L’allarme del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, nelle considerazioni finali, si è particolarmente rivolto alla anomalia della economia italiana, in quanto caratterizzata negli ultimi 25 anni dal peggiore andamento della produttività nell’area euro.
La produttività del lavoro è rimasta ferma e conseguentemente la paga oraria è inferiore di un quarto rispetto a quella tedesca e francese, il potere di acquisto delle famiglie, in termini di reddito pro-capite, è bloccato ai livelli del 2000 mentre è cresciuto di un quinto in Germania e Francia.
Le coorti giovanili, già dimagrite dal declino demografico, sono ulteriormente indebolite dalla fuga di molti verso altri Paesi, alla ricerca non certo delle tutele contro la precarietà ma dell’ascensore sociale e delle dinamiche retributive. Non si possono quindi eludere le riforme del lavoro a partire dal necessario collegamento tra salari e produttività.
Proprio ieri si è si avviato il negoziato per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Esso non potrà definire aumenti retributivi uguali per tutte le imprese ritornando all’idea malsana del salario “variabile indipendente”. Ma non potrà eludere la ricerca di meccanismi che garantiscano, anche nelle piccole imprese non sindacalizzate, una equa distribuzione della ricchezza dove si è prodotta, dopo che si è prodotta. Così come la prossima legge di bilancio dovrà considerare il ritorno a una flat tax sui salari di produttività in modo da sottrarli alla “punizione” della progressività.
Tocca alle parti sociali agire in questo senso. Anche se il contemporaneo avvio della campagna referendaria promossa dalla Cgil non favorirà il dialogo sociale.
Maurizio Sacconi