Skip to content

mercati Usa

Come vanno i mercati finanziari in America ed Europa

I multipli negli Stati Uniti sono molto elevati ma fondamentali delle imprese rimangono solidi; stime di crescita in marginale rialzo in Europa. Gli scenari economico-finanziari di Filippo Casagrande, chief of investments, Generali Investments

 

Nel novero dei fattori positivi possiamo citare una crescita, che seppur non brillante, è quantomeno in linea con il potenziale di lungo periodo, sostenuta da politiche monetarie che sono diventate più accomodanti (Bce) e che diventeranno più accomodanti (Fed) nel corso dei prossimi mesi. Vanno poi ricordati i prezzi dell’energia a livello contenuti, storicamente uno dei fattori più significativi per sostenere economia e mercati finanziari. Inoltre, i fondamentali delle imprese rimangono solidi, giustificando almeno in parte valutazioni sopra la media storica.

I multipli negli Stati Uniti sono molto elevati (mentre in Europa sono sì sopra la media storica, ma in misura limitata) e gli spread del comparto corporate sono ai minimi post-2008. Dal punto di vista macroeconomico e politico, invece, i timori principali derivano dagli attacchi all’indipendenza della Fed, che subisce pressioni da parte dell’Amministrazione Trump per ridurre i tassi, nonostante l’outlook per l’inflazione rimanga soggetto a rialzi a causa del rischio posto dai dazi. Tali pressioni derivano da un problema strutturale ancora più profondo, ovvero la sempre più problematica traiettoria del debito pubblico negli Stati Uniti. In Europa, i principali rischi da monitorare rimangono legati all’impatto dei dazi e alle turbolenze politiche in Francia, anch’essa alle prese con una situazione di finanza pubblica piuttosto fragile.

STIME DI CRESCITA IN MARGINALE RIALZO

In generale, possiamo dire che i dati del periodo estivo hanno continuato a sorprendere al rialzo nell’Eurozona. Il PIL, pur rallentando nel secondo semestre dopo il forte aumento del primo, ha sorpreso al rialzo (+0,1% vs 0,0% su base trimestrale), con la crescita su base annua che si assesta al +1,4%. Si tratta di un numero coerente – o perfino leggermente superiore – con la crescita potenziale nella regione e questo è un elemento di conforto per gli investitori.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, dopo la lieve contrazione del primo trimestre, il PIL nel secondo trimestre segna un solido +3,3% su base trimestrale annualizzata, anche in questo caso ben sopra le attese. La crescita annua è al +2,1%, anche in questo caso attorno al livello di crescita potenziale di lungo periodo. Questi dati sopra le attese per il PIL del secondo trimestre si sono tradotte in una revisione al rialzo delle stime degli analisti.

Per l’Eurozona, la crescita prevista per il 2025 passa dal +1,0% al +1,2%, mentre quella per il 2026 rimane stabile al +1,1%. Per gli Stati Uniti, le stime per la crescita del PIL reale nel 2025 salgono da +1,5% a +1,6%, mentre quelle per il 2026 da +1,6% a +1,7%.

Guardando ai dati a più alta frequenza, quello che ha sorpreso maggiormente al ribasso è stato il mercato del lavoro statunitense. Dopo una revisione al ribasso di quasi 1 milione di posti di lavoro, il numero di nuovi posti creati nel 2024 scende a 167mila al mese, mentre nel 2025 siamo a quota 75mila posti al mese, con una media di appena 29mila negli ultimi tre mesi. Questi numeri da una parte risentono delle politiche più stringenti sull’immigrazione irregolare volute dal Presidente Trump, ma è probabile che siano anche indicatore di un genuino rallentamento economico, spiegabile con l’impatto dei dazi o le politiche fiscali meno espansive del previsto nel primo semestre. Detto ciò, va comunque tenuto presente che la disoccupazione rimane a livelli piuttosto contenuti, seppur in lieve crescita (4,3% a fine agosto).

Detto questo, la fiducia del settore dei servizi – misurata tramite l’indice ISM Services – ha segnato un miglioramento ad agosto, salendo a 52,0 rispetto al 50,1 di luglio. Questo è un segnale importante, perché i servizi rimangono la parte preponderante dell’economia statunitense e quindi è lecito aspettarsi una continuazione della crescita economica a ritmi vicini al potenziale. Rimangono sottotono, invece, alcune aree come il settore manufatturiero (indice ISM Manufacturing a 48,7 ad agosto, sotto quota 50 che separa la fase di espansione da quella di contrazione) e il settore immobiliare, che registra anche un aumento delle sofferenze.

Guardando all’Eurozona, ad agosto l’indice PMI Manufacturing ha superato quota 50 per la prima volta dal giugno 2022, salvo ritracciare a 49,5 secondo le ultime rilevazioni. L’indice dei Servizi si consolida sopra quota 50, toccando 51,4 a settembre. Ancora una volta ricordiamo che questo è un numero coerente con una crescita attorno al potenziale. Per quanto concerne il mercato del lavoro, i dati rimangono solidi, con la disoccupazione al 6,2% a luglio, il minimo storico dalla nascita dell’euro.

INFLAZIONE: RISALGONO I NUMERI NEGLI STATI UNITI

Negli Stati Uniti assistiamo ad una riaccelerazione sia nella componente complessiva (effetto base meno favorevole sull’energia), sia sulla parte core, dovuta con buone probabilità ad un maggiore impatto dei dazi sui prezzi al consumo di determinate categorie di beni. Per contro, i numeri dell’Eurozona rimangono stabili, specie nella componente core.

I dati pubblicati per agosto mostrano un’inflazione complessiva negli Stati Uniti in rialzo del 2,9% su base annua, ai massimi da inizio anno, e del 3,1% per la componente core, 3 decimi in più rispetto ai numeri di tre mesi fa. Nell’Eurozona, l’inflazione complessiva è stabile al +2,0% così come l’inflazione core, ferma al +2,3%.

Le stime degli analisti per l’inflazione media nel 2025 e 2026 non si sono mosse significativamente. Per l’Eurozona, l’inflazione complessiva dovrebbe assestarsi in media al +2,1% nel 2025 e +1,8% nel 2026. Per gli Stati Uniti, le stime sono del +2,8% in entrambi gli anni.

LA FED TAGLIA A SETTEMBRE, IL MERCATO SCONTA FINO A 5 TAGLI ULTERIORI ENTRO FINE 2026. BCE FERMA

Anche in questo caso, le dinamiche per BCE e Fed sembrano differenti, con la prima ormai alla fine del ciclo di tagli, mentre per la Fed si apre una seconda fase di riduzione dopo una pausa di nove mesi.

La BCE è rimasta ferma negli ultimi meeting, confermando il tasso sui depositi al 2%. Il miglioramento delle prospettive di crescita – peraltro incorporato dalla BCE stessa nelle sue ultime previsioni pubblicate a settembre – riduce la necessità di ulteriori tagli. Il mercato si è quindi allineato di conseguenza. Infatti, non sono più prezzati tagli da qui a fine 2026. Questo pricing ci pare corretto, vista l’attuale combinazione tutto sommato favorevole di crescita e inflazione e la riduzione dei rischi al ribasso dopo l’accordo sui dazi.

Diverso il discorso per la Fed. Con il peggioramento del mercato del lavoro e pressioni sempre maggiori da parte del Presidente Trump per ridurre il costo del denaro – e alleviare la spesa per interessi del Tesoro statunitense – nel meeting di settembre il FOMC ha deciso di ridurre di 25 punti base il corridoio di riferimento, portandolo a 4,00-4,25%. Il mercato prezza quasi due tagli da qui a fine anno e un’ulteriore riduzione nel 2026, per un totale di 110 punti base di tagli addizionali.

In questo caso, le prospettive di tagli possono risultare eccessive in assenza di un concreto indebolimento del ciclo economico o in presenza di una ulteriore riaccelerazione dell’inflazione. La sensazione è che a pesare sui prossimi movimenti della Fed sia sempre di più l’influenza politica. Come già detto, la precaria situazione delle finanze pubbliche statunitensi ha bisogno di tassi più bassi per tenere sotto controllo la spesa per interessi. Data l’elevata quota di debito USA finanziata con titoli a breve termine – il 37% scade entro fine 2026, per paragone la quota dell’Italia è del 17% – una riduzione dei tassi della Fed in area 3% potrebbe portare a risparmi di oltre 100 miliardi in un anno per il Tesoro USA. Il mandato del Governatore Powell è in scadenza a maggio 2026 e la corsa per rimpiazzarlo con qualcuno di più allineato alla Casa Bianca è già aperta.

Una Fed troppo accomodante rispetto al necessario pone il rischio di maggiore inflazione. Questo come sappiamo può portare a rialzi dei tassi a medio e lungo termine e impattare i ritorni del comparto obbligazionario. Sul comparto azionario, maggiore inflazione e crescita sono solitamente elementi positivi, ma solo se le pressioni al rialzo sui tassi e la volatilità del mercato obbligazionario rimangono limitate. Questo scenario è sicuramente uno di quelli da tenere a mente in caso di Fed troppo accomodante nei prossimi mesi.

I MERCATI FINANZIARI E LE PROSPETTIVE

Partendo dagli attivi più rischiosi, e in particolare le azioni, questo è un mercato in cui è difficile prendere posizioni significative, sia in positivo sia in negativo. Quelli che pensano di avere un sottopeso a causa delle valutazioni elevate devono tener conto della forza dei flussi, in un mercato che offre poche possibilità di rientro a livelli più bassi. Parimenti, anche i più ottimisti sugli utili aziendali, non possono negare che i livelli di ingresso non sono particolarmente favorevoli. Il rapporto Price/Earnings per l’indice MSCI USA ha superato quota 23, il livello più alto da gennaio 2021, quando il tasso decennale USA stava poco sopra l’1%.

Per quanto concerne il mondo obbligazionario, ribadiamo un concetto fondamentale: nel medio-lungo termine, comprare tassi reali a livelli pari o superiori alla crescita potenziale dell’economia è un buon investimento. Al momento, i tassi reali sui Bund tedeschi sono attorno all’1%, leggermente superiori alla crescita potenziale. Ciò fa dei bond europei un investimento magari non particolarmente fruttifero nel breve termine, ma con limitati rischi al ribasso nel medio-lungo termine. Il discorso per gli Stati Uniti è un po’ più complesso: in questo caso, i tassi reali sono circa mezzo punto sotto il potenziale di crescita, dopo i recenti cali legati al peggioramento del mercato del lavoro e le aspettative di una Fed più accomodante. Il livello attuale non sembra indicare “urgenza” nell’incrementare posizioni e semmai sembra lecito effettuare qualche presa di profitto.

Ma per comprendere bene il tema di investimento sui bond con scadenze 10-30 bisogna essere chiari che con un’economia tiepida il loro rendimento può accompagnare verso il basso i tassi di policy , ma con un’economia in accelerazione  e poche risorse inutilizzate , i bond lunghi si separano dal resto della curva dei rendimenti e possono destabilizzare il quadro complessivo.

Per quanto riguarda i prodotti a spread corporate bonds , le possibilità di carry si sono molto ridotte. Gli spread del credito Investment Grade in euro sono ai minimi post-2008, dopo un ulteriore calo durante i mesi estivi. Anche il comparto High Yield ha continuato a vedere buone performance guidate da spread più stretti. Sui titoli governativi, Italia e Francia sono ora appaiate, con uno spread di circa 80 punti base rispetto ai Bund tedeschi. Per i BTP si tratta dei livelli più bassi dall’aprile 2010, appena prima dell’escalation della crisi sovrana in Grecia.

 

Torna su