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Giavazzi

Chi sono i prof che strapazzano (e che non strapazzano) la tassa sulle banche

Una tassa sbagliata, anzi una misura non disdicevole. Girotondo di opinioni di professori ed economisti sulla tassa che colpisce gli extra margini delle banche.

Sbagliata. Giusta. Un po’ giusta e un po’ sbagliata. Di sicuro comunicata male e modificata dopo gli annunci post consiglio dei ministri.

Economisti ed esperti di banche e finanza discutono, e si dividono, sul decreto del governo che ha istituito una tassa una tantum contro gli extra margini delle banche.

Vediamo posizioni, opinioni e polemiche.

CHE COSA PENSA IL DRAGHIANO GIAVAZZI DELLA TASSA SULLE BANCHE

“Una tassa sbagliata tecnicamente, perché distorce l’allocazione del credito, e dal punto di vista della comunicazione, poco rispettosa degli investitori internazionali, di cui abbiamo bisogno come il pane”. È netto il giudizio di Francesco Giavazzi, professore di economia all’Università Bocconi e consigliere economico dell’ex premier Mario Draghi, sulla tassa sugli extraprofitti delle banche, arrivata come un fulmine a ciel sereno. L’annuncio della misura ieri ha causato un terremoto sui titoli bancari. La norma presentata dal ministro Salvini in conferenza stampa prevede – ha detto Giavazzi al Corriere della sera – che “in dipendenza dell’andamento dei tassi di interesse e dell’impatto sociale derivante dall’aumento delle rate dei mutui è istituita, per l’anno 2023, una imposta straordinaria”, “a carico degli intermediari finanziari, escluse le società di gestione dei fondi comuni d’investimento e le società di intermediazione mobiliare di cui al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”. La tassazione, secondo le prime informazioni, sarebbe dovuta arrivare al 40% ma, in una nota, pubblicata nella serata di martedì 8 agosto, il Mef ha spiegato “la misura, ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1% del totale dell’attivo”.

ZANETTI: “LE BANCHE NON SI DILUNGHINO IN LAMENTAZIONI STERILI”

La tassazione sugli extraprofitti ha raccolto pareri discordanti, tra gli esperti. Tra chi l’ha apprezzata c’è il tributarista Enrico Zanetti, ex sottosegretario e viceministro al Ministero dell’economia e delle finanze nel corso del Governo Renzi, dal 2014 al 2016 e attuale consigliere del Mef. Zanetti prima di tutto sottolinea come la norma non sia stata una vera “doccia fredda” per gli addetti ai lavori. “non come una sorpresa per gli addetti ai lavori”. “L’unica sorpresa è che esponenti del settore interessato possano definirla tale. Già dall’inizio dell’anno, i più attenti osservatori delle dinamiche dei bilanci bancari e dei corridoi della politica la davano come una prospettiva sostanzialmente certa entro la fine dell’anno – si legge nella sua nota -. Non tanto perché ragionavano con il metro del giusto e dell’ingiusto, quanto perché lo ritenevano ineluttabile in un contesto in cui era già chiaro che le dinamiche in atto sui tassi di interesse avrebbero determinato nei mesi a venire uno stillicidio di good news bancarie (nella forma di rapporti trimestrali e semestrali con performance economiche delle banche in miglioramento anche oltre il 50% anno su anno) di per sé meravigliose, ma alla lunga ingestibili in un contesto crescente di difficoltà nel reperire risorse nel bilancio dello Stato per finanziare interventi a favore di categorie di soggetti più deboli delle banche (cioè praticamente di tutti, secondo la percezione generale)”. A questo Zanetti – come detto consigliere del ministro dell’Economia, Giorgetti, aggiunge l’invito alle banche a non arroccarsi in “lamentazioni che, anche laddove condivisibili, sarebbero comunque sterili e lavori con il Governo per trovare un punto di caduta accettabile per gli obiettivi di entrambe le parti, posto che sono stati, sono e saranno sempre numerosi i dossier per la cui risoluzione risulta imprescindibile la collaborazione tra istituzioni e settore finanziario”.

UNA MISURA NON DISDICEVOLE

Anche l’economista Riccardo Puglisi, docente di Scienza delle finanze presso l’Università di Pavia e redattore de Lavoce.info, non reputa disdicevole la misura e propone un paragone con il recente passato. “A proposito di #extraprofitti e tassazione straordinaria delle banche: non mi ricordo grandi lamentazioni dei sedicenti liberali dopo il passaggio dall’ICI all’IMU. Quella doveva essere finanza straordinaria e invece divenne rapidamente ordinaria”.

Di profitto anomalo parla, invece, il dottore commercialista Giuseppe Gargiulo.

NON C’È GIUSTIZIA SOCIALE NELLA NORMA SUGLI EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE

Non è una norma di giustizia sociale per docente di economia alla Sda della Bocconi Carlo Alberto Carnevale-Maffè. “Il margine di interesse NON è “profitto”, ma solo la prima delle voci attive della gestione finanziaria, al lordo dei costi e degli accantonamenti per i rischi di insolvenza. Il prelievo del Governo non tocca invece il margine da commissione, distorcendo in modo clamoroso il modello di business di una normale banca commerciale, e penalizzando proprio le banche più piccole, quelle del territorio, che vivono primariamente di prestiti alle famiglie e alle imprese – scrive su Twitter -. Non c’è alcuna “giustizia sociale”, ma semmai scellerato brigantaggio, nell’esproprio – sia retroattivo che anticipato – di un margine finanziario che dovrà in buona parte essere accantonato prudenzialmente per coprire da potenziali perdite sui crediti concessi, il cui rischio è notevolmente aumentato a causa del contesto macroeconomico, come evidenzia l’ultimo report di Bankitalia, che segnala il previsto brusco aumento di insolvenze”.

LE ALTERNATIVE POSSIBILI ALLA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI ALLE BANCHE

Tra i pareri critici va annoverato anche quello dell’economista Nicola Rossi, membro del CdA dell’Istituto Bruno Leoni. Non promuove la misura e, sul Foglio, suggerisce quella che avrebbe potuto essere una strada alternativa più virtuosa. “Sarebbe del tutto ragionevole e sensato, anche a fronte dei potenziali futuri oneri a carico della finanza pubblica, chiedere alle banche che abbiano fatto uso delle garanzie pubbliche di pagare una tassa a fronte del servizio di fornitura delle garanzie stesse (o, per meglio dire, delle controgaranzie offerte a Mcc e Sace) pari, ad esempio, nel 2024 a una percentuale moderata del volume delle garanzie stesse in essere al 31 dicembre 2020, nel 2025 alla stessa percentuale ma sul volume delle garanzie attivate nel 2021, e così via, fino al momento dell’azzeramento dei nuovi flussi – scrive Nicola Rossi -. In questo modo si otterrebbero diversi risultati. Si garantirebbero flussi non temporanei certamente utilizzabili – proprio perché non one-off – a copertura della riforma tributaria (o se si vuole da utilizzare a beneficio dei mutuatari). Si penalizzerebbero le imprese bancarie che hanno negli ultimi anni fatto ricorso alle garanzie anche per mascherare le proprie inefficienze (ad esempio nel contenimento dei costi o nell’incremento dei margini di efficienza)”. Per di più il rischio è che le banche trasferiscano “sui clienti i maggiori oneri così generati”.

CON LA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE IL GOVERNO DIMOSTRA DI ESSERE IN AFFANNO SUI CONTI PUBBLICI

“Secondo quale logica economica un margine di interesse cresciuto più del 5 per cento tra il 2021 e il 2022, o più del 10 quest’anno, è un extra profitto?”. A porsi questa domanda, retorica, è Alessandro Penati sul Domani. L’economista, con una lunga carriera accademica in Economia e Finanza (University of Pennsylvania, Università Bocconi, Padova e Cattolica di Milano), mette in dubbio la definizione stessa di extraprofitti. “Si parla di extra profitti, ma il margine di interesse è solo una voce del conto economico: alla formazione dell’utile di una banca concorrono anche le commissioni, le svalutazioni, gli accantonamenti per i prestiti e le poste straordinarie – scrive Penati -. Tassando una sola voce del conto economico, si colpiscono gli istituti bancari in modo molto differente, violando il principio base della par condicio per le imposte sugli utili. Ho stimato che la tassa potrebbe ridurre del 43 per cento l’utile di Bper, contro il 15 quello di Intesa e solo dell’8 quello di Unicredit”.  E infine, oltre a dubitare dell’impiego del gettito così generato “Che la tassa sia poi un modo per alleviare il costo dei mutui sulle prime case è pura demagogia”, rileva che “con questa tassa il governo dimostra di essere in affanno con i conti pubblici e di dover ricorrere ad espedienti per fare cassa”.

LA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE È UN AUTOGOL ANCHE PER I CONTI PUBBLICI

La nuova tassa, tra l’altro, secondo l’economista Giavazzi rischia di produrre un effetto pericoloso per i conti dello Stato. “L’investimento in Btp fa parte del margine di interesse; quindi, per gli istituti di credito sarà meno conveniente investire in titoli di Stato, la cui domanda scenderà proprio nel momento in cui vengono meno gli acquisti da parte della Bce. È un autogol!”. Oltre alla valutazione tecnica c’è quella politica. “Questa tassa è un provvedimento dal quale traspare una visione sovranista dello Stato. È come se avessero detto: io sono il sovrano e il sovrano tassa chi vuole, senza preoccuparsi degli effetti sull’economia. Se l’economia, cioè tutti i cittadini, ne soffrono questo non è un mio problema. Le tasse non dovrebbero fare una distinzione sull’origine dei profitti”. A questo si aggiungono le possibili ricadute sulla reputazione del nostro paese all’estero. “Un investitore internazionale che acquisti azioni di Banca Intesa non si aspetta di perdere il 10% in una notte solo perché un governo si è svegliato ‘”frizzantino”. Un investitore internazionale si aspetta che la misura sia spiegata dal ministro responsabile, quello dell’Economia, non, come è accaduto, da quello preposto ai ponti. Se non si presenta in conferenza stampa in un’occasione come questa dà un’immagine pessima del Paese”.

TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE: A RISCHIO INCOSTITUZIONALITÀ

Addirittura, invoca l’incostituzionalità Lorenzo Bini Smaghi, attuale presidente di Société Générale e già membro del board della Bce. “Quando si prende di mira un settore specifico, che non ha registrato un incremento di utili superiore rispetto a quello di altri, si pongono dei dubbi di costituzionalità – dice Bini Smaghi al Corriere della Sera -. Non è vero che gli istituti di credito hanno fatto più profitti rispetto ai servizi, al lusso, all’energia o alla meccanica. Non c’è motivo per penalizzare un comparto anziché un altro: perché creare una tassa ad hoc?”. Il rischio, secondo Bini Smaghi, è che le banche possano stringere i cordoni dei finanziamenti. “Per erogare hanno bisogno di capitale, che si genera con gli utili. Se questi ultimi li riduciamo tassandoli, si ridurranno anche i prestiti. È una misura che avrà un impatto negativo sulla crescita economica”, aggiunge Bini Smaghi.

POSSIBILE UNA FUTURA CONTRAZIONE DEI PRESTITI A FAMIGLIE E IMPRESE

Della reputazione del paese se ne preoccupa anche Andrea Monticini, professore di econometria finanziaria all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, intervistato ieri dall’agenzia Adn Kronos. “La norma crea poi “un problema anche futuro di cattiva reputazione per il Paese perché l’immagine che viene fuori è quella di investitori che avevano messo denaro rischiando sulle banche italiane, che a un certo punto si trovano con una extra tassa che va a colpire quelle banche che in questo momento erano maggiormente destinate a generare profitti”. A questo si aggiunge che “le banche avranno la necessità di coprire le perdite sui crediti deteriorati e fare svalutazioni”. Secondo Monticini la norma “colpisce in maniera asimmetrica le banche, perché si abbatte su quelle che hanno un modello di business tradizionale, cioè che si occupano di raccogliere depositi ed erogare prestiti. Ciò significa che queste banche probabilmente stringeranno un po’ l’erogazione del credito o inaspriranno le condizioni e questo avrà risvolti negativi sulle condizioni di crediti di famiglie e imprese”.

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