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Big Tech

Come funzionerà (e quanto farà incassare) la nuova imposta minima globale sulle multinazionali

Fatti, stime e commenti sulla prima intesa per una proposta di tassazione minima globale del 15% per le grandi multinazionali

Il G7 dei ministri delle Finanze e dell’Economia ha raggiunto una prima intesa per una proposta di tassazione minima globale del 15% per le grandi multinazionali. Diversamente dalla digital tax italiana e francese, che tassa i ricavi, questa tassa riguarderà le società con margini di profitto di almeno il 10%. Queste dovrebbero destinare il 20% dei propri utili globali alla tassa nei Paesi dove effettuano vendite.

CHE COSA PREVEDE L’INTESA SULLA TASSA GLOBALE

L’intesa anti-elusione infatti per ora impegna i 7 Grandi, in attesa di essere discussa nella sede del G20 a presidenza italiana nell’ambito del vertice di luglio a Venezia allargato alla presenza di altri attori cruciali del mondo, come Cina e Russia. Ma rappresenta fin d’ora un passo in avanti potenzialmente nodale: “un passo storico verso una maggiore equità fiscale”, come ha definito l’intesa il presidente del Consiglio Mario Draghi e tutt’altro che scontato in seno allo stesso G7 ancora fino a “tre mesi fa”, ha notato Paolo Gentiloni, presente in rappresentanza di Bruxelles come commissario Ue, che ha riconosciuto l’importanza “del cambiamento dell’amministrazione americana” e del “ruolo personale svolto da Janet Yellen” per il raggiungimento di questo traguardo “formidabile”.

I DUE PILASTRI DELL’INTESA

In sostanza, come indicato dal comunicato finale della riunione e come spiegato più tardi ai giornalisti anche dal ministro Franco, si tratta di un intesa fondata su “due pilastri”: l’introduzione del principio di un’aliquota globale minima del 15% per le grandi imprese, da applicare Paese per Paese in modo da allontanare gli eccessi di concorrenza sleale; e quella di una stretta sull’elusione che dovrebbe riguardare anche e soprattutto i big Usa del tech (non citati espressamente, ma evidentemente compresi fra le multinazionali di spicco) con l’imposizione di tasse sul 20% degli utili oltre la soglia del 10% di profitto da “riallocare nei Paesi in cui si effettuano le vendite”. Al netto della domiciliazione nominale in qualunque paradiso fiscale. Un sistema che a regime dovrebbe portare miliardi di euro in più nelle casse di tanti Stati; costringere colossi come Amazon, Facebook, Google o Microsoft a versare complessivamente di più; e consentire di evitare casi come quello delle ‘zero tasse’ versate dalla filiale irlandese del gruppo fondato da Bill Gates grazie alla residenza legale (senza un singolo dipendente impiegato) stabilita nelle Bermuda.

LE STIME DELL’OSSERVATORIO FISCALE EUROPEO

L’Osservatorio fiscale europeo – organismo che ha sede a Parigi ed è diretto dall’economista francese Gabriel Zicman – ha calcolato: fissando al 15% il pavimento fiscale per le multinazionali, nei calcoli dell’organismo parigino l’Europa riuscirebbe a raccogliere 48,3 miliardi di euro, mentre negli Stati Uniti il conto si attesterebbe a 40,7. La fetta più ricca della torta fiscale europea spetterebbe al Belgio (10,5 miliardi), che però proprio sulle tasse ultraleggere per le multinazionali basa la propria politica fiscale aggressiva, finita più volte al centro delle accuse comunitarie, e con Olanda, Irlanda e altri Paesi alza gli ostacoli principali all’applicazione effettiva dell’accordo di ieri.I 2,7 miliardi di quota italiana, poco più della metà rispetto ai 4,3 miliardi di pertinenza francese, si spiegano con alcune residue tassazioni agevolate incontrate in giro per il mondo dalle nostre (poche) multinazionali. “Alcune sono società pubbliche, come l’Eni che opera in 72 Paesi e secondo l’Osservatorio ha pagato nel 2019 poco più di 4,73 miliardi di tasse e dovrebbe aggiungere un obolo da 171,5 milioni sull’altare della minimun tax, o l’Enel, che dovrebbe rafforzare con 356,3 milioni il proprio conto fiscale da 1,91 miliardi versato con le attività realizzate in 15 Paesi. L’altro settore interessato è quello delle banche, ma solo ai piani più alti, occupati da Intesa SanPaolo e Unicredi”, ha scritto il Sole 24 Ore.

IL COMMENTO DELL’ECONOMISTA OLDANI

“Il sistema fiscale europeo è integrato, efficiente e applicherà l’imposta senza difficoltà, non sarà tanto semplice per altri paesi, soprattutto del G20. Ma il Ministro Daniele Franco ha tempo fino a luglio per trovare la quadra”, ha commentato l’economista Chiara Oldani su Startmag.it

L’ANALISI DEL SOLE 24 ORE

“Il terreno più promettente, anche se privo al momento di cifre, è quello della riallocazione, in base alla geografia delle vendite e non delle sedi legali, per le tasse delle multinazionali digitali – ha scritto il Sole 24 Ore – Anche lì l’esperienza insegna che la strada dagli accordi politici alle regole operative è lunga. Ma anche che i tentativi unilaterali portati avanti a livello nazionale hanno un valore più simbolico che pratico. Lo dimostrano i 233 milioni del primo versamento della Digital Tax italiana: irrilevanti in un bilancio pubblico da 800 miliardi, e decisamente più modesti anche rispetto ai 780 milioni stimati dal Mef. Un tentativo che sarebbe archiviato in caso di decollo operativo dell’intesa di ieri”.

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