skip to Main Content

Pil Inflazione Economist

Tutte le sorprese nella classifica mondiale sul Pil

La Nota diplomatica di James Hansen

Se parlano i soldi — e i soldi parlano — i dieci più importanti paesi del mondo sono, nell’ordine: Stati Uniti (20.413), Cina (14.093), Giappone (5.167), Germania (4.212), Regno Unito (2.936), Francia (2.925), India (2.848), Italia (2.182), Brasile (2.139) e Canada (1.799). I valori tra parentesi, in miliardi di dollari Usa, sono il PIL nominale 2018 dei singoli paesi secondo le stime correnti del Fmi. Il “Prodotto Interno Lordo” è certamente un metro criticabile ed è anche vero che le dimensioni economiche dei paesi sono solo una misura molto approssimativa dell’ “importanza”— ma il dato non è inutile e merita qualche considerazione. La prima è che la Russia non c’è. È all’undicesimo posto.

Il suo Pil, parecchio più modesto di quello italiano, è stimato per l’anno in corso in 1.720 miliardi di dollari. Sta tra l’economia canadese e quella della Corea del Sud. In termini forse più “strategici”, l’economia russa è sostanzialmente più piccola di quella dello Stato della California ($2.804 miliardi). Se non per altro, l’aria di indifferente accondiscendenza americana per quelle che vengono percepite come le “intemperanze” di Vladimir Putin parte proprio da questo dato. C’è poi la gara commerciale tra cinesi e americani. Qui occorre essere un attimo noiosi per dire qualcosa di utile. Secondo il PIL nominale, cioè la misura dei semplici soldi, gli Usa sono ancora avanti di diverse lunghezze, anche se la Cina sta crescendo più velocemente.

Quando si parla invece in termini di ciò che quel PIL può comprare sul mercato locale—una definizione brutale di PPP-“Purchasing Power Parity”, cioè “Parità di potere d’acquisto”—allora la Cina è già avanti. La storia però si racconta meglio col PIL nominale pro capite: i soldi divisi per il numero di abitanti. È qui che si capisce che la Cina è un paese ricco ancora popolato da poveri. II pro capite americano è oltre sei volte quello cinese—$62mila a testa rispetto a $10mila. Il prodotto lordo c’entra pure con la Brexit.

Il Regno Unito, che dovrebbe lasciare l’Ue con o senza accordo a mezzanotte del prossimo 29 marzo, non è Malta, non è il Lussemburgo. È la quinta economia del mondo e la seconda d’Europa, superando la Francia. Bruxelles, forse per il grande imbarazzo, ha finora condotto la trattativa per l’uscita con una supponenza che non ha usato nemmeno nei confronti della Grecia: a partire dalla pretesa iniziale di togliere dall’Inghilterra la Gibilterra—inglese da 300 anni —per darla alla Spagna. Tuttora vuole creare le condizioni perché l’Irlanda del Nord passi i suoi legami economici all’Eire, anche se gli irlandesi del Sud non dimostrano molto entusiasmo per l’idea di doversi occupare di tanti sudditi—in maggioranza riottosi protestanti—di Sua Maestà. Comunque vada a finire il negoziato, gli inglesi se ne vanno con gli oltre 2.936 miliardi di dollari del loro Pil.

Poniamo dunque, tanto per parlarne, che facesse altrettanto anche l’ottava economia mondiale, l’Italia, portando via i suoi 2.182 miliardi. I valori insieme cominciano ad essere una somma rispettabile… Supererebbero il 30% del totale prodotto interno lordo Ue previsto per il 2018. Ora, l’Italia non se ne sta andando da nessuna parte, ma se l’attuale Governo del Paese calcola di potersi permettere per il momento di sputare nell’occhio a Bruxelles senza correre rischi mortali, bene, c’entra il Pil.

Back To Top