attuali è stato rimandato al mittente. Orientamenti minoritari come Tar Lecce (il più raffinato a mio parere) disattesi. Commissione, CGUE, CdS, quasi tutti i Tar e l’AGCM contro un legislatore isolato.
Da qui, l’impossibilità di andare avanti con le proroghe, pena l’anarchia – contenziosi, disapplicazioni, ogni comune che improvvisa. Cosa rimane? Gettare la palla oltre la propria legislatura, lasciando questa confusione, o riordinare la materia cercando piccoli compromessi.
Uno sguardo critico e minoritario
Il caos delle concessioni balneari è dato dal combinato disposto di un legislatore nazionale inadempiente e di un ordinamento Ue che, tramite interpretazioni pretorie forzate, invoca la propria efficacia diretta senza badare alle implicazioni. A perdere è la certezza del diritto.
La confusione si verifica nel momento in cui fattispecie che dovrebbero essere inquadrate nell’inadempienza dello Stato rispetto agli obblighi Ue (procedure di infrazione) entrano nel calderone interpretativo del self-executing.
Da qui, l’incertezza di giudici e funzionari p.a.: i Trattati sono self-executing? Allora disapplico la norma nazionale in contrasto? Questa direttiva è self-executing? Allora disapplico la norma nazionale in contrasto? Alcune disposizioni di questa direttiva sono self-executing? Disapplico la norma nazionale in contrasto? Un ordinamento che crea incertezza e contenziosi.
Il caso dei balneari è esemplare. La Bolkestein necessita palesemente di un recepimento. Eppure, si dice che non solo il giudice, ma anche il funzionario, non deve applicare le proroghe in contrasto con essa. Questo in assenza di norme sostitutive! Risultato? Vuoto e caos. Quando la questione sarebbe semplicemente risolvibile sull’unico piano ragionevole e sensato, ossia quello dei rapporti Ue-Stato: inadempienza, procedura di infrazione; tuttalpiù giurisprudenza Francovich per il risarcimento in caso di mancata attuazione di una direttiva che attribuisce diritti.
Eppure l’ordinamento Ue, spinto dalla giurisprudenza CGUE, a sua volta accolta dai vertici nostrani (es CdS nelle Adunanze), ha inteso aggiungere ai rapporti Ue-Stato quelli diretti con i cittadini: da qui la diretta efficacia, dai Trattati alle direttive self-executing.
Un approccio diretto Ue-cittadini in grado, se accolto dalla giurisprudenza, come nel caso dei balneari, di bypassare l’inerzia del legislatore. Rimane però il sospetto che si tratti di interventi più politici che giuridici. Che spesso trascurano le implicazioni pratiche.
Il legislatore italiano e le proroghe: una saga senza colore politico
Come scritto, sono critico sul tentativo di CGUE e CdS di qualificare la direttiva Bolkestein come self-executing per ovviare all’inerzia del legislatore italiano. Va però detto che il sistema delle proroghe è stato grottesco. Una breve rassegna.
- L. 494/1993, disciplina originaria concessioni turistico ricreative: 4 anni, con possibilità di durata differente su richiesta motivata degli interessati.
- L. 88/2001: durata di sei anni, con rinnovo automatico alla scadenza per altri 6.
- L. 296/2006: possibilità durata maggiore di 6 e non superiore a 20.
- Nel 2006 entra in vigore la Bolkestein (direttiva 2006/123/CE).
- L. 25/2010: soppressione diritto insistenza, promessa revisione quadro normativo e nelle more proroga sino al 31 dicembre 2015.
- L. 221/2012: proroga spostata dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2020.
- L. 145/2018: proroga di quindici anni a partire da tale data, quindi fino a 2033.
- L. 118/2022: efficacia sino a 31 dicembre 2023 (come da Adunanze CdS) e in presenza di ragioni oggettive che impediscano la gara, 31 dicembre 2024. Inoltre, delega al governo di emanare un d.lgs. entro 6 mesi.
- L. 14/2023: fino all’adozione del d.lgs. di riordino della materia (ma la delega è già scaduta il 27/02/2023), divieto emanazione bandi di gara. Tavolo tecnico su scarsità risorse e interesse transfrontaliero. Sostituzione termine 31 dicembre 2024 con 31 dicembre 2025.
Una saga senza colore politico.
- Prima proroga (l. 25/2010): governo Berlusconi IV.
- Seconda proroga (l. 221/2012): governo Monti.
- Conferma proroga (l. 160/2016, dopo sentenza CGUE Promoimpresa): governo Renzi.
- Terza proroga (l. 145/2018): governo Conte I.
- Conferma proroga (l. 77/2020): governo Conte II.
- Quarta proroga (l. 118/2022): governo Draghi.
- Quinta proroga (l. 14/2023): governo Meloni.
Concessioni balneari: la recente bozza di piano del governo Meloni
Ho letto le indiscrezioni del Sole 24 ore sul nuovo piano del governo sulle concessioni balneari. Alcuni punti ripropongono il solito approccio: proroghe, indifferenza rispetto alla procedura di infrazione, andare oltre il proprio mandato. Altri possono essere un compromesso accettabile.
Innanzitutto, si cristallizza l’ultima proroga, ossia quella al 31 dicembre 2025, che doveva essere solo in caso di ragioni oggettive che impediscono di promuovere la gara e che ora diventa generalizzata. Sicché, a prescindere, eventuali gare non arriverebbero prima del primo gennaio 2026.
Dopodiché, per tali gare, si procede con la logica della mappatura in chiave regionale, puntando sul tema della scarsità: ove ci sono spiagge libere, si può prorogare, con distinzione tra meno del 25% libere e più del 25%. L’analisi dovrebbe essere – come richiesto dalla Commissione – anche qualitativa. Con qualitativa si intende che le superfici devono essere realmente accessibili. Così, nelle regioni in cui vi è meno del 25% di superfici libere, vi sarebbero proroghe massime fino al 31 dicembre 2027. Dove invece è superiore al 25%, la proroga sarebbe fino al 31 dicembre 2029. Si va dunque – furbamente – oltre la legislatura Meloni.
Sul tema della scarsità: ha senso l’approccio regionale, a differenza di quanto detto dal CdS, che ha ritenuto le spiagge una risorsa scarsa tout court, senza differenziazioni e con solo qualche esempio mirato. Anche la CGUE ha aperto ad un approccio concreto e locale. Insomma, c’è differenza tra una regione che ha il 10% di spiagge libere e una che ne ha 40%. Poi, invero, per CdS il requisito della scarsità di cui all’art. 12 della Bolkestein è solo un tema. Anche ove non sussistente, se c’è interesse transfrontaliero certo (art. 49 TFUE) serve una gara. Anche qui, il CdS ha ritenuto esserci un interesse transfrontaliero certo di fatto, ovunque, senza un’analisi concreta. Penso che la Commissione dovrebbe invece andare incontro al governo nel caso vi sia una analisi seria e concreta su scarsità e interesse transfrontaliero certo. Dopodiché, ha senso la prelazione del concessionario uscente in caso di assenza di altre manifestazioni di interesse. Più difficile invece, come si dirà, l’ipotesi di prelazione in caso di altra offerta – alle sue condizioni, ossia se il concessionario uscente offre lo stesso del vincitore. Sulla valorizzazione nel punteggio dell’ “esperienza” o della “tradizione” etc., nonostante giurisprudenza nazionale e comunitaria siano scettiche, credo che, in logica di compromesso, possa avere senso, ovviamente solo se questi profili rilevano per una piccola parte nel punteggio.
Infine, per quanto concerne gli indennizzi è necessaria in ogni caso una perizia seria, che valuti realmente l’ammortamento. Senza, non è possibile prevedere un indennizzo automatico e generalizzato. Sul punto il governo pare avere accettato la strada del caso concreto.
In definitiva, se da un lato è deprecabile l’approccio dei governi italiani, dall’altro invocare una applicazione ortodossa del diritto europeo priva di compromessi è eccessivo: come se l’economia e la tradizione balneare di Italia, Francia, Germania o Regno Unito pre Brexit fossero uguali.
Tra i possibili punti di incontro: una seria mappatura, quantitativa e qualitativa, a livello locale: distinzione tra interesse transfrontaliero certo o meno; valorizzazione esperienza nel punteggio (qualche punto); indennizzo caso per caso.
Sulla prelazione in caso di più domande
La prelazione per il concessionario uscente che sta ipotizzando il governo non è equiparabile al vecchio diritto di insistenza, abrogato nel 2009 per incompatibilità con il diritto Ue, ma rischia di replicarne di fatto alcune logiche. Di che si tratta?
Innanzitutto, vediamo cosa è il diritto di insistenza. Prima del 2009, l’art. 37 c. nav. prevedeva che, in caso di più domande per il rilascio di una concessione demaniale marittima, “è data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze”.
Ciò significava che il concessionario uscente poteva vedersi rilasciare il titolo con una mera istanza. Ossia esercitando questo ‘diritto’ di insistenza. In tale caso eventuali nuove istanze erano destinate a soccombere de facto. Nessuna gara competitiva. Se già prima del 2009 la giurisprudenza aveva iniziato a interpretare restrittivamente tale istituto, in ogni caso, a causa dell’apertura di una procedura di infrazione, il legislatore nel 2009 l’ha abrogato.
Cosa è invece la ‘prelazione’ di cui parla il governo?
Vi è in parte un passo avanti. Ossia, se ci sono più domande, si fa una gara. Si ottiene così una migliore offerta. Solo a questo punto, il concessionario uscente potrebbe esercitare tale prelazione, accettando le condizioni della miglior offerta e ottenendo il titolo. Rispetto al diritto di insistenza, c’è un passo avanti sul piano della migliore utilizzazione del demanio da parte dello Stato, che con la gara ottiene la migliore offerta e vincola la prelazione del concessionario uscente ad essa – ottenendo così il massimo, anche economicamente. Cosa che invece non accadeva con il diritto di insistenza, perché lì non c’era una gara ma il semplice esercizio da parte del concessionario uscente del diritto di essere preferito in caso di più domande.
Quanto invece rimane uguale è ciò che riguarda la concorrenza tra privati. Qui gli effetti sono simili a quelli del diritto di insistenza: i nuovi potenziali candidati sono destinati a soccombere anche in caso di migliore offerta, qualora i concessionari uscenti accettino tali condizioni. L’unica speranza di entrare è che gli uscenti non esercitino la prelazione. È evidente il deficit concorrenziale, che impedisce sostanzialmente l’ingresso di nuovi attori. In sostanza, si alza il gioco della concorrenza – al livello di massima offerta, positivo per lo Stato – ma poi la si nega accordando la prelazione. Da qui la probabile incompatibilità con il diritto Ue, peraltro già paventata dall’Agcm in una recente nota: “Quest’ultimo criterio riproduce il diritto di insistenza già previsto dal testo dell’articolo 37 del Codice della Navigazione, oggi abrogato”.
In sintesi, non si tratta proprio di un diritto di insistenza. Sul piano verticale c’è un passo avanti – gara, migliore offerta, benefici per l’interesse pubblico. È su quello orizzontale – concorrenza tra candidati – che si ritrovano le vecchie logiche. Alla luce di ciò, la probabile incompatibilità.