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Chip

Come e perché la penuria di chip castra le stime di crescita in Germania

Quale impatto economico prevedono gli istituti di ricerca in Germania per la penuria di forniture di chip e non solo per l'industria dell'auto e per l'edilizia. L'articolo di Pierluigi Mennitti

 

La penuria di forniture rallenterà la ripresa economica tedesca dopo la pandemia e costerà quasi mezzo punto di Pil alla fine di quest’anno. È il dato centrale emerso dalle stime estive sulla congiuntura in Germania presentate dall’istituto Ifo di Monaco, che ha infatti ritoccato al ribasso le previsioni di crescita per l’anno corrente. Rispetto alle stime primaverili dello scorso marzo si tratta di uno 0,4% in meno che fissa l’asticella della ripresa tedesca al +3,3%.

Se l’impasse nelle forniture verrà gradualmente superato nella seconda metà dell’anno, parte della crescita prevista per il 2021 si riverserà nel 2022. Anche per il prossimo anno, infatti, l’istituto bavarese ha rivisto i numeri, questa volta al rialzo, fissando il Pil al +4,3%, un punto abbondante in più rispetto alle stime dello scorso marzo.

“Abbiamo probabilmente alle spalle la più grande crisi economica che il nostro Paese ha affrontato dalla seconda guerra mondiale”, ha esordito Timo Wollmershäuser, direttore del dipartimento sulla congiuntura dell’Ifo, “ma le tracce della pandemia resteranno ancora per diverso tempo”. Una di queste tracce è appunto la penuria di rifornimenti, che colpisce un po’ tutti i Paesi industrializzati e la Germania in maniera particolare. “La nostra economia è più esposta di altre a questa impasse per il peso dell’industria automobilistica, che più di ogni altre sta soffrendo la scarsità di approvvigionamenti”, ha spiegato Wollmershäuser. La carenza di chip limita le potenzialità di un settore lanciato verso la produzione di auto elettriche. Altra branca in difficoltà per la scarsità di materie prime è quella edilizia, anch’essa motore dell’economia tedesca: “Il 55% degli imprenditori  ha dichiarato di essere in qualche modo limitato dalle difficoltà di approvvigionamento”.

In tutto il mondo l’enorme richiesta di prodotti digitali durante la pandemia ha depredato le scorte di chip, necessarie anche per lo sviluppo dei motori elettrici, ha riassunto ancora l’esperto Ifo, a questo si aggiungono problemi organizzativi nelle filiere, disarmonia nei trasporti marittimi con cointainer che si trovano nei punti sbagliati, tutte conseguenze che hanno a che fare con i disagi provocati dal Covid. E così l’enorme numero di commesse che le imprese sono tornate ad avere non può essere smaltito. Da qui un rallentamento della ripresa, con la speranza che nella seconda parte di quest’anno le cose tornino alla normalità, altrimenti l’effetto di rallentamento si protrarrà nei mesi successivi e anche all’inizio del prossimo anno.

Aggiornate anche le cifre sui costi determinati dalla crisi del Covid, che negli anni tra il 2020 e il 2022 ammonteranno a 382 miliardi di euro.

Sul versante del lavoro, la previsione più importante riguarda il meccanismo del lavoro breve, diffuso in maniera massiccia come misura principale per contenere la disoccupazione: con la ripresa in avvio il numero di coloro che ancora usufruiscono di tale misura dovrebbe nei prossimi mesi drasticamente diminuire rispetto ai 2,3 milioni di maggio, per essere riassorbito all’inizio del 2022 e tornare al livello pre-crisi di circa 100.000 lavoratori. Lento il calo della disoccupazione, che lo scorso anno aveva toccato il 5,9%. Le stime non sono questa volta diverse da quelle primaverili: 5,8% nel 2021, 5,2% nel 2022, per un numero assoluto di 2,40 milioni. I ricercatori bavaresi non escludono una piccola ondata di fallimenti nei prossimi mesi, che rallenterà il recupero dei senza lavoro.

Non preoccupa l’accelerazione del tasso di inflazione, che dallo 0,6% dello scorso anno toccherà in questo il 2,6%, per assestarsi nel 2022 all’1,9%. Responsabili i crescenti costi dell’energia (che lo scorso anno avevano subito un crollo per il rallentamento dell’economia globale) e per la Germania il ritorno dell’Iva, abbassata lo scorso anno per sospingere i consumi durante la pandemia: “il tasso resterà comunque a un livello superiore rispetto alla media cui è abituata la Germania”, ha rimarcato Wollmershäuser.

Sul medio periodo preoccupa un’altra carenza, quella della manodopera. A metà degli anni Venti avremo a che fare con le ultime conseguenze della crisi pandemica (occupazione ancora condizionata dall’onda lunga dei fallimenti) e dall’impatto demografico: molti lavoratori della generazione dei baby boomer andrà in pensione e nuovi giovani e immigrati non basteranno a sostituirla. Questo, secondo l’Ifo, non permetterà alle imprese di sfruttare a pieno il potenziale di produzione. Per Clemens Fuest, presidente dell’istituto di Monaco, è il problema economico centrale nel medio periodo: “I prossimi governi dovranno impostare un’intelligente politica di immigrazione, in grado di attirare manodopera specializzata, e allo stesso tempo migliorare la qualità degli investimenti in istruzione e formazione, per incentivare e sfruttare il potenziale lavorativo interno”.

L’incognita politica è una variabile che non è possibile misurare, dal momento che l’esito del voto del prossimo settembre è incerto e non permette di delineare oggi i contorni del dopo-Merkel. Quel che Fuest si sente di suggerire al prossimo esecutivo, qualunque esso sia, è un attento monitoraggio sugli investimenti legati al Recovery Plan (“solo se ben impiegati faranno da volano agli investimenti privati”) e soprattutto morigeratezza sul versante fiscale. “Si nota una certa voglia di aumentare tasse su patrimoni o eredità”, ha concluso Fuest, “ma un maggior carico fiscale può rallentare gli investimenti privati, togliendo risorse di cui abbiamo enormemente bisogno per sostenere la crescita”.

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