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Come non farsi contagiare dai mercati

L'analisi di Alessandro Fugnoli, capo strategist dei fondi Kairos.

C’è stato un tempo in cui, ingenuamente, si è pensato a un ciclo a V, con una rapida discesa dovuta al lockdown e un’altrettanto rapida risalita dovuta al controllo della pandemia e alle energiche misure di sostegno fiscali e monetarie messe in atto da quasi tutti i governi. Si è sempre parlato di una seconda ondata del virus, certo, ma la si è collocata in un futuro sufficientemente remoto, l’inverno 2020-21, da essere contrastabile con i vaccini in arrivo e quindi non rilevante per l’andamento di breve dei mercati.

Il virus, però, è risultato refrattario a ogni modellizzazione. Pur perdendo gradualmente in letalità in molte zone (non tutte), ha assunto un andamento irregolare quanto alla diffusione, tornando a fare danni (non sempre) dove si è allentata l’attenzione nei suoi confronti. Si è quindi prodotta una sorta di prima ondata e mezza alla quale non eravamo preparati. Allo stesso tempo, la ricerca di vaccini ha proceduto più speditamente del previsto (anche se con risultati non uniformi) e il loro utilizzo di massa è ormai questione di pochissime settimane, visto che la Russia inizierà già nella seconda metà di agosto a renderli disponibili alla popolazione.

Questi dati complessi si riversano disordinatamente sui mercati, che in ore diverse della giornata si vedono arrivare notizie di segno opposto. Le notizie dal passato remoto, ovvero dalla prima ondata, sono pessime. Il consuntivo del secondo semestre mostra un calo del Pil, rispetto al primo trimestre, del 10 per cento in Germania e dell’8.25 negli Stati Uniti (il 32.9 americano di oggi è annualizzato e va quindi diviso per 4 per essere paragonabile con quello tedesco).

Le notizie dal passato vicino sono invece ottime e testimoniano della forte ripresa di fiducia che è seguita all’attenuarsi della pandemia in Europa e nell’est degli Stati Uniti. Le notizie dal passato prossimo e dal presente, che ora cominciano ad arrivare, sono però di nuovo negative, o quanto meno deludenti, perché riflettono questa prima ondata e mezza che fino ai giorni scorsi si pensava circoscritta agli indisciplinati americani del sud e che però ora sembra tornare a lambire l’Europa proprio in una fase in cui l’euro forte non la aiuta nella ripresa.

Le notizie provenienti dal futuro prossimo sembrano dal canto loro rassicuranti, come abbiamo visto, per quanto riguarda i vaccini. Sono neutrali, in quanto già scontate, rispetto ai programmi fiscali e monetari di sostegno che, dopo l’effetto annuncio, vedono le inevitabili complicazioni del processo di approvazione e di attuazione.

Rischiano di essere negative le notizie dal futuro meno prossimo, ovvero dal novembre elettorale americano. Ci riferiamo qui non solo alla consueta incertezza sull’esito del voto, ma anche alla possibilità che le elezioni vengano rinviate, come sta provando a proporre Trump, perché il voto postale, che in molti stati colpiti da Covid potrebbe sostituire quello tradizionale, si presta a brogli.

La questione è molto complicata e rischia di rendere arroventate elezioni che già di loro si preannunciano tese. Il voto in America non è particolarmente limpido già oggi (in certe zone un immigrato irregolare può votare, in altre no) e rischia davvero di perdere legittimità. D’altra parte la richiesta di Trump presta ovviamente il fianco ad accuse di ogni tipo, soprattutto in una fase in cui i democratici appaiono in grande vantaggio (anche se negli ultimi giorni questo vantaggio è andato assottigliandosi). Chi ricorda il clima del dicembre 2000, quando Gore e Bush si disputarono la vittoria, farà bene a prepararsi a uno scontro analogo, se non più radicale.

Sintetizzando, chi investe deve muoversi tra dati macro in miglioramento più lento del previsto e con banche centrali e governi che sembrano avere dato quello che, nel breve, potevano dare. Il prolungarsi della pandemia e, soprattutto, il ritorno eventuale di una psicologia dominata dalla paura, possono complicare la ripresa dei consumi e allargare l’area delle imprese, soprattutto piccole e medie, che rischiano di esaurire i soldi in cassa e quelli disponibili a credito.

Dall’altro lato, il dato sorprendente sulla deflazione americana nel secondo trimestre fa pensare che le banche centrali non avranno remore nel rimettersi a pensare a nuovi strumenti espansivi. Il prossimo in lista di attesa (forse per settembre) è l’adozione da parte della Fed di un obiettivo di inflazione che tenga conto dell’inflazione restata sotto il due per cento negli anni passati e che cerchi di recuperarla nei prossimi, alzando di fatto il target al 2.5-3 per cento. Questo richiederebbe un Quantitative easing ancora più massiccio e prolungato, nel caso anche azionario. La Bce, dal canto suo, sarebbe obbligata a fare altrettanto, pena un euro troppo forte.

Abbiamo vissuto, nei mercati, una fase di relativa serenità perfino eccessiva. La seconda metà dell’anno sarà più nervosa e non sarà priva di momenti sgradevoli.

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