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Landini

Chi sono gli schiavi nel sistema fiscale italiano

Che cosa emerge dal rapporto di Itinerari previdenziali sul sistema fiscale italiano. L'analisi dell'editorialista Giuliano Cazzola

 

“Il coraggio, uno non se lo può dare’’ scriveva Alessandro Manzoni riferendosi, nel suo capolavoro letterario, a Don Abbondio. Alberto Brambilla, il presidente di Itinerari previdenziali, invece, ha il coraggio dell’onestà intellettuale che lo ha portato — oggi al Cnel per la presentazione del Rapporto curato dalla sua Fondazione — ad osservare ‘’l’erba dalla parte delle radici’’ mettendo in evidenza le gravi sperequazioni del regime fiscale ‘’nel difficile finanziamento del welfare’’.

Brambilla sfida, con la forza dei dati, la narrazione di una Italia povera, che viene propinata, senza alcuna verifica critica, all’opinione pubblica attraverso i talk show e i media in generale. E sulla base dei dati delle denunce dei redditi, si spinge fino a definire ‘’schiavi’’ quei percettori di redditi superiori a 35mia euro lordi all’anno, che, invece, sono divenuti da tempo gli ‘’esclusi’’ da ogni beneficio, sussidio o aiuto di tutti i tipi, che, durante le crisi degli ultimi anni sono collocati dalle politiche pubbliche tra i ‘’ricchi’’.  Infatti, poco più di 5 milioni di versanti con redditi superiori ai 35mila euro , nella sostanza, sostengono il peso del finanziamento del nostro welfare state.

Nel dettaglio, da 0 fino a 7.500 euro lordi si collocano 9.209.590 soggetti, il 22,36% del totale, che pagano in media 22 euro di IRPEF l’anno. I contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15.000 euro lordi l’anno sono 8.052.960: in questo caso, al netto del bonus Renzi e del TIR, l’IRPEF media annua pagata per contribuente è di 367 euro (253 euro per abitante), a fronte – a titolo esemplificativo – di una spesa sanitaria pro capite pari di circa 2.060 euro. Tra 15.000 e 20.000 euro di reddito lordo dichiarato (17.500 euro la mediana) si trovano 5,570 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.852 euro, che si riduce a 1.278 euro per singolo abitante; seguono da 20.001 a 29.000 euro 8.707.798 contribuenti versanti. Se si sommano tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro, si evidenzia che il 79,20% dei contribuenti italiani versa soltanto il 27,57% di tutta l’IRPEF, e probabilmente una percentuale ancora minore delle altre imposte. Seguono quindi i redditi tra 29.001 e 35mila euro, fascia in cui si collocano 3.217.343 contribuenti pari a 4.659.657 abitanti: questi contribuenti versanti, il 7,81%, pagano un’imposta media annua di 6.377 euro, che si riduce a 4.403 euro per singolo abitante, e versano complessivamente il 12,48% delle imposte.

A salire, la scomposizione mostra invece quei poco più di 5 milioni di versanti con redditi superiori ai 35mila euro che, nella sostanza, sostengono il peso del finanziamento del nostro welfare state. Più precisamente, esaminando le dichiarazioni a partire dagli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 100mila euro, Itinerari previdenziali individua solo l’1,21%  dei contribuenti che, tuttavia, versa il 19,91% delle imposte. Sommando a questi contribuenti anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro (che sono 1.385.974, il 3,37% del totale, e pagano il 18,14% del totale delle imposte), si ottiene che il 4,58% paga il 38,05% dell’IRPEF. Includendo infine anche i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta infine che il 12,99% paga il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

In pratica quasi l’80% degli italiani riceverà tutti i servizi senza pagare nulla e dichiarando poco ai fini IRPEF, finiranno per essere privi di contribuzione e quindi dovranno ricevere assistenza anche da pensionati. È ovvio che tutti questi oneri non possono continuare a gravare su circa 500 mila contribuenti che dichiarano redditi sopra i 100 mila euro e neppure sui 1,9 milioni con redditi oltre i 55 mila euro.

In conclusione, la fotografia del Paese sta tutta in queste scarne cifre: il 12,99% della popolazione paga il 59,95%; mentre il restante 87% paga il 40%; oppure potremmo dire che il 41,95% paga il 91,81% mentre il 44,53% dei contribuenti paga solo l’1,92% dell’intera IRPEF. È più che evidente che questa non può essere la fotografia di uno tra gli 8 Paesi più sviluppati. E a tal proposito Brambilla si dilunga ad indicare la diffusione e i costi sostenuti dagli italiani per condurre i loro standard di vita ben al di là dei consumi necessari per una condizione di sostanziale benessere.

Un’analisi — quella del IX Rapporto — utile in un momento in cui media, sindacati e buona parte della politica, parlano di “oppressione fiscale”, di riforma fiscale e dell’esigenza di riduzione del costo del lavoro e del fatidico cuneo fiscale-contributivo, trascurando che gran parte del peso fiscale grava sui pochi (solo il 12,99%) che dichiarano più di 35mila euro lordi, peraltro non rappresentati né dalla politica né dai sindacati e dalle associazioni datoriali, forse perché poco numerosi, e ai quali anche il virtuoso governo Draghi — ha sostenuto Brambilla — ha negato qualsiasi sussidio e bonus. Soggetti cui si applica una tripla progressività con una quarta occulta per cui all’aumentare del reddito aumentano sì le tasse ma diminuiscono, fino a sparire, servizi, deduzioni e agevolazioni. Questa politica basata su redditi lordi, ISEE, autodichiarazioni e sul binomio “più tasse si pagano meno servizi pubblici si ricevono” e viceversa, meno tasse si pagano e maggiori sono le prestazioni sociali e i servizi ricevuti da Stato, Regioni e comuni, è di per sé — secondo Brambilla — la spiegazione della gran parte dell’evasione ed elusione fiscale e contributiva di massa che caratterizza il nostro Paese.

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