C’è una differenza profonda tra le vertenze sindacali di oggi con quelle passate. E c’è n’è ancora di più tra settori merceologici differenti. Da un lato l’intensità e la durezza delle agitazioni tradizionali è sensibilmente diminuita mentre dall’altro sono aumentati metodologie e strumenti per raggiungere e sensibilizzare attraverso i media, vecchie e nuove solidarietà.
La vicenda Conad/Auchan è molto interessante da questo punto di vista. Auchan era una multinazionale con un perimetro definito, usi e consuetudini chiare, controparti visibili ad occhio nudo. Il sindacato di categoria parlava una lingua comprensibile a tutti dettata da un contratto di lavoro e da un sistema di regole del gioco interpretate da una direzione risorse umane strutturata e da interlocutori locali e nazionali connessi tra di loro in modo tradizionale.
Conad, per ora, non ha nulla di tutto questo. In quasi in ogni negozio ha un imprenditore autonomo e indipendente che, accettato statuto e regolamento è associato al Consorzio, ha una struttura centrale dedicata alla gestione del personale con compiti più di coordinamento e di indirizzo perché ogni cooperativa ha la sua struttura i suoi usi e le sue consuetudini e se non ricordo male sotto quel cielo (compreso BDC e la sede Conad di Bologna) esistono anche tutti e quattro i contratti nazionali della distribuzione moderna. L’esatto opposto della struttura di Auchan. Difficile intendersi.
La differenza è che la struttura Conad, il suo modello, la sua flessibilità organizzativa, la sua capacità di presidiare il territorio e la sua originale interpretazione di un servizio di qualità al consumatore l’hanno trasformato in un modello vincente. L’altro in un modello sconfitto.
Per chi è in arrivo da Auchan, intere filiali o singoli collaboratori, c’è la necessità dunque di un cambiamento epocale. Di approccio, mentalità, interlocuzione sindacale e di comportamento. Leggendo alcune esternazioni sui social viene da pensare che in Auchan vigeva una informalità di linguaggio nei confronti dei vertici aziendali che non credo funzioni in Conad. Anzi.
C’è un riorientamento culturale da predisporre che dovrebbe accompagnare l’integrazione che se non attivato potrebbe riservare amare sorprese per molti. Da una parte e dall’altra. E se questo vale per i PDV, figuriamoci per le sedi dove le differenze non sono, credo, sulle competenze professionali richieste (sicuramente molto presenti negli ex Auchan) ma nella loro impiegabilità nel contesto delle cooperative dove, probabilmente, sono ritenute difficilmente integrabili. Vero o non vero, purtroppo, poco importa. Difficile cambiare idea.
Quello che, a mio parere, non è accettabile, è che non venga data nemmeno la chance di potersi candidare attraverso un semplice job posting interno. E questo determina pregiudizi reciproci. Ovviamente in sede è solo il ricorso al ricollocamento esterno che può dare risposte numericamente credibili.
Bene l’apertura della mobilità incentivata, bene gli accordi con le regioni, bene l’opportunità di sottoporre un elenco di potenziali candidature ai possibili partner subentranti, bene il ricorso all’outplacement con società serie con risultati di ricollocamento certificati.
(Estratto dal blog di Mario Sassi, qui la versione integrale)